L’EPOCA E LE IDEE

1. LA STORIA E LA SOCIETÀ

Con il termine “Medioevo” si intende un periodo storico durato quasi mille anni, che convenzionalmente inizia con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) e termina con la scoperta dell’America (1492). All’interno di questi confini temporali, si è soliti distinguere l’Alto Medioevo (dal V al X secolo) dal Basso Medioevo (dall’XI al XV secolo).

In questo millennio, ricchissimo di eventi e mutamenti, il continente europeo vive dapprima la crisi irreversibile del mondo romano con le invasioni barbariche, poi costrui­sce lentamente la propria fisionomia politica, culturale, linguistica e religiosa, unendo l’elemento latino con quello “barbaro”.

La definizione di “Medioevo”, che ancora oggi adoperiamo, è frutto del giudizio di uomini di epoche successive, che intendevano distinguere il progresso culturale dei tempi in cui vivevano dalla presunta arretratezza della civiltà immediatamente precedente. Medioevo, infatti, vuol dire “età di mezzo”: l’espressione viene coniata dagli intellettuali umanisti italiani del XV secolo che, mentre si propongono di recuperare lo spirito dell’antichità greca e romana, accomunano nel rifiuto e nel disprezzo i secoli nei quali le forme dell’arte e della cultura classiche sono a loro parere declinate e scomparse.

Tracciando una sorta di itinerario della civiltà, essi sentono di dare vita alla rinascita della sapienza, della bellezza e della dignità umana dopo una lunga parentesi di decadenza iniziata con la fine dell’Impero romano. L’idea di un’umanità ridestatasi dopo dieci secoli di letargo diventerà poi una costante mentale anche nei secoli successivi. Così, per i riformatori protestanti del XVI secolo il Medioevo sarà l’epoca della corruzione della Chiesa, mentre per gli illuministi del Settecento esso coinciderà con il trionfo dell’ignoranza e della superstizione.

La civiltà feudale

Dopo la caduta dell’Impero romano e fino all’VIII secolo inoltrato, l’Europa vive un periodo di quasi totale assenza di scambi e comunicazioni; le forme statali precedenti perdono qualsiasi consistenza, le città si spopolano e il sistema socioeconomico si incentra sulla  curtis, luogo produttivo e sociale che provvede ai bisogni primari della popolazione secondo un criterio di autosufficienza.

Della civiltà del Mediterraneo resta dunque ben poco, mentre acquista maggiore rilievo il Nord europeo, dove nasce il regno dei Franchi e con Carlo Magno (imperatore dall’800 all’814) prende vita il Sacro romano impero. In tale contesto si afferma il feudalesimo, una complessa organizzazione socioeconomica con importanti risvolti politici, che ordina e disciplina i legami tra gli uomini dopo le turbolenze delle invasioni barbariche e il crollo delle istituzioni precedenti.

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Con il feudalesimo cambiano le basi del potere. I sovrani si circondano di cavalieri disposti a combattere al loro servizio, ricompensati con il dono di terre e castelli, che costituiscono il cosiddetto “feudo”. Coloro che ricevono questi beni sono chiamati “vassalli” (dal latino medievale vassus, “servo”), e loro dovere è assicurare al sovrano protezione, lealtà e obbedienza. Inizialmente i feudi non hanno caratteristiche permanenti, ma durante l’XI secolo ne viene riconosciuta l’ereditarietà con la cosiddetta Constitutio de feudis, documento emanato dall’imperatore Corrado il Salico nel 1037. In precedenza, il diritto di successione era regolato solo per i feudi maggiori tramite il Capitolare di Quierzy, varato nell’877 dal re franco Carlo il Calvo. La conseguenza dell’ereditarietà dei feudi è che ogni vassallo, ormai proprietario delle terre, può a sua volta diventare signore, assegnando terre e assicurandosi un proprio esercito personale.
La figura del monarca, ancora virtualmente egemone, diventa via via quasi ininfluente, soppiantata dal moltiplicarsi dei signori feudali, capaci di esercitare un’effettiva autorità sul proprio territorio locale assoldando milizie e imponendo tributi. Il potere politico, in assenza di una guida centrale autorevole e riconoscibile, è molto frammentato e ciò che determina la gerarchia politico-sociale è esclusivamente il possesso delle armi e delle terre. La divisione della società medievale risente chiaramente di tale presupposto: secondo la distinzione operata dal vescovo francese Adalberone di Laon (947 ca-1030), al vertice della piramide feudale ci sono i guerrieri (bellatores), poi gli uomini di Chiesa (oratores) e, sul gradino più basso, i semplici contadini (laboratores). Questa organizzazione è rigida e statica, non ammette cambiamenti poiché ritenuta figlia della volontà di Dio e di un preciso ordine provvidenziale. Dobbiamo aspettare il riscatto delle città e la ripresa economica, agli albori del Mille, per assistere a un profondo rinnovamento sociale.

