T3 - Benedetta Perilli, Così mi sono liberata da Facebook

T3

Benedetta Perilli

Così mi sono liberata da Facebook

  • articolo

Whatsapp, Youtube, Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat, Pinterest, TikTok… quante piattaforme social frequenti? Quanti profili hai? Ci vuole tanto tempo e tanta passione per gestire la propria presenza virtuale. Ma ne vale sempre la pena? Ogni tanto può essere opportuno chiederselo. E così capita a volte di rendersi conto di avere sviluppato una dipendenza da qualcosa che non ci rende felici, anzi. È ciò che è successo alla giornalista Benedetta Perilli (n. 1980), che racconta con humour la sua esperienza.

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Audiolettura

Ho disattivato il mio account Facebook da oltre un mese. Lo avevo aperto nel

2008 e dopo aver festeggiato sette compleanni insieme agli auguriiii :-) dei miei

oltre 900 amici, visto nascere i loro figli, morire i loro gatti, crescere i loro amori,

condiviso gioie e dolori di persone incontrate una sola volta nella vita, alla fine

5      ho scelto di smettere di guardare le foto delle loro vacanze e dei loro panini.

L’ho fatto perché di Facebook ero diventata dipendente. Non solo non ero

riuscita a dosare la mia presenza social, ma soprattutto non avevo dominato la

compulsione1 di guardare perennemente lo schermo del telefonino muovendo

in alto l’indice. Dalla mattina – ancora nel letto – alla colazione, passando per

10    il bagno (si salva la doccia perché lo smartphone non è impermeabile). Poi in

macchina – al semaforo nessuno suona più quando scatta il rosso, come te

stanno tutti chattando su Facebook –, al lavoro, dopo il lavoro, durante l’aperitivo

mentre l’amico parla e tu lo ascolti ma non lo guardi perché gli occhi sono

incollati sulla pagina biancoblu, a cena, dopo cena, al cinema, al concerto, a

15    letto. Addormentarsi su Facebook. Come se fosse normale.

Non riguarda tanto sapere cosa stanno facendo gli altri o cosa sta succedendo

nel mondo, quanto riempire i tempi morti della giornata – e non solo

quelli – con un’azione artificiale. In attesa dal parrucchiere, in coda al supermercato,

a una cena, in spiaggia: tirare fuori lo smartphone, piazzarsi sull’homepage

20    del social preferito e restare lì mentre intorno la vita reale si muove.

Come i bambini davanti ai cartoni animati e i padri che guardano il Tour de

France2 nei pomeriggi d’estate, tu gli parli ma non rispondono, sono assorti,

quasi assuefatti. A me con Facebook capitava la stessa cosa.

Ne ho parlato con gli amici e ho capito che non ero la

25    sola ad avere il problema: […] “scrollare” è diventato una

dipendenza. E con scrollare intendo quel movimento del

dito indice che accarezza verso l’alto lo schermo di un

cellulare di ultima generazione per visualizzare a cascata

gli aggiornamenti dei principali social network. Basta

30    fare il test del treno e si capisce che

la cerchia di addicted3 non include

solo me e i miei amici. Salite su un

vagone – ma va bene anche l’autobus

– sedetevi e guardatevi intorno.

35    Il colpo d’occhio sarà questo: decine

di teste chine sullo schermo, il volto

illuminato, l’indice in azione. E dire che

fino a qualche anno fa quelle teste avrebbero

guardato oltre il finestrino o le righe di

40    un libro o gli occhi di uno sconosciuto.

Io il 4 agosto ho deciso che non volevo essere più una testa china, quindi ho

disattivato il mio account. Facebook mi ha chiesto perché e io ho risposto perché

passavo troppo tempo online; lui mi ha suggerito che avrei potuto ridurre

le notifiche, io gli ho detto che non mi interessava più; lui ha giocato la carta

45    del senso di colpa mostrandomi le foto dei miei migliori amici e dicendomi che

a loro sarei mancata, non ho vacillato e così io e Facebook ci siamo lasciati.

Come per ogni dipendenza che si rispetti – penso al fumo – ero in attesa del

momento in cui avrei sentito il desiderio di scrollare di nuovo, di visualizzare

il quadratino rosso della notifica, di sapere se Franca aveva trovato il vestito

50    per il matrimonio di Carla, di conoscere gli ultimi spostamenti di Gianni Morandi.

E invece no, invece mai.

Da più di un mese non sono più su Facebook e non ne ho mai sentito la

mancanza. Quando mi sveglio accendo la radio, faccio colazione e guardo fuori

dalla finestra magari leggendo le mail e i messaggi che ora gli amici mi scrivono

55    più numerosi, in bagno leggo una rivista, in macchina guido e durante

l’aperitivo riscopro quanto sono belli gli occhi verdi del mio amico. A cena, seduta

davanti a Maria e Silvia le trovo entrambe intente a scrollare mentre parlo.

