1. Il genere drammatico per eccellenza

1. IL GENERE DRAMMATICO PER ECCELLENZA

«È una tragedia!» oppure «Non fare una tragedia…»: nella nostra abitudine di esprimerci in modo figurato, il vocabolo “tragedia” assume il significato di evento doloroso, luttuoso o, più scherzosamente come nel secondo esempio, di reazione esagerata e scomposta dinanzi ai piccoli contrattempi dell’esistenza. In effetti, la tragedia è il genere drammatico per eccellenza, caratterizzato da uno stile elevato e solenne, da atmosfere cupe, dalla messa in scena di vicende terribili e violente che conducono a un epilogo di distruzione e morte.

Fin dai tempi antichi, le diverse civiltà hanno escogitato delle strategie per affrontare gli aspetti più amari, angosciosi e funesti della vita, dalle passioni più travolgenti al rapporto tra individuo e comunità, dal conflittuale legame con il potere all’ineluttabilità della morte. La tragedia nasce proprio per esorcizzare tali difficoltà, che vengono richiamate attraverso la rappresentazione sul palcoscenico di sofferenze, colpe, delitti, espiazioni e crudeli paradossi del destino.

Non a caso, il filosofo greco Aristotele (384/383-322 a.C.) sottolinea la valenza educativa di questo genere: dinanzi a situazioni atroci e impressionanti, gli spettatori percepiscono infatti un sentimento di immedesimazione e di empatia e, attraverso gli errori e le calamità vissute dai personaggi, riflettono sull’origine delle sciagure umane. In tal modo, secondo Aristotele, si realizzava un processo di vera e propria purificazione dalle passioni, chiamato “catarsi”: il pubblico infatti si emoziona per le vicende rappresentate sulla scena, raggiungendo il culmine del coinvolgimento nella seconda parte del dramma, generalmente di fronte a un evento luttuoso. Tale partecipazione emotiva permette così di sciogliere le tensioni interiori, liberando la propria anima dai conflitti e raggiungendo uno stato di sollievo ed equilibrio.

2. LA TRAGEDIA GRECA

La tragedia nasce nella Grecia antica ed è inizialmente collegata alle Dionisie, cerimonie religiose in onore del dio del vino e della fertilità, in occasione delle quali venivano rappresentate opere di diversi autori in competizione per l’assegnazione di un premio. Queste gare erano dette “agoni grammatici”. A tali competizioni si lega probabilmente l’origine stessa del termine “tragedia”, dal greco tragoidía, che significa “canto per il capro”: alla stregua di veri e propri riti religiosi, infatti, i canti si concludevano con il sacrificio di un capro; un’altra interpretazione fa risalire invece l’etimologia della parola alla pelle animale indossata dagli attori durante le recite.

Intorno al V secolo a.C., durante la cosiddetta “età di Pericle”, quando Atene raggiunge il massimo splendore, la tragedia diventa un genere artistico , con precise convenzioni drammatiche e strutturato in cinque parti fondamentali.

1. Lo spettacolo si apre con il prologo, nel quale uno o più personaggi informano gli spettatori sugli antefatti e i protagonisti degli eventi.

2. Segue poi il pàrodo, il momento in cui entra in scena il coro, un gruppo di cantori e danzatori che commenta la vicenda e interagisce con gli attori, svolgendo la funzione di personaggio collettivo. Il coro è composto da dodici-quindici elementi, detti coreuti, tra cui si distingue un capo, il corifeo, e si colloca nell’orchestra, un’area circolare posta al centro del teatro.

3. L’azione scenica vera e propria prevede la successione di una serie di episodi, solitamente quattro, nei quali gli attori si scambiano le battute. Gli attori – solo uomini anche per i ruoli femminili – indossano maschere, costumi spesso colorati e calzari simili a sandali dalla suola spessa, detti coturni, che li fanno apparire più alti e degni quindi di interpretare eroi e divinità, nonché più visibili agli spettatori lontani.

4. Ogni episodio è diviso dall’altro dallo stàsimo, il canto del coro, eseguito con accompagnamento della danza e del suono della lira e del flauto.

