Doc 3 - Pietro Abelardo, Un maestro brillante e un seguito di studenti appassionati (da Historia calamitatum mearum)

Doc 3

Pietro Abelardo

Un maestro brillante e un seguito di studenti appassionati

  • Tratto da Historia calamitatum mearum (Storia delle mie disgrazie), 1136 ca.
  • Lingua originale latino

L’autore

Figura affascinante e spirito battagliero, sempre al centro di dispute e polemiche, Abelardo ha una vita avventurosa e burrascosa. Discendente da una nobile famiglia bretone (è nato a Le Pallet, nei pressi di Nantes, nel 1079), dopo aver girato la Francia come studente, comincia a insegnare muovendosi senza sosta da una città all’altra fondando scuole e dando un forte impulso alla diffusione del pensiero filosofico. Affascinate da come spiega la Bibbia e i testi dei Padri della Chiesa, folle di allievi ne seguono il girovagare. Tra questi, nella scuola di Notre-Dame a Parigi, c’è anche la giovane Eloisa: la storia d’amore, documentata dalle lettere e raccontata da Abelardo stesso in un’autobiografia in latino, Historia mearum calamitatum (Storia delle mie disgrazie), appassionerà generazioni di lettori. Accusato di eresia, viene scomunicato nel 1141 e muore nel 1142, nel monastero di Saint-Marcel-sur-Saône.

Come vivevano gli studenti medievali? Le testimonianze a nostra disposizione raccontano di esistenze turbolente e appassionate, trascorse tra biblioteche, scuole e osterie di infimo ordine, in mezzo ai libri, ma anche alle bottiglie e ai coltelli. Gli studenti arrivano da qualsia­si luogo, spesso senza un soldo ma disposti ad affrontare qualunque sacrificio per frequentare le lezioni di maestri prestigiosi. Le rette universitarie sono sempre molto alte: ne sono esenti solo coloro che possono dimostrare la propria povertà e quindi sfruttano una specie di borsa di studio, erogata dall’università, oppure da qualche benefattore o in certi casi dagli stessi insegnanti. Questi ultimi creano con i propri studenti una sorta di confidenziale sodalizio, come dimostra questo documento.

Mi ritirai allora in un eremo che già conoscevo dalle parti di Troyes:1 là alcuni benefattori mi donarono un pezzo di terra e io, con l’approvazione del vescovo della regione, vi costruii un oratorio2 di canne e stoppie dedicandolo alla Santa Trinità.3 […] Ben presto, i miei discepoli scoprirono dove mi trovavo e cominciarono ad affluire da tutte le parti: abbandonavano città e villaggi per venire ad abitare nel deserto; lasciavano le loro comode case e si costruivano piccole capanne; abbandonavano i cibi prelibati cui erano avvezzi, per nutrirsi di erbe selvatiche e di pane duro; abbandonavano i loro letti molli per riposare su pagliericci che si costruivano con le loro mani, abbandonavano le loro tavole e si accontentavano di mense fatte con zolle di terra. […]

In verità, allora fu proprio l’estrema povertà in cui vivevo che mi indusse ad aprire una scuola: «Per lavorare la terra non avevo le forze, a mendicare mi vergognavo»,4 e così, ricorrendo all’unica arte che conoscevo, invece di lavorare con le mani misi a frutto la fatica della lingua. Gli studenti stessi mi fornivano tutto quello di cui avevo bisogno, dal cibo ai capi di vestiario, e provvedevano alla coltivazione dei miei campi e alle spese per i vari edifici, in modo che nessun pensiero di ordine pratico mi distraeva dallo studio. Quando poi il mio piccolo oratorio non bastò più a contenerli tutti e si dovette ingrandirlo in rapporto alle nuove esigenze, essi vi provvidero personalmente costruendone uno più bello di pietra e di legno.

 >> pagina 597

Doc 4

Quando siamo alla taverna

  • Tratto da Carmina Burana, XIII sec.
  • Lingua originale latino
  • Metro Strofe di 8 versi ottonari a coppie di rime baciate

La vita degli studenti non è solo sacrificio e studio. C’è spazio anche per le distrazioni. Il luogo per i divertimenti più sfrenati è l’osteria, dove si esprime senza inibizioni il tratto più caratteristico delle comunità studentesche del tempo, la goliardia, l’insieme cioè delle consuetudini vivaci e chiassose dei giovani universitari (il termine ha un’origine incerta, ma molti studiosi lo associano a Golia, il gigante biblico che nel Medioevo simboleggia il diavolo). Ne troviamo traccia nei Carmina Burana (così chiamati dal convento di Bura Sancti Benedicti, ora Benediktebeuern, dove furono ritrovati), componimenti del XIII secolo per lo più in latino ma anche in francese e tedesco, scritti per essere musicati e cantati, in cui si celebrano i piaceri del vino e dei sensi. Quelle che seguono sono le prime e le ultime strofe di uno dei più noti tra questi canti medievali.

In taberna quando sumus,

non curamus quid sit humus,

sed ad ludum properamus,

cui semper insudamus.

Quid agatur in taberna

ubi nummus est pincerna,

hoc est opus ut quaeratur;

si quid loquar, audiatur.

Quidam ludunt, quidam bibunt,

quidam indiscrete vivunt.

Sed in ludo qui morantur,

ex his quidam denudantur,

quidam ibi vestiuntur,

quidam saccis induuntur.

Ibi nullus timet mortem,

sed pro Baccho mittunt sortem.

