T1 - La morte di Orlando (da Chanson de Roland)

T1

La morte di Orlando

  • Tratto da Chanson de Roland, lasse 170-175
  • Lingua originale d’oïl
  • Metro Nell’originale in lingua d’oïl strofe (lasse) di endecasillabi legate tra di loro da assonanze; qui versi liberi

Orlando ha suonato l’olifante e re Carlo ha così compreso che il paladino è stato tradito dal perfido Gano. L’esercito cristiano si muove in aiuto della retroguardia assalita dai saraceni, ma ormai Orlando sta per morire.

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Audiolettura

170

Orlando sente che la vista ha perduto;

si drizza in piedi, si sforza quanto può;

il suo viso ogni colore ha perduto.

Davanti a lui c’è una pietra bruna:

5      vibra dieci colpi con dolore ed ira;

stride l’acciaio, ma non si spezza o spunta.

«Ah! – dice il conte – Santa Maria, aiuto!

Ah! Mia buona Durendal, pietà di voi!

Poiché io muoio, di voi non ho più cura.

10    Tante battaglie sul campo con voi ho vinto

e tante vaste terre ho conquistato,

che tiene Carlo, dalla barba canuta!

Non v’abbia mai chi per un altro fugge!

Un buon vassallo vi ha tenuto a lungo:

15    Francia la libera mai ne avrà uno simile».


171

Colpisce Orlando la pietra di Cerritania:

stride l’acciaio, ma non si scheggia o spunta.

Quando comprende che non può spezzarla,

dentro di sé comincia a piangerla:

20    «Ah! Durendal, come sei chiara e bianca!

Contro il sole come splendi e fiammeggi!

Era Carlo nelle valli di Moriane,

quando Dio dal cielo gli ordinò per un angelo

che ti donasse a un conte capitano:

25    allora me la cinse il re gentile, il grande.

Con lei gli ho conquistato l’Anjou e la Bretagna,

con lei gli ho conquistato e Poitou e Maine,

con lei gli ho conquistato Normandia la nobile,

con lei gli ho conquistato Provenza ed Aquitania

30    e Lombardia e tutta la Romagna;

gli ho conquistato Baviera e l’intera Fiandra

e Bulgaria e tutta la Polonia,

Costantinopoli, di cui ebbe l’omaggio,

ed in Sassonia può tutto ciò che vuole;

35    con lei gli ho conquistato Scozia e Irlanda

e l’Inghilterra che “sua camera” chiamava;

con lei gli ho conquistato paesi e terre tante,

che tiene Carlo dalla barba bianca.

Per questa spada ho dolore e pena:

40    preferisco morire che abbandonarla tra i pagani.

Dio padre, non lasciare che Francia sia disonorata!».

172

Orlando sferra colpi su una pietra grigia:

più ne frantuma di quanto io sappia dire.

Stride la spada, non si scheggia o spezza,

45    rimbalza in alto contro il cielo.

Quando il conte vede che non potrà spezzarla,

dolcissimamente la piange dentro sé:

«Ah! Durendal, come sei bella e santa!

Il tuo pomo d’oro è colmo di reliquie:

50    il dente di san Pietro, il sangue di san Basilio

e i capelli del signor mio san Dionigi;

e un lembo della veste di santa Maria.

Non è giusto che t’abbiano i pagani;

dai cristiani dovete esser servita.

55    Non v’abbia mai chi faccia  codardia!

Con voi avrò conquistato tante vaste terre,

che tiene Carlo dalla barba fiorita,

e così l’imperatore è potente e ricco».

173

Orlando sente che la morte lo invade,

60    dalla testa sul cuore gli discende.

Sotto un pino se ne va correndo,

sull’erba verde s’è coricato prono,

sotto di sé mette la spada e il corno.

Ha rivolto il capo verso la pagana gente:

65    l’ha fatto perché in verità desidera

che Carlo dica a tutta la sua gente

che da vincitore è morto il nobile conte.

Confessa la sua colpa rapido e sovente,

per i suoi peccati tende il guanto a Dio.


174

70    Orlando sente che il suo tempo è finito.

Sta sopra un poggio scosceso, verso Spagna;

con una mano s’è battuto il petto:

«Dio! mea culpa, per la grazia tua,

dei miei peccati, dei piccoli e dei grandi,

75    che ho commesso dal giorno che son nato

fino a questo giorno in cui sono abbattuto!».

Il guanto destro ha teso verso Dio.

Angeli dal cielo sino a lui discendono.

175

Il conte Orlando è disteso sotto un pino,

80    verso la Spagna ha rivolto il viso.

Di molte cose comincia a ricordarsi,

di tante terre che ha conquistato, il prode,

della dolce Francia, della sua stirpe,

di Carlomagno, suo re, che lo nutrì;

85    non può frenare lacrime e sospiri.

Ma non vuol dimenticar se stesso,

proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:

«O padre vero, che giammai mentisci,

tu che resuscitasti Lazzaro da morte

90    e Daniele salvasti dai leoni,

salva l’anima mia da tutti i pericoli

per i peccati che in vita mia commisi!».

A Dio ha offerto il guanto destro:

san Gabriele con la sua mano l’ha preso.

95    Sopra il braccio teneva il capo chino;

con le mani giunte è andato alla sua fine.