5. Conclude la tragedia l’èsodo, il canto eseguito dal coro alla sua uscita dall’orchestra.

Nel V secolo la tragedia mantiene ancora il carattere sacro delle origini. Molte opere, infatti, affrontano argomenti tratti dalla mitologia; anche i personaggi sono per lo più eroi, dèi o figure illustri, appartenenti a famiglie nobili. Un destino immutabile li conduce al sacrificio e alla morte violenta: dolori, disgrazie e la catastrofe finale (così viene definito lo scioglimento tragico della vicenda) che li attendono vengono vissuti dagli spettatori con partecipazione; non a caso, la messinscena tende a sottolineare la verosimiglianza dei fatti rappresentati. A questo fine, la tragedia greca rispetta le cosiddette unità di luogo, tempo e azione successivamente codificate da Aristotele: i drammi si svolgono infatti in un solo luogo, nell’arco di poche ore e al massimo di una giornata, sviluppando un’unica azione e tralasciando dunque trame e vicende parallele.
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Gli autori più importanti della tragedia greca sono Eschilo, Sofocle ed Euripide. Eschilo (525 ca.-456 a.C.) si impegna in particolare nella scrittura di trilogie: una serie di tre tragedie connesse tra loro, aventi per oggetto lo stesso tema mitologico, rappresentato in tre diverse fasi temporali. L’unica trilogia che ci è pervenuta, l’Orestea, è dedicata alle sventure della famiglia di Agamennone, re greco che partecipò alla guerra di Troia.

Sofocle (497 ca.-406 a.C.) abbandona invece la trilogia ad argomento unitario, preferendo dare a ciascuno dei tre drammi una consistenza narrativa autonoma. Le sue tragedie, tra cui Antigone ( T1, p. 462), Edipo re ed Elettra, presentano caratteri più realisticamente connotati rispetto a quelli di Eschilo e si focalizzano su azioni e passioni di un singolo personaggio che si scontra con la potenza e l’avversità del fato.

Euripide (480-406 a.C.) promuove uno straordinario rinnovamento del genere. Nelle sue opere, la materia mitologica è trattata con molta libertà e gli intrecci risultano decisamente articolati rispetto a quelli dei suoi predecessori: i suoi eroi non sono più mossi da valori universali, ma esibiscono una psicologia più fragile e complessa. In particolare, Euripide dà risalto ai personaggi femminili, dotati di sensibilità modernissima, a cui spesso dedica le sue tragedie, come per esempio Medea ed Elettra.

3. DALLA TRAGEDIA LATINA A QUELLA MODERNA

Conclusa l’età dell’oro, che coincide con il V secolo a.C., il genere tragico viene trapiantato a Roma: il suo massimo interprete è Seneca (4 a.C.-65 d.C.), che accentua il lato appassionato e sanguinario delle vicende, portando al centro dell’attenzione la riflessione sul carattere brutale del potere attraverso la figura ricorrente del tiranno spietato. Mentre nelle opere teatrali greche violenze e omicidi si svolgevano fuori dalla scena e venivano narrati da un attore, le tragedie di Seneca mostrano direttamente agli spettatori azioni venate da tinte fosche e truci.

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Successivamente la tragedia, e il teatro in generale, scivolano nell’ombra, quasi scomparendo del tutto. Occorre aspettare infatti molti secoli per assistere a una nuova fioritura del genere. Grazie al rinnovato interesse per la cultura antica, la tragedia viene riscoperta nel Rinascimento, e soprattutto nella seconda metà del Cinquecento, in Inghilterra, durante il regno di Elisabetta (1558-1603). La regina infatti incentiva personalmente la proliferazione degli spettacoli tea­trali e la formazione di compagnie di attori professionisti, che iniziano a recitare non più nei saloni di case private o nei cortili delle locande ma in teatri a cielo aperto (costruiti in legno o in pietra), dove si assiepano spettatori di ogni classe sociale, favoriti dal prezzo esiguo dei biglietti.