[…]

Bibit hera, bibit herus,

bibit miles, bibit clerus,

bibit ille, bibit illa,

bibit servus cum ancilla,

bibit velox, bibit piger,

bibit albus, bibit niger,

bibit constans, bibit vagus,

bibit rudis, bibit magus,

bibit pauper et aegrotus,

bibit exul et ignotus,

bibit puer, bibit canus,

bibit praesul et decanus,

bibit soror, bibit frater,

bibit anus, bibit mater,

bibit ista, bibit ille,

bibunt centum, bibunt mille.


Parum sescentae nummatae

durant cum immoderate

bibunt omnes sine meta,

quamvis bibant mente laeta.

Sic nos rodunt omnes gentes,

et sic erimus egentes.

Qui nos rodunt confundantur

et cum iustis non scribantur.

 >> pagina 598 

INVITO ALL’ASCOLTO I Carmina Burana di Carl Orff

La fama dei Carmina Burana presso il grande pubblico si deve all’omonima cantata scenica composta su questi testi goliardici del XIII secolo dal musicista tedesco Carl Orff (1895-1982), rappresentata per la prima volta nel 1937 a Francoforte. Orff ha musicato 24 dei 315 componimenti originali (47 dei quali riportano l’andamento melodico, che è stato ricostruito dagli studiosi).

Rielaborazione di musica medievale e danze popolari, i Carmina Burana di Orff si strutturano in un prologo e un finale speculari sulla «Fortuna imperatrice del mondo», e 3 parti dedicate alla primavera, ai piaceri della taverna e all’amore sensuale. Queste «canzoni profane per cantori e cori da eseguire con il sussidio di strumenti e di immagini magiche» sono una derivazione profana del canto corale gregoriano. Il complesso orchestrale è ricco e ben sfruttato nelle coloriture timbriche; l’armonizzazione è coinvolgente, l’insistenza ritmica quasi ossessiva per il sapiente uso degli strumenti percussivi. Il risultato è una partitura d’effetto: scorrevole, animata, avvincente.

I Carmina Burana fanno parte del trittico teatrale di Orff “Trionfi”, che include anche i Catulli carmina (ludi scenici, 1943) e il Trionfo di Afrodite (concerto scenico, 1953).

 >> pagina 599

Coraggio e amore: i valori della civiltà cortese

Sin dalla seconda metà dell’XI secolo, la debolezza dell’autorità politica determina una frammentazione del sistema e il conseguente sviluppo delle corti. Guidate da potenti signori feudali, queste ultime accolgono chierici e giullari, pagati per intrattenere un pubblico di aristocratici spettatori.

Lontane dagli ambiti monastici e svincolate dalla tutela ecclesiastica, le corti (in special modo quelle provenzali e quelle francesi) diventano i principali luoghi di elaborazione e trasmissione culturale, almeno fino alla metà del Duecento. L’ideologia promossa è quella cavalleresca, alimentata da una nuova classe militare, formatasi nell’ambito della società feudale. I cavalieri spesso provengono dalla nobiltà oppure dalla cerchia dei funzionari al servizio del signore. Questo nuovo ceto diffonde all’interno della corte sentimenti e virtù ben diversi da quelli esaltati dalla predicazione religiosa: il coraggio, la forza, la lealtà, la nobiltà d’animo, il senso dell’onore.

A questi ideali va aggiunta però anche una componente spirituale, legata alla difesa della cristianità, minacciata dagli “infedeli”. Dalla volontà di rinsaldare l’identità religiosa del popolo e di celebrare le doti eroiche della classe dominante nascono in lingua d’oïl (utilizzata nella Francia settentrionale) le cosiddette “canzoni di gesta” (la più nota tra queste è la Chanson de Roland), la prima forma di epica in lingua volgare che traduce, attraverso l’esaltazione delle imprese leggendarie dei paladini di Carlo Magno, le aspirazioni dell’aristocrazia feudale impegnata nelle crociate contro i musulmani.

Tuttavia la civiltà cortese non si esaurisce nella celebrazione delle virtù del cavaliere al servizio del signore e di Dio: con il passare degli anni essa elabora una visione della vita più laica e mondana. Allo stesso tempo, mentre si assiste alla crescita delle attività mercantili, le élite cavalleresche desiderano sottolineare la diversità del nobile “cortese”, prodigo e liberale rispetto all’uomo comune che, per quanto ricco, rimane pur sempre un “villano”, un “arricchito”, e non un vero nobile. Di qui la nascita di un modello di vita in cui rivestono un ruolo centrale la generosità, la finezza dei comportamenti, il disinteresse per il denaro e soprattutto l’amore per la donna. Attenzione, però: l’amore non va inteso come un sentimento materiale né comune. Il cavaliere corteggia una figura femminile irraggiungibile (in molti casi è la moglie stessa del signore), omaggiata con la stessa devozione di cui sono fatti oggetto la divinità e il sovrano. Per la sua bellezza, l’innamorato è disposto a compiere ogni impresa, felice di relazionarsi a lei come un vassallo che presta il proprio “servizio d’amore” pur di ricevere in cambio anche solo uno sguardo o un saluto.

Il tema dell’amore è il filo rosso che lega tutta la produzione cortese in lingua d’oc (sviluppatasi nel Sud della Francia), dal romanzo alla lirica dei poeti provenzali, i cosiddetti “trovatori” (dal verbo occitano trobar, cioè “comporre”, “inventare”). Né mancano trattati che espongono i principali precetti della materia: tra questi, il chierico francese Andrea Cappellano nel De amore detta i comandamenti del comportamento amoroso.

La dolce fiamma - volume B plus
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Poesia e teatro - Letteratura delle origini