T4 - Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici (da Giorno dopo giorno)

T4

Salvatore Quasimodo

Alle fronde dei salici

  • Tratto da Giorno dopo giorno, 1947
  • Metro endecasillabi sciolti
Salvatore Quasimodo nasce a Modica, in Sicilia, nel 1901. Il lavoro del padre, capostazione, costringe la famiglia a ripetuti spostamenti nell’isola. Nel 1919 si trasferisce a Roma, per iscriversi alla facoltà di Agraria, ma presto abbandona l’università. Per vivere cambia diversi lavori, sino al 1926, quando viene assunto dal ministero dei Lavori pubblici come geometra. È a Reggio Calabria, Firenze, Imperia e dal 1934 a Milano, dove intreccia amori turbinosi. Nel frattempo pubblica le prime raccolte poetiche, Acque e terre (1930) e Oboe sommerso (1932), con le quali si impone all’attenzione come uno degli interpreti principali della corrente detta Ermetismo, caratterizzata da una tendenza all’oscurità e da uno stile prezioso e allusivo. Nel 1938 lascia l’impiego e lavora come giornalista e traduttore (sua un’importante versione di Lirici greci). Nel 1941 ottiene la cattedra di Letteratura italiana al Conservatorio di Milano. Antifascista, vive momenti difficili sino alla Liberazione. Negli anni Cinquanta la sua fama si consolida a livello internazionale, tanto che nel 1959 riceve il premio Nobel per la Letteratura. Muore a Napoli nel 1968.

All’indomani della Seconda guerra mondiale Quasimodo rievoca gli orrori nei quali l’Italia era sprofondata. Di fronte a una tragedia di tali proporzioni, i poeti non possono fare altro che tacere, costretti dall’angoscia al silenzio.

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Audiolettura

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

5      d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per  voto,

anche le nostre cetre erano appese,

10    oscillavano lievi al triste vento.


Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2011

 >> pagina 258

A tu per tu con il testo

Ci sono dei casi, nella vita, in cui il silenzio diventa un obbligo morale, per sottrarre la propria voce al coro che inneggia a qualcosa che sentiamo come ingiusto. È ciò che accade sotto le dittature, quando il poeta sa che esprimere liberamente le proprie convinzioni potrebbe avere conseguenze nefaste. E tuttavia non si sente di concentrarsi solo sulle proprie vicende private, spolverando ricordi, mentre fuori il mondo va in fiamme. Meglio tacere, dunque. Ma qualcuno potrebbe scambiare il silenzio con colpevole indifferenza, o peggio con complicità. Quasimodo nega con forza questa ipotesi e denuncia in toni vibranti gli orrori ai quali ha assistito. È una situazione che non ci riguarda? Fino a un certo punto. Guerra e violenza forse non ci hanno mai toccato personalmente, ma è sempre più difficile chiudere gli occhi di fronte al disagio che monta intorno a noi. Per fortuna viviamo in una società democratica e nessuno ci impedisce di scriverne o parlarne. Questo però induce a un’ulteriore considerazione. Oggi criminali e terroristi sfruttano il fatto che un singolo colpo di coltello, sferrato a un ignaro passante, può garantire un’eco mediatica planetaria, rimbalzando dai telegiornali alla rete con ossessiva insistenza. Che fare, di fronte a questa dinamica perversa? Certo non si può chiedere ai mass media di censurare le notizie. D’altra parte è sempre più raro imbattersi nella cronaca di eventi positivi, che pure non mancherebbero. Alla gente non interessano, dicono i giornalisti. Ma è davvero così?

Analisi

Quasimodo apre il componimento con la congiunzione E, che presuppone un discorso già iniziato: la lunga domanda che occupa i primi sette versi somiglia così alla prosecuzione di un dialogo con se stesso, o alla risposta a qualcuno che abbia obiettato ai poeti il silenzio dinanzi alla barbarie della guerra. Non per convenienza o distacco è mancata la loro voce, ma per solidarietà, partecipazione al lutto, auspicio di un’imminente fine del calvario. A giustificarsi dovrebbe essere piuttosto chi imperterrito ha continuato il suo mestiere, come se nulla fosse.
Alle fronde dei salici segna una svolta nel percorso poetico di Quasimodo, che non a caso la pone all’inizio di Giorno dopo giorno. Molte poesie di questa raccolta affrontano direttamente il tema degli orrori bellici, forti di uno slancio corale ben visibile qui nella scelta di abbandonare l’io per un “noi” collettivo. È il popolo che, oppresso dall’occupazione nazista (con il piede straniero sopra il cuore, v. 2), è costretto a tacere. In linea con i nuovi orientamenti culturali del dopoguerra, ai quali diede voce il movimento neorealista, il poeta siciliano adotta uno stile comunicativo, ma non abbandona del tutto la raffinata strumentazione retorica con la quale si era imposto all’attenzione negli anni Trenta. Lo si nota per esempio nella sinestesia del v. 5 (urlo nero), come pure nell’aggettivazione dell’ultimo verso, in cui le cetre oscillano lievi, a sottolineare la fragilità della poesia travolta dalle tempeste della storia, e il vento diventa triste, assumendo lo stato d’animo di chi lo sente soffiare.

