PER APPROFONDIRE - Dario Fo, Maria presso la croce

PER APPROFONDIRE

Dario Fo, Maria presso la croce

Mistero buffo del drammaturgo e attore Dario Fo (1926-2016), premio Nobel 1997 per la letteratura, è un testo teatrale del 1969, definito dall’autore come una «giullarata popolare in lingua padana del Quattrocento». Si tratta di una rivisitazione in chiave comico-grottesca delle sacre rappresentazioni medievali di cui Donna de Paradiso di Iacopone rappresenta, come si è visto, una sorta di antecedente.

È questo lo spettacolo più celebre di Fo, che ne è stato anche l’interprete principale nelle oltre cinquemila repliche allestite in Italia e all’estero nel corso degli anni. Spiega l’autore: «Mistero vuol dire rappresentazione sacra; mistero buffo vuol dire spettacolo grottesco. Chi ha inventato il mistero buffo è stato il popolo. […] Il teatro è stato il primo mezzo d’espressione, di comunicazione, ma anche di provocazione e di agitazione delle idee». Fo intende offrire agli spettatori la visione di un «cristianesimo primitivo, essenziale, in cui il dolore di Cristo e dell’uomo è unito insieme».

In Mistero buffo c’è una scena in particolare che ricorda da vicino proprio il testo di Iacopone, seppure rivisitato in una prospettiva laica, segnata ideologicamente dal marxismo dello scrittore. Si intitola Maria alla Croce. Le donne tentano di impedire a Maria di raggiungere la croce (una di esse pensa addirittura di tirarle una sassata per bloccarla). Ma lei ci arriva e, grazie a una scala, sale sulla croce per parlare con suo figlio e convincerlo a scendere. Un soldato cerca di allontanarla e lei, pur di rimanere lì, prova a corromperlo donandogli l’anello d’oro e gli orecchini d’argento. Infine giunge l’arcangelo Gabriele, che vorrebbe lenire il suo dolore di madre per il supplizio del figlio, ma la Madonna lo aggredisce verbalmente, rifiutando – citiamo le parole di Fo – «la logica dell’accettazione del sacrificio, senza che alcuno le abbia mai dato né notizia né avvertimento».

Un’ultima notazione riguarda la lingua adottata da Fo, una lingua che egli chiama grammelot: un idioma di per sé inventato, ma che si costruisce inglobando termini e accenti tipici dei diversi dialetti delle platee di fronte alle quali i giullari e i comici dell’arte si esibivano.

Riportiamo un brano di Maria alla Croce.


Grammelot


Maria (con un fil di voce) Dèime ’na scala… a vòj montàrghe a rénta al me nann… (si avvicina, straziata, lentamente alla croce e parla al figlio) Nan, oh ’l me bèlo smòrto fiól de mi… stàit següro méo bén, che ’dès la ’riva la tòa mama… Come i t’han combinàt (alza, via via, il tono della voce) ’sti assasìt, purscèl, becàri! (urla e corre intorno come cercasse i colpevoli) Còssa ol ’véa fàito, ’sto me tarlòch, de ’véghel inscì a scann de fav tanto canàja con lü! Ma am burlerì in ti mani: a vün a vün! Oh, m’la pagarì… anch’ duarìssi ’gniv a cercàv in capp al mund, ’nimàl, besti, sgrasió!


Cristo (parlando a fatica) Mama… no’ stat a criàr… mama…


Maria Pardùname, ol me nan, ’sto burdeléri ch’ho tràit in pie… e ’sti paròli de inrabìt che hu dit… ma l’è stàit ’stu strènc dulùr de truvàrte chi-lòga… impatacàt de sangu… stciuncàt… sü ’ste trave, sbiutàt… de bòtt pestà… sbusà in de’ i me’ bèj man si delicàt… e i pie… oh i pie!… che góta sangu, góta a góta… Ohi, che dua ès un gran mal!


Cristo (tra le parole, il respiro gli esce come un rantolo) No mama… no stàrte a casciàt… ’dès, t’el giüri… no’ sénti pì mal… no’ sénti pü nagòta… Va’ a ca’, mama, te pregi… va’ a ca’…


Maria Sì, sì… anderèm a ca’ insèma… ’égni sü, a tiràt giò de ’ste trave… (mima di salire sulla scala che uno degli astanti, con discrezione, ha appoggiato alla croce) cavàrte föra i ciòdi piano piàn… (si rivolge alle persone che le stanno intorno) Dèm una tenàj… (è disperata) Ajdéme quaidün!



Traduzione


Maria (con un fil di voce) Datemi una scala… voglio salire vicino alla mia creatura… (si avvicina, straziata, lentamente alla croce e parla al figlio) Bimbo… oh bello smorto figlio mio… stai sicuro mio bene, che adesso arriva la tua mamma… Come ti hanno conciato (alza, via via, il tono della voce) ’sti assassini, porci, macellai! (urla e corre intorno come cercasse i colpevoli) Cosa vi aveva fatto, ’sto mio tontolone, da averlo così in odio, da essere tanto canaglie con lui! Ma mi cadrete tra le mani: a uno a uno! Oh, me la pagherete… anche se dovessi venire a cercarvi in capo al mondo, animali, bestie, disgraziati!


Cristo (parlando a fatica) Mamma… non gridare… mamma.


Maria Perdonami, mio bene, ’sto bordello che ho tratto in piedi… e ’ste parole da fuori di testa che ho gridato… ma è stato ’sto dolore da scanno di trovarti qui… imbrattato di sangue… spezzato… su ’ste travi… denudato… di botte pesto… bucato nelle mie belle mani così delicate… e i piedi… oh i piedi!… che gocciolano sangue, goccia a goccia… Ohi, deve essere un gran male!


Cristo (tra le parole, il respiro gli esce come un rantolo) No mamma… non ti preoccupare… adesso, ti giuro… non sento più male… non sento più niente… Vai a casa, mamma, ti prego… vai a casa…


Maria Sì, sì… andremo a casa insieme… vengo su, a tirarti giù, a staccarti da ’ste travi… (mima di salire sulla scala che uno degli astanti, con discrezione, ha appoggiato alla croce) a cavarti i chiodi piano piano… (si rivolge alle persone che le stanno intorno) Datemi una tenaglia… (è disperata) Che qualcuno mi aiuti!

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