La rinascita dopo l’anno Mille

Dopo l’anno Mille le strutture politiche e sociali subiscono un’ulteriore evoluzione. Il panorama politico europeo ha raggiunto una maggiore stabilità: l’Impero controlla l’area centro-settentrionale dell’Europa e si spinge fino all’Italia del Nord, i Normanni hanno conquistato l’Italia meridionale e cacciato gli Arabi, costretti ad abbandonare anche buona parte della Spagna in seguito alla Reconquista cristiana. La minore conflittualità politica generale conduce a significativi cambiamenti anche in ambito socioeconomico.

A partire dall’XI secolo e poi soprattutto nel corso del XII, infatti, si registra una vera e propria rinascita. Le nuove tecniche di produzione agricola permettono maggiori rendimenti, le terre più difficili da coltivare vengono dissodate e complessivamente aumentano la quantità e la varietà di cibo disponibile. Migliorano le vie di comunicazione e i commerci riacquistano vigore.

Accanto a questi primi segnali di ripresa economica si registra un aumento demografico e le città, dopo un lungo periodo di decadenza e abbandono, tornano a popolarsi e a rifiorire. Se nei secoli precedenti i centri urbani erano stati soppiantati dai castelli, ora assumono di nuovo il ruolo di snodi fondamentali per i traffici e per l’intera vita civile, poli di attività economiche, professionali e artistiche. Alla cultura legata alla terra, su cui si fondava la società retta dal sistema feudale, subentra una visione più dinamica, basata sullo scambio, sulla comunicazione, sul denaro, sull’attività imprenditoriale di cui si fa promotore un nuovo ceto sociale, la borghesia mercantile (dal latino burgus, cioè borgo” ).

Lo sviluppo delle città mette dunque in crisi il potere politico legato ai rigidi schemi feudali e ne incrina le strutture. Anche il panorama geopolitico comincia a mutare la propria fisionomia: in Francia e in Spagna prendono forma le prime monarchie nazionali, mentre nell’Italia centro-settentrionale, soprattutto in Lombardia e in Toscana, si sviluppano ricche e organizzate autonomie cittadine. Nell’Italia meridionale, dall’XI secolo sotto la dominazione normanna, rimane invece forte la monarchia centralizzata.

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I nuovi centri urbani della penisola, che prendono il nome di Comuni, organizzano le proprie strutture attraverso meccanismi sempre più efficienti: cittadini che provengono dalle diverse categorie produttive e sociali (magistrati, artigiani, piccoli proprietari terrieri) si uniscono in forme associative istituzionali e regolamentano la vita collettiva grazie alla magistratura civile che disciplina l’ordine pubblico e a una crescente autonomia amministrativa. Questa capacità organizzativa e l’alto grado di libertà che ne deriva entrano rapidamente in collisione con l’Impero, che vede messe in pericolo le proprie prerogative, come la riscossione delle tasse, oppure la nomina del massimo magistrato civile, il podestà, o ancora il diritto di ricevere uomini e mezzi per le campagne belliche.

A metà del XII secolo, l’imperatore Federico I detto il Barbarossa tenta infatti di riaffermare la propria autorità sui Comuni, ma viene duramente sconfitto e con la pace di Costanza (1183) è costretto a riconoscere loro una sostanziale autonomia politica, rinunciando, tra l’altro, alla nomina del podestà. Né esito diverso ottiene il disegno del nipote Federico II di restaurare il dominio imperiale in Italia: la sconfitta a Parma (1248) contro una lega di Comuni settentrionali e la sua morte (1250) sanciscono la fine di ogni realistico progetto di ripristino dei diritti imperiali.