Il più grande drammaturgo del periodo, William Shakespeare (1564-1616), scrive opere di grande potenza attingendo dalle fonti più svariate, dalla classicità latina alle saghe nordiche fino alla storia dell’Europa medievale. Tra il 1595 e il 1607 egli compone le sue tragedie più importanti, nelle quali combina elementi macabri e fantastici, come l’apparizione di spettri, a una realistica e cruda analisi delle dinamiche psicologiche. Personaggi come Amleto ( T2, p. 468), Otello e re Lear sfiorano o oltrepassano l’orlo della follia, spinti sia da impulsi distruttivi sia da forze incontrollabili e dall’oscuro fascino del male. Tali “eroi” procedono lentamente verso la catastrofe, sullo sfondo di un universo moralmente complesso e affollato di personaggi. Dal punto di vista della tecnica drammatica, le tragedie di Shakespeare violano le unità aristoteliche, rappresentando con più efficacia e libertà una pluralità di contesti e situazioni, e talvolta arrivano a impiegare elementi comici accogliendo aspetti buffi e grotteschi: segno, questo, di un progressivo evolversi e contaminarsi dei generi teatrali.

Tra il Settecento e l’Ottocento i drammaturghi cominciano a sfruttare il teatro per veicolare contenuti filosofici e politici, in armonia con i grandi movimenti intellettuali dell’epoca, come l’Illuminismo e il Romanticismo, che valorizzano rispettivamente la conoscenza razionale e gli slanci del sentimento. Proprio a cavallo tra queste due culture opera in Italia lo scrittore piemontese Vittorio Alfieri (1749-1803), le cui tragedie esprimono una forte tensione morale contro ogni forma di oppressione.

Nei primi decenni dell’Ottocento la funzione politica degli spettacoli si accresce ulteriormente. La cultura romantica prevede la valorizzazione della storia nazionale, e si batte per la liberazione delle patrie. In particolare in Italia, divisa all’epoca in diversi Stati e soggetta alla dominazione straniera, il teatro si incarica spesso di diffondere i sentimenti patriottici, portando il popolo a sostenere la causa dell’unificazione nazionale. In questo contesto si collocano le tragedie di Alessandro Manzoni (1785-1873), Il conte di Carmagnola e Adelchi, che mirano non tanto al trasporto emotivo quanto allo sviluppo di una coscienza critica ispirata dagli eventi messi in scena, ambientati rispettivamente nel XV e VIII secolo d.C.; in entrambi i testi Manzoni rappresenta il trionfo del male nella storia e lo scontro fra la politica e la morale, tra la brama del potere e le ragioni dei sentimenti e della giustizia. In un mondo così feroce non resta che “far torto o patirlo”. Al tempo stesso emerge, in particolare nei cori – che l’autore utilizza come un “cantuccio” riservato alle proprie considerazioni –, l’idea che gli italiani debbano mettere da parte le discordie intestine e smettere di attendere aiuti da popoli stranieri sulla faticosa via della libertà.

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Un’interpretazione da Globe!

Una rappresentazione al Globe Theatre, lo storico teatro londinese in cui recitava la compagnia di Shakespeare, in una scena del film Anonymous (di Roland Emmerich, 2011). Il teatro è stato ricostruito nel 1999.

Verifica delle conoscenze

1. Quali sono le caratteristiche fondamentali del genere tragico?
2. Che cosa si intende per “catarsi”?
3. Quali sono le etimologie più accreditate della parola “tragedia”?
4. Che cosa sono i coturni?
5. Quali sono gli autori più importanti della tragedia greca?
6. Quali sono gli aspetti peculiari della produzione tragica di Seneca?
7. Chi è il più grande tragediografo dell’età elisabettiana? Indica le caratteristiche fondamentali delle sue opere.
8. Scegli le alternative corrette.
  • a La tragedia romantica ha uno spiccato valore politico.
  • b Le tragedie di Vittorio Alfieri mettono in scena personaggi privi di slanci eroici, alle prese con la monotonia della vita quotidiana.
  • c Nelle tragedie di Manzoni i cori servono a far risaltare i sentimenti dei personaggi.
  • d Uno dei temi dell’Adelchi è il conflitto tra politica e morale.

La dolce fiamma - volume B plus
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Poesia e teatro - Letteratura delle origini