Un mondo di simboli e allegorie

Un mondo di simboli e allegorie

Come ha scritto lo storico francese Jacques Le Goff (1924-2014), l’uomo medievale si vede inscritto all’interno di un orizzonte invariabile, circondato da «una rete di dipendenze terrene e celesti»: ogni gesto compiuto sulla terra ha una rispondenza in cielo, nell’ambito di un preciso ordine unitario ed eterno. Per quanto molteplici e frammentarie appaiano le manifestazioni e le forme della realtà, esse riconducono all’autorità divina, a cui tutto è subordinato. Anche i saperi rientrano in un sistema precostituito, indiscutibile e universale: non vanno dunque approfonditi sulla base di un criterio settoriale e specifico, ma organizzati in una dimensione globale e collocati in un fittissimo reticolo simbolico, entro il quale nulla può essere considerato separatamente.

La cultura medievale può dirsi perciò “enciclopedica”, in quanto tendente a includere e fondere l’intero scibile umano in una visione coerente e unitaria: l’intellettuale non si specializza nella singola disciplina, ma compendia tutte le conoscenze per intraprendere quel cammino graduale che porta all’intelligenza perfetta, cioè a Dio.

D'altra parte, nel Medioevo, la forma con cui appaiono fenomeni, oggetti e animali cela sempre una verità trascendente: il mondo è una foresta di segnali soprannaturali, che rimandano alla volontà divina. L’interpretazione simbolica non si limita però al mondo naturale, ma si estende anche alla lettura dei libri antichi.

In quanto espressione di una cultura pagana, i classici venivano letti dai primi intellettuali cristiani della tarda antichità in un’ottica negativa. Per portare un esempio illustre di questa profonda diffidenza, basta citare il giudizio di san Girolamo (347 ca-420) il  Padre della Chiesa che aveva tradotto in latino la Bibbia – il quale condannava l’opera dei poeti e dei retori greci e latini come «cibo del diavolo». Più aperto al dialogo con il mondo classico era stato invece sant’Agostino (354-430), che rintracciava nelle opere pagane anche «precetti utilissimi di morale», sempre se integrati con le illuminanti verità della fede cristiana.

Sulla scorta della posizione di sant’Agostino, lungo tutto il Medioevo si ritiene che il patrimonio dell’antichità possa essere ereditato e rielaborato alla ricerca di insegnamenti validi anche per il presente, a patto di liberarlo dal velo bello ma menzognero della finzione letteraria con cui è rivestito. In tal modo, nei testi si cerca “altro”, cioè un significato ulteriore rispetto a quello che sembra essi dicano a prima vista: e in questo, appunto, sta lo scopo dell’interpretazione allegorica (dal greco állon agoréuo, cioè “dico altro”). Così, gli autori classici, prima oggetto di discriminazioni religiose, ora vengono rivalutati, considerati come anticipatori di questo o quel messaggio cristiano e omaggiati come spiriti profetici: compito dell’interprete cristiano è individuare e portare alla luce le verità della fede celate sotto la superficie delle loro opere.

Questo metodo dà avvio a un processo di cristianizzazione di poeti e filosofi dell’antichità: quel grande patrimonio artistico e culturale viene ora assimilato – sia pure con tutte le evidenti distorsioni del caso – all’interno del pensiero cristiano. Valga per tutti il destino di Virgilio, il poeta latino più amato nel Medioevo (non a caso scelto da Dante come propria guida nell’Inferno e nel Purgatorio), celebrato come annunciatore della venuta del Redentore solo per aver cantato, nella quarta delle sue Bucoliche, l’avvento di una nuova epoca di pace dopo la nascita di un bambino (un puer). Il discorso potrebbe essere esteso ad altri esempi: in generale si può dire che tutta l’attività culturale venga svolta non per promuovere tendenze o valori nuovi, ma per consolidare i fondamenti della dottrina cristiana.
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Per la cultura medievale, infatti, comprendere un testo significa penetrare nella sua complessità e recepirne le verità trascendenti e i messaggi, spesso reconditi, che esso nasconde. Ciò sottintende che, come la natura contiene allusioni continue a un disegno superiore, così la scrittura è polisemica”, esprime cioè significati diversi a seconda della prospettiva e della profondità con cui viene esplorata.

Per fare chiarezza sulle modalità con le quali vengono letti nel Medioevo i testi, sia quelli sacri sia quelli letterari, possiamo affidarci alla sintesi schematica ma efficace proposta da Dante nel trattato intitolato Convivio (1303-1307). L’autore distingue quattro livelli di comprensione: letterale, allegorico, morale e anagogico. Il senso letterale è il più superficiale, poiché analizza e comprende solo ciò che il testo esprime direttamente; quello allegorico affida alla scrittura un significato riposto e allusivo, diverso dal contenuto logico delle parole; quello morale ha lo scopo di ricavare dalla lettura un insegnamento; quello anagogico (dal greco anagoghé, “innalzamento”, “sublimazione”), infine, induce a considerare le vicende narrate nei testi sacri come “prefigurazione” di verità divine o rimandi alle verità teo­logiche più oscure. Quest’ultima concezione riguarda essenzialmente il contenuto dell’Antico Testamento, che è inteso come “figura” (vale a dire concreta anticipazione) del Nuovo: la fuga degli Ebrei dall’Egitto – per fare un esempio – non è solo un fatto storico, ma rappresenta, preannunciandola, la liberazione dal peccato originale, avvenuta grazie a Cristo.

PER APPROFONDIRE

Virgilio, il “profeta” di Cristo

Com’è possibile che il poeta più famoso della latinità pagana, autore dell’Eneide, il poema che celebra il destino di grandezza di Roma, si sia trasformato nel Medioevo in una sorta di “uomo divino”, in una figura leggendaria di mago sapiente, benefico e miracoloso? La risposta si trova nella quarta delle sue dieci Bucoliche: qui il poeta annuncia il ritorno di una nuova età dell’oro in seguito alla nascita di un “bambino divino” che avrebbe finalmente riportato sulla terra pace e prosperità. Chi è realmente questo puer di cui parla Virgilio? L’ipotesi più accreditata lo identifica con il figlio del console Asinio Pollione, a cui il carme è dedicato. Ma, a partire dal IV-V secolo d.C., il tono messianico del testo autorizza una lettura in chiave cristiana dell’opera virgiliana: il bambino sarebbe da identificare con la figura storica di Gesù Cristo. È un’ipotesi a cui Dante crede fermamente, al punto da far dire al poeta latino Stazio, nel canto XXII del Purgatorio, di essersi convertito al cristianesimo proprio grazie alla lettura delle Bucoliche.

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Poesia e teatro - Letteratura delle origini