La realtà comunale, al di là dei conflitti con l’Impero, non è però pacifica. All’inizio, il Comune è governato da esponenti della nobiltà, tra i quali viene scelto il podestà; successivamente, nel corso del Duecento, guadagnano una maggiore forza politica i membri della borghesia, più influenti dal punto di vista economico. Questi ultimi prendono presto le redini del potere, relegando ai margini sia il popolo minuto, estromesso dalle cariche cittadine, sia la piccola nobiltà. La situazione di costante turbolenza istituzionale, di conflittualità estesa e violenta, è rinfocolata anche dalle alleanze delle varie fazioni con l’Impero o con il Papato, i due poteri che proseguono le loro diatribe anche attraverso le lotte interne ai diversi governi locali. Intorno alla metà del Duecento, infatti, sono frequenti i conflitti tra i guelfi (gli esponenti filopapali, dalla casata di Baviera dei Welfen, devoti alla Santa Sede) e i ghibellini (i sostenitori della causa imperiale, il cui nome deriva dal castello svevo di Waiblingen). I primi avranno la meglio acquistando, alla fine del Duecento, il potere nella maggior parte dei Comuni italiani.
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La Chiesa tra politica e rinnovamento spirituale

La crisi dell’Impero si accompagna, nel Duecento, a quella della Chiesa, la cui corruzione e ingerenza negli affari politici generano un esteso malcontento.
Le tappe della politicizzazione della Chiesa partono da lontano, quando, a metà dell’VIII secolo, il re dei Franchi Pipino il Breve dona al Patrimonio di San Pietro i territori bizantini già occupati dai Longobardi. Lo Stato della Chiesa trova dunque un fondamento giuridico nella cosiddetta “Donazione di Costantino”, documento – rivelatosi falso nel Quattrocento grazie agli studi filologici dell’umanista Lorenzo Valla (1407-1457) – nel quale l'imperatore, nel IV secolo a.C., avrebbe concesso vasti possedimenti territoriali al papa. Da questo momento in poi, la Chiesa di Roma acquisisce una forza che va ben oltre la cura delle anime: l’immagine di papa Leone III che pone sul capo di Carlo Magno la corona di imperatore, nella notte di Natale dell’800, esprime appieno il suo prestigio. Non a caso l’Impero è chiamato “Sacro”, in quanto il dominio temporale è conferito dal papa in nome di Dio per proteggere la Chiesa contro i nemici interni ed esterni.
L’equilibrio è però destinato a spezzarsi presto. Nell’XI secolo comincia un duro confronto tra Chiesa e Impero su chi, tra il papa e l’imperatore, abbia il diritto di nominare i vescovi: è la cosiddetta “lotta per le investiture”, che dura per oltre un secolo e si conclude solo nel 1122 con il concordato di Worms e la vittoria del Papato. Questa diatriba rappresenta la costante di un’intera epoca, attraversata dall’ambizione di entrambi i poteri di interferire in ambiti non propri: l’Impero, deciso a imporsi nell’elezione dei pontefici e di tutta la gerarchia ecclesiastica; la Chiesa, tentata da velleità teocratiche e dalle aspirazioni di una sempre più ampia autorità temporale.
Allo stesso tempo, nel corso di tutto il Medioevo si rinnovano impulsi riformatori e tentativi di riportare la Chiesa alla purezza originaria: alcuni di essi sfociano nell’eresia e pertanto vengono duramente soffocati (come accade ai catari della città francese di Albi, repressi nel 1209 da papa Innocenzo III), altri scelgono la strada dell’ortodossia, attenti a non mettersi in urto con il potere ecclesiastico, di cui pure denunciano la corruzione: è il caso dell’ordine domenicano (1216) e dell’ordine francescano (1223), fondati rispettivamente da Domenico di Guzmán e da Francesco d’Assisi, che si diffonderanno molto rapidamente.
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Contemporaneamente, a partire dalla fine dell’XI secolo fino al XIII, si susse­guono le crociate, le guerre in cui la Chiesa chiama i popoli cristiani d’Europa a liberare il Santo Sepolcro di Gerusalemme dai musulmani: la prima viene indetta nel 1095 da papa Urbano II; l’ultima, l’ottava, su iniziativa di papa Clemente IV, nel 1270. Ma, al di là delle loro finalità religiose, queste imprese hanno anche il carattere di guerre di conquista territoriale ed economica, iscrivendosi all’interno dei conflitti tra le diverse entità politiche dell’epoca e rappresentando al tempo stesso un grandioso tentativo da parte del Papato di distogliere l’attenzione dalle accuse degli stessi movimenti riformatori mediante il richiamo alla vera e unica fede.
Nonostante le difficoltà, comunque, la Chiesa nel Duecento riesce a esercitare la propria influenza attraverso un complesso gioco di alleanze. Per sconfiggere le velleità di restaurazione imperiale, essa si allea con la Francia a partire dalla seconda metà del XIII secolo: una manovra politica destinata a determinare per un lungo periodo la sua sottomissione alla monarchia francese. Tuttavia nell’anno 1300, quando papa Bonifacio VIII celebra in pompa magna il Giubileo, la Chiesa sembra raggiungere la propria apoteosi.