Glielo faccio notare, si scusano – sono sincere – e spero che presto possano

tornare a guardarmi anche loro. Al cinema vedo tutto il film senza frugare mai

60    nella pochette e poi la sera mi addormento leggendo un libro. Che belle le sere

senza Facebook.

Da più di un mese mi diverte riscoprire il piacere di telefonare o andare a

trovare gli amici ogni volta che avrei dovuto scrivere loro un messaggio privato

e mi emoziona ascoltare i racconti delle vacanze, immaginare spiagge

65    e canoe, vagoni e zuppe di grilli, senza averli già visti fotografati sulle loro

bacheche. C’è il timore di perdere il contatto con il virale e le nuove mode, di

mancare l’inaugurazione del nuovo bar in centro, di dimenticare il compleanno

di Giulio, di venire a conoscenza con 48 ore di ritardo della morte dell’ultimo

famoso. L’ho vissuto, è successo, ma la soddisfazione di essere fuori da una

70    dipendenza che mi stava rendendo una versione peggiore di me stessa è più

forte dell’emozione per l’invito al party più ambito della stagione.

Eppure qualcosa sento di averlo perso

e non parlo solo della possibilità di

andare su Tinder che, senza un profilo

75    Facebook, lascia gli utenti orfani dei

loro  rimorchi virtuali. Si tratta dell’effetto

megafono, di quel passaparola veloce

e intrusivo4 che solo un annuncio su

Facebook può garantire. Così per trovare

80    un monolocale per un amico ora mi tocca

uscire di casa e parlare con i vicini,

chiedere informazioni all’anziana più potente del quartiere e con l’occasione

finalmente conoscerla. Forse l'esito della ricerca non sarà così rapido e certo

come quello di un post, ma nel percorso verso la mia informazione avrò stretto

85    la mano a tre persone nuove.

Nel 2013 per Mark Zuckerberg5 quella di conoscere almeno una persona

nuova al giorno fuori da Facebook fu la sfida dell'anno, per me è diventata una

piacevole sorpresa da quando su Facebook non ci sono più.


Benedetta Perilli, Così mi sono liberata da Facebook, in “la Repubblica”, 15 settembre 2015 (con tagli)

 >> pagina 576

Laboratorio sul testo

1. Quale comportamento in particolare evidenziava la dipendenza da social dell’autrice?

2. Perché l’autrice paragona il suo modo di agire a quello dei bambini e dei loro padri assorti davanti alla televisione?

3. In quale luogo si ha l’esatta misura della dipendenza collettiva dallo smartphone?

4. Facebook, di cui la protagonista ha deciso di disattivare l’account, viene ironicamente personificato. Da che cosa te ne accorgi?

5. Quale di queste situazioni è presentato come un possibile effetto dell’abbandono di Facebook?
  • a Si può dimenticare il compleanno di un amico. 
  • b C’è il rischio di isolarsi dal mondo. 
  • c Si possono perdere amici di vecchia data. 
  • d Si diventa poco informati sulle notizie del giorno. 

Primi passi verso l’Esame di Stato: il testo argomentativo

Utilizzo di un lessico specialistico
Utilizzo di espressioni impersonali

Per indicare un punto di vista oggettivo, evitare il coinvolgimento emotivo ed evidenziare un ragionamento basato su dati di fatto, è spesso opportuno utilizzare espressioni impersonali (si pensasi ritienesi stima chesi può vedere, osservare) oppure riportare i dati in nostro possesso come frutto di ricerche e studi di settore (gli studiosigli esperti ritengono che).

Lo stile con cui Benedetta Perilli ci racconta come si è liberata di Facebook è sicuramente efficace: usa un linguaggio semplice, ma divertente e accattivante; riesce addirittura a strizzarci l’occhio con qualche faccina da social e ripete le espressioni tipiche da conversazione virtuale; eppure da quel mondo sta prendendo le distanze per sempre e il suo messaggio è chiaro.

  • Immagina di essere un operatore italiano di Facebook incaricato di contattare la giornalista per convincerla a tornare sui suoi passi (c’è nel testo la descrizione di un tentativo del genere, ma si riferisce a un generatore automatico di domande): scrivi una mail con cui cerchi di farle ritirare la cancellazione dal social media, suggerendo tutti i vantaggi del mantenimento del suo account. Il tuo stile, al contrario di quello della giornalista, dovrà essere formale, il tuo atteggiamento professionale e supportato dall’utilizzo di un lessico specifico e di espressioni impersonali.

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