 >> pagina 259 
D’altra parte, le immagini che si alternano in un montaggio incalzante conferiscono al quadro una drammatica concretezza: prima i cadaveri abbandonati sull’erba dura di ghiaccio (v. 4), poi il lamento dei fanciulli innocenti, paragonati ad agnelli, infine il dinamismo della madre, indicata al singolare, perché sia simbolo universale. Questa accorre verso il figlio / crocifisso sul palo del telegrafo (vv. 6-7): la pausa indotta dall’enjambement accresce il pathos, mentre l’ultima specificazione trasporta nella modernità il dolore della Madonna ai piedi del Cristo.
Non è questo l’unico riferimento alla Bibbia presente nel testo, che nasce dal ricordo del Salmo 137, nel quale gli ebrei, condotti in catene a Babilonia, si rifiutano di cantare: «Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre, / perché là ci chiedevano parole di canto / coloro che ci avevano deportato, / allegre canzoni, i nostri oppressori». Quasimodo mette in relazione la tragedia antica a quella presente, rispondendo in negativo alla domanda che occupa la prima parte del testo. No, non era possibile cantare. La lirica è impraticabile quando nel mondo dilagano ingiustizia e violenza. L’ispirazione si spegne, come afferma la metonimia (concreto in luogo dell’astratto) che vuole le cetre appese ai salici, alberi tradizionalmente associati a un’idea di pianto, lutto, infelicità.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Quali valori simbolici possono essere attribuiti al cuore calpestato dal piede straniero (v. 2)? (sono possibili più risposte)

  • a La vita. 
  • b La patria. 
  • c I corpi dei morti. 
  • d Gli affetti. 
  • e Il coraggio. 


2. L’agnello è simbolo di

  • a giovinezza. 
  • b innocenza. 
  • c timidezza. 
  • d timore. 


3. L’urlo nero (v. 5) indica

  • a paura. 
  • b angoscia. 
  • c disperazione. 
  • d ribellione. 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. Il componimento è direttamente ispirato da un salmo: oltre all’immagine delle cetre appese ai salici, qua­li al­tri elementi del testo rimandano al linguaggio e a im­magini bibliche? A quale concetto fanno riferimento?


5. A quale stagione fa riferimento l’erba dura di ghiaccio (v. 4)? Perché, secondo te, il poeta sceglie proprio questa stagione?


6. Nella poesia sono utilizzati tre termini afferenti al campo semantico della voce umana: quali? Quali osservazioni puoi fare sulla loro presenza, collegandola con il significato complessivo del testo?


7. L’espressione piede straniero (v. 2) è

  • a una sinestesia.
  • b una metafora.
  • c una metonimia.
  • d un ossimoro.


8. Quali concezioni del poeta e della poesia emergono dal testo? Ti sembra che il poeta sia un essere superiore e senza contatti con ciò che accade nel mondo? Esponi le tue considerazioni.

 >> pagina 260 

COMPETENZE LINGUISTICHE

9. I complementi. Stabilisci di che tipo sono i complementi evidenziati in grassetto.


E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze (                               )

sull’erba dura di ghiaccio (                               ), al lamento (                               )

d’agnello (                               ) dei fanciulli, all’urlo nero

della madre (                               ) che andava incontro al figlio (                               )

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto (                               ),

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi (                               ) al triste vento.

PRODURRE

10. Scrivere per argomentare Esponi in modo chiaro le motivazioni che spingono il poeta ad astenersi dall’esercizio della poesia (massimo 15 righe).


11. Scrivere per persuadere Rivolgiti al poeta per convincerlo che, anche in un momento difficile come quello della guerra, è importante che egli levi la sua voce per confortare gli oppressi e denunciare le ingiustizie e la violenza (massimo 15 righe).

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

Storia

Che cosa sai del periodo dell’occupazione nazista dell’Italia centrosettentrionale durante la Seconda guerra mondiale? Svolgi una ricerca su questo argomento, chiedendo, se possibile, anche a qualche testimone diretto. Prepara una relazione orale di circa cinque minuti.

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

È giusto che i poeti, e più in generale gli intellettuali, stiano in silenzio, per rispetto e compassione, durante le grandi tragedie della Storia? Oppure dovrebbero alzare la voce per denunciare violenze e ingiustizie?

La dolce fiamma - volume B plus
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Poesia e teatro - Letteratura delle origini