2. LA CULTURA

La mentalità medievale

Ogni civiltà ha al proprio interno elementi, suggestioni e ispirazioni diverse, al punto che definirne la mentalità in modo univoco o troppo schematico è sempre un’operazione a rischio di arbitrio e forzature. Complesso e articolato come ogni epoca, anche il Medioevo presenta un immaginario composito e caratteri talvolta anche contraddittori tra loro. In altri termini, per averne un quadro il più possibile ampio e completo, occorre evitare la tentazione di descriverne la cultura e gli orizzonti ideologici appiattendosi sui luoghi comuni.

Non c’è dubbio tuttavia che il pensiero medievale sia contraddistinto e per­meato soprattutto dalla religiosità cristiana, che influisce in modo determinante su ogni aspetto della vita individuale e collettiva, dalla cultura alla visione del mondo, dalla rappresentazione dell’uomo alla politica.

Tutta l’esistenza umana viene concepita come un pellegrinaggio, una prova a cui è sottoposto lo spirito prima di poter raggiungere la propria “patria”, il luogo ideale, cioè l’aldilà. Ciò che viene mostrato in terra non può essere né spiegato né mutato, in quanto l’ordine del mondo, voluto da Dio, è inesplicabile, non raggiungibile dall’umana conoscenza, così ristretta, imperfetta e inadeguata. D’altra parte, le vicende umane non appaiono più opera dell’uomo né frutto di un destino capriccioso; esse vengono invece inserite all’interno di un disegno provvidenziale che conduce la storia del mondo in direzioni e con finalità che non compete agli uomini prevedere e tanto meno spiegare.

Questa mentalità dogmatica, che talvolta è ostile alla conoscenza – recepita da una certa visione religiosa come imperfetta e impotente –, si traduce nell’indifferenza per il mondo terreno e per i suoi beni e piaceri, che vengono svalutati o addirittura disprezzati. Lo stesso corpo umano, fonte di passioni e traviamenti, è visto come la prigione dell’anima che, gravata del suo peso, fatica a elevarsi verso il cielo, propria sede predestinata. La bellezza, la gloria, l’ambizione, l’amore appaiono all’uomo medievale come distrazioni mon­dane, tentazioni diaboliche che corrompono l’interiorità e distolgono dalla sola meta per cui valga la pena vivere: la gioia del Paradiso.

Ciò spiega il diffondersi di atteggiamenti ascetici e di dichiarata ripulsa del mondo e della carne, spesso accentuati dalla polemica contro la crescente secolarizzazione ecclesiastica. Per molti la scelta della povertà si configura come un’esplicita contestazione sociale: la predicazione di Francesco d’Assisi e in generale i fermenti spirituali, che invocano un ritorno al messaggio di Cristo e allo spirito evangelico della Chiesa delle origini, nascono principalmente da questa esigenza di purificazione e amore disinteressato per il prossimo.

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D’altronde, se l’inizio della vera esistenza (quella, cioè, che avviene in cielo) coincide con la fine della vita terrena, perché dare a quest’ultima tanta importanza? La realtà in cui l’uomo vive non ha valore se non in proiezione dell’aldilà: una convinzione, questa, che si diffonde insieme all’apocalittica attesa di una imminente fine del mondo ( millenarismo). Ogni situazione umana, dalla più insignificante e individuale alla più importante e collettiva, viene per lo più letta alla luce della volontà divina, che interviene in ogni circostanza e in ogni fenomeno, rivelando la propria presenza in tutti gli aspetti del mondo visibile.

