3. La produzione in lingua d’oc
I trovatori cantano di guerra, a volte danno ammonimenti morali, non tralasciano del tutto la politica, ma è l’amore il centro della loro ispirazione. Come viene prescritto nel trattato De amore di Andrea Cappellano (1150 ca.-1220), che teorizza i princìpi dell’amore cortese influenzando tutta la lirica provenzale (▶ Doc. 5, p. 600), l’amore nasce dalla vista e si alimenta attraverso un’ossessiva immaginazione destinata a modificare le capacità intellettuali dell’amante. Si tratta – per usare un’espressione chiave provenzale – di un «fin’amor» (amore perfetto), di un sentimento inteso come forma di elevazione spirituale del poeta il quale, attraverso l’esperienza totalizzante del culto e della venerazione di una donna, innalza il proprio spirito.
L’amore è infatti elaborato secondo i codici stabiliti dai rapporti feudali: il poeta si relaziona alla donna amata come un vassallo al suo signore, offrendo una dedizione esclusiva e una promessa di devota sottomissione. Ciò spiega il suo atteggiamento reverenziale, l’adorazione discreta, la lode smisurata: tutti aspetti che configurano il suo corteggiamento come una vera e propria “servitù d’amore”. Da parte sua, la donna appare quasi irraggiungibile, arbitro assoluto di una relazione gerarchicamente sbilanciata: è per lo più una signora sposata, oggetto di una passione che non può essere soddisfatta, creatura inavvicinabile e innominabile al punto da essere evocata solo tramite un senhal, cioè uno pseudonimo volto a tutelarne l’onore dai pettegolezzi delle malelingue. Il desiderio, del resto, tende tanto più a crescere quanto più è concretamente irrealizzabile (non a caso una delle forme più frequenti di amore cortese è il cosiddetto amor de lonh, l’amore lontano).
Tuttavia la distanza incolmabile tra lo spasimante e l’oggetto della sua passione non annulla la portata sensuale del sentimento: sebbene la poesia trobadorica contenga molti tratti idealizzanti, traspare chiaramente anche la dimensione fisica del rapporto amoroso. Il corteggiamento implica certamente pazienza, umiltà e timidezza, ma anche l’aspirazione all’appagamento dei sensi.
La sperimentazione formale dei trovatori si riflette inoltre nel ventaglio di generi praticati, ciascuno riconoscibile per costruzione metrica e soprattutto per contenuto. Il genere lirico maggiormente attestato in tutta la tradizione provenzale è la canzone (in provenzale cansó), caratterizzata da una serie di strofe di numero variabile, con versi di varia lunghezza e dall’argomento amoroso.
Due forme “minori”, che mettono in scena sempre la medesima situazione e hanno un carattere popolareggiante (in relazione sia al tema sia alla struttura, imperniata sul ritornello), sono l’alba e la pastorella: la prima descrive il risveglio di due amanti costretti a separarsi dal sorgere del sole; la seconda vede come protagonista un cavaliere che si propone di sedurre una contadina ritrosa.
Diversi sono invece i temi del sirventese, di carattere satirico, moraleggiante e soprattutto politico, in cui il trovatore si fa portavoce di una posizione, personale o del suo signore, intorno a una causa di discordia. Infine vanno ricordati il planh (“compianto”), un lamento funebre su una personalità da poco scomparsa o su un evento tragico; il tenso (“tenzone”), in cui una certa vicenda politica o di attualità viene dibattuta da due interlocutori secondo lo schema della disputa; il plazer (“piacere”), consistente in un elenco di desideri o situazioni piacevoli, e il suo opposto, l’enueg (“noia”), catalogo di fastidi o situazioni spiacevoli.
La dolce fiamma - volume B plus
Poesia e teatro - Letteratura delle origini