1. Dalla corte di Federico II alla Toscana

1. DALLA CORTE DI FEDERICO II ALLA TOSCANA

Si definiscono “siculo-toscani” i poeti che operano in Toscana nella seconda metà del Duecento e che prendono a modello la produzione dei Siciliani, poi sviluppata in modo innovativo.

Possiamo collocare l’avvio di questa esperienza poetica intorno alla metà del secolo, successivamente alla scomparsa di Federico II (1250) e prima della morte del figlio Manfredi (1266). La diversa situazione geopolitica di quegli anni influisce sui temi e sullo stile dei componimenti. Alla corte si sostituiscono le città toscane e al cosmopolitismo della Magna Curia subentra un denso municipalismo, che si trasferisce nelle poesie degli autori siculo-toscani.

Nella loro poesia ai tradizionali motivi amorosi se ne affiancano infatti altri, che sono espressione della nuova coscienza cittadina e dei gruppi borghesi emergenti; in qualche caso la tematica politica assume un ruolo addirittura prevalente.

Tra i Siculo-toscani, i più importanti sono il lucchese Bonagiunta Orbicciani (1220 ca-1290) – il primo a compiere l’innesto del siciliano illustre nel toscano – e Guittone d’Arezzo (1235 ca-1294), che diventa in breve tempo la figura di maggior rilievo della nuova corrente.

Nelle poesie dei Siciliani prodotte all’interno della corte sveva di Federico e di Manfredi, le forme lessicali toscane che troviamo nei manoscritti vengono introdotte dai copisti e convivono con le originarie forme siciliane e meridionali mantenutesi grazie al carattere asistematico dell’operazione di copiatura. Invece, nelle poesie dei Siculo-toscani i tratti siciliani e meridionali presenti vanno considerati una scelta intenzionale, dovuta al peso della tradizione precedente, consapevolmente accettata e imitata. Ugualmente le forme toscane non vanno attribuite ai copisti, come per i Siciliani, ma rappresentano un elemanto linguistico peculiare degli stessi poeti.

Il lessico di provenienza isolana e meridionale costituisce dunque una componente significativa della poesia siculo-toscana. Alcuni sicilianismi che i poeti nati in Toscana riprendono dai Siciliani paiono configurarsi come veri e propri tecnicismi di questa poesia: per esempio, abento (“quiete”, “requie”, “tranquillità”); e dia (femminile, “giorno”). Di genesi analoga ma di diffusione più fortunata (giunge sino alla lingua poetica ottocentesca) è il condizionale fora (“sarebbe”, ma anche “sarei”).

Possiamo perciò concludere che la lingua dei testi siculo-toscani si presenta come un intarsio in cui il siciliano (o la varietà meridionale) convive senza difficoltà con la componente toscana. A questi ingredienti se ne affiancano altri di matrice provenzale e latina. L’uso di fonti diverse permette ai rimatori di aumentare il ventaglio delle scelte formali a loro disposizione e di costrui­re uno strumento comunicativo composito. Attraverso esperimenti di questo tipo si pongono le basi di quell’italiano poetico che nel Trecento troverà una compiuta sistemazione con Petrarca e che si rivelerà in grado di caratterizzare lo sviluppo della nostra poesia per diversi secoli.

La dolce fiamma - volume B plus
La dolce fiamma - volume B plus
Poesia e teatro - Letteratura delle origini