Su questa convinzione riposa un altro degli aspetti fondamentali della mentalità medievale: il simbolismo. Ciascun frammento del creato non si manifesta autonomamente, come dotato di vita propria: esso rimanda sempre a qualcos’altro, che può essere colto solo al di là delle semplici apparenze e rientra nel disegno infinito della creazione divina. La natura è assimilata a un “libro” sterminato in cui “leggere” simboli da decifrare: ecco, allora, la grande quantità di lapidari, bestiari ( p. 589), florari, nei quali pietre, animali, fiori e alberi vengono censiti e catalogati in base alle loro presunte proprietà e virtù divine o diaboliche.

L’architetto dell’universo

Le bibbie moralizzate sono manoscritti miniati, in genere databili tra il XIII e il XIV secolo, che accanto ai versetti latini della Bibbia contengono commenti che ne spiegano dettagliatamente il significato dal punto di vista morale o allegorico e miniature che illustrano il testo biblico. Il manoscritto da cui è tratta questa immagine, oggi conservato nella Biblioteca statale di Vienna, fu eseguito in Francia tra il 1215 e il 1225, probabilmente per un membro della famiglia reale: al foglio 1 una grande miniatura su fondo d’oro mostra Dio come architetto dell’universo che con l’aiuto di un compasso, simbolo dell’armonia e dell’equilibrio che governano il mondo, sta disegnando il creato. All’interno del disco piatto si distinguono la Terra e, più piccoli, il Sole e la Luna.

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Doc 1

Tommaso da Celano

L’uomo misero al cospetto di un Dio-giudice implacabile

  • Titolo originale Dies irae, fine del XII sec.
  • Lingua originale latino
  • Metro Strofe di 3 versi ottonari monorime (AAA, BBB, CCC ecc.)
L’autore

Nel 1931, il ritrovamento di un codice benedettino abruzzese ha permesso ad alcuni studiosi di datare questo testo, il cui titolo è Dies irae, alla fine del XII secolo. Per altri, invece, il celebre inno è successivo e va attribuito a Tommaso da Celano (1190 ca-1260), primo biografo di san Francesco. Di lui sappiamo che riceve l’abito dal santo di Assisi nel 1215 e va missionario in Germania (1222). Tornato in Italia, lavora alla compilazione dei propri scritti, tutti incentrati sulla figura di san Francesco. È venerato come beato nell’ordine francescano soprattutto in Abruzzo – a Celano e a Tagliacozzo – dove muore intorno al 1260.

Come una spada di Damocle, il giudizio universale incombe sul capo dei mortali. Terrorizzato dalle fiamme che lo attendono all’Inferno, il peccatore rivolge la sua preghiera estrema per invocare pietà e perdono da Dio. I versi che riportiamo costituiscono la prima parte di una sequenza liturgica cantata durante la messa per i defunti. Come detto, l’attribuzione a Tommaso da Celano è controversa, ma significativo e inquietante rimane ancora oggi il fascino di queste strofe di grande impatto musicale, in cui si rispecchia, con notevole carica emotiva, l’angoscia medievale dell’uomo dinanzi all’“ira” del tribunale divino.

Dies irae, dies illa

solvet saeclum in favilla:

teste David cum Sybilla.1

Quantus tremor est futurus,

Quando judex est venturus,

Cuncta stricte discussurus!

Tuba, mirum spargens sonum

per sepulcra regionum,

coget omnes ante thronum.


Mors stupebit et natura,

cum resurget creatura,

iudicanti responsura.


Liber scriptus proferetur,

in quo totum continetur,

unde mundus iudicetur.


Iudex ergo cum sedebit,

quidquid latet apparebit:

nil inultum remanebit.


Quid sum, miser, tunc dicturus?

quem patronum rogaturus,

cum vix iustus sit securus?

Rex tremendae maiestatis,

qui salvandos salvas gratis,

salva me, fons pietatis!

Recordare, Iesu pie,

quod sum causa tuae viae,

ne me perdas illa die.

La dolce fiamma - volume B plus
La dolce fiamma - volume B plus
Poesia e teatro - Letteratura delle origini