2. Alle origini della letteratura italiana

2. ALLE ORIGINI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Il fenomeno della poesia religiosa del Duecento rappresenta una pietra miliare per tutta la letteratura successiva: Francesco d’Assisi è un personaggio di straordinaria potenza umana e religiosa, ma anche poetica; Iacopone da Todi è la più importante personalità letteraria prima di Dante.

Leggendo i loro testi avremo modo di notare come queste due figure – che pure si muovono all’interno dello stesso orizzonte culturale (Iacopone entra nell’ordine fondato da Francesco) – siano profondamente diverse sia sul piano ideologico sia su quello prettamente letterario. Per esempio, mentre Francesco è portatore di una religiosità più aperta e positiva, che tende a valorizzare la bontà del creato, Iacopone incarna una visione più cupa, dominata dal senso del peccato e della colpa e vicina alla cultura dei flagellanti, la confraternita attiva nell’Umbria del XIII secolo i cui membri praticavano la mortificazione corporale attraverso l’autoflagellazione in pubblico.

Le esperienze letterarie di Francesco e Iacopone sono di fondamentale importanza anche per i futuri sviluppi della lingua italiana. Nel Duecento, per pregare anche al di fuori dei monasteri e a contatto con i fedeli più poveri e umili, viene percepita come sempre più urgente la necessità di un linguaggio che sia comprensibile a tutti, un linguaggio nuovo rispetto al latino della liturgia (cioè dei riti religiosi): il volgare, la lingua di uso comune.

La scelta prima di Francesco e poi di Iacopone di utilizzare il volgare umbro del tempo per la scrittura letteraria rappresenta una decisione assolutamente innovativa e assai significativa, non solo sul piano religioso ma anche e soprattutto su quello culturale.

Un segno divino

Secondo quanto è raccontato nella Legenda maior, la biografia di Francesco scritta da Bonaventura da Bagnoregio (1217 ca.-1274), mentre Francesco era in preghiera sul monte della Verna, vide Cristo con l’aspetto di una creatura celeste in croce e da lui ricevette nelle mani, nei piedi e nel costato le cicatrici della crocefissione. Alla fine del Duecento Giotto fu uno dei primi pittori a tradurre in immagini il testo del biografo. In questo dipinto, conservato al Louvre, i raggi di luce dalle ferite dell’angelo-Cristo raggiungono il corpo di Francesco. Quest’iconografia conobbe un’eccezionale diffusione e in parte trasformò la figura del frate di Assisi: non più un povero dal messaggio spirituale radicale, ma una sorta di doppio di Cristo, con le sue stesse ferite e cicatrici.

La dolce fiamma - volume B plus
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Poesia e teatro - Letteratura delle origini