Dio gli manda l’angelo Cherubino

e san Michele del Pericolo del mare;

insieme a loro venne san Gabriele:

100 portano in paradiso l’anima del conte.


La chanson de Roland, traduzione di Graziano Ruffini, Guanda, Parma 1981

 >> pagina 614 

A tu per tu con il testo

Forse ti è capitato da bambino di assistere al teatro delle marionette. Un tempo – fino ancora a qualche decennio fa – i cantastorie portavano nelle piazze le epiche narrazioni dei cavalieri medievali, ma ancora oggi quegli eroi immortalati dalle antiche chansons, tramutatisi in fantocci di legno o di stoffa mossi dall’alto tramite fili, divertono il pubblico delle sagre e delle fiere. Ebbene prova a pensare alla scenografia, a Orlando morente che fa di tutto affinché la propria spada non finisca nelle mani dei nemici e infine si abbandona agli ultimi pensieri raccomandandosi al Signore. Il messaggio sacrale oggi può toccarci di meno, ma il commovente e tragico epilogo della storia, con il suo fulgido esempio di decoro e di fedeltà, ci immerge nel clima e nei valori di un’epoca affascinante come quella medievale.

Analisi

Il passo riportato – il più celebre dell’intero poema – unisce alla materia epica un senso di umanità e intensa commozione. Qui il più forte paladino di Carlo Magno appare diverso da come è stato presentato fino a quel momento nel poema: non una sorta di semidio, non il guerriero invincibile che da solo può sbaragliare un esercito, ma un uomo tra gli uomini, una creatura consapevole dei propri limiti. In punto di morte, prima pensa al passato, alle conquiste ottenute, al suo sovrano, ai momenti felici e gloriosi; poi si rende definitivamente conto che la sua vita sta per finire, e allora non esita a compiere il gesto di sottomissione a Dio a cui ogni cristiano è chiamato in punto di morte.

 >> pagina 615 

Quando sente la fine vicina, Orlando riafferma la propria identità di guerriero con due atti altamente simbolici. In un primo momento, come in preda al furore, tenta di distruggere la propria spada, che il codice cavalleresco impone non debba finire nelle mani del nemico (v. 40). La sua arma, quasi umanizzata, compagna fedele di tante imprese memorabili, ha condiviso ogni momento glorioso con il paladino: deve pertanto spezzarsi proprio come la vita del suo padrone. Tuttavia Orlando, privo di forze, non riesce nell’impresa, ma compie l’ultimo gesto di eroe orgoglioso. Guarda infatti in direzione del nemico (verso la Spagna ha rivolto il viso, v. 80): non si tratta di uno sguardo di resa, ma al contrario di un ultimo atto di sfida e di rivendicazione solenne.

Questa scena segna una cesura evidente nella rappresentazione degli ultimi istanti di vita del paladino. Il vassallo del re Carlo cede il passo all’altra faccia della sua identità: quella del servitore di Dio. Orlando, infatti, disteso sotto un pino (un albero imponente, simbolo dello slancio divino), può chiedere perdono a Dio dei peccati commessi, pregarlo per la salvezza della propria anima e offrirgli il guanto in segno di devozione e sottomissione. Il gesto estremo rientra nel codice cerimoniale feudale: il guerriero e il santo muoiono insieme.

Nonostante la struttura semplice e lineare dei periodi (in cui prevale decisamente la paratassi), il tono del passo è improntato a un’indubbia solennità, tipica dei moduli formali della tradizione epica (non solo medievale, ma anche classica). Lo testimoniano gli elenchi (le conquiste di Orlando per conto di re Carlo), gli epiteti formulari (come quelli riferiti a Carlo Magno: dalla barba canuta, v. 12; dalla barba fiorita, v. 57; il re gentile, il grande, v. 25), le frequenti anafore, la ripetizione, seppure variata, di alcune azioni o di alcune frasi (per esempio: per i suoi peccati tende il guanto a Dio, v. 69; Il guanto destro ha teso verso Dio, v. 77; A Dio ha offerto il guanto destro, v. 93).

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Suddividi il brano in sequenze e assegna un titolo a ognuna.


2. Perché Orlando cerca di distruggere la sua spada?


3. Che cosa chiede a Dio il paladino?


4. La richiesta di Orlando viene accolta? Da che cosa lo capisci?

ANALIZZARE

5. Trova altri esempi, oltre a quelli forniti nell’analisi, di azioni ripetute e descritte in punti successivi del brano.


6. Riporta alcuni esempi di anafora.


7. Quali appellativi vengono usati per indicare il paladino Orlando?

INTERPRETARE

8. Nella seconda lassa, Orlando enumera le proprie conquiste e dice gli ho conquistato: a chi è riferito il pronome “gli”? Perché viene usata questa formula?


9. Quali valori tipicamente cavallereschi emergono in questo brano? Fai riferimento ai passi del testo che, secondo te, li esprimono in modo significativo.

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. I verbi. In questo passo sono usate più volte forme verbali che esprimono desiderio, volontà, comando. Individua nel testo esempi di:


a) congiuntivo desiderativo/ottativo;

b) imperativo positivo/negativo;

c) futuro imperativo;

d) costrutti fraseologici/con ausiliare.

La dolce fiamma - volume B plus
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