T5 - Carlo Betocchi, Gli anemoni (da L’estate di San Martino)

T5

Carlo Betocchi

Gli anemoni

  • Tratto da L’estate di San Martino, 1961
  • Metro sonetto con irregolarità nei versi e nelle rime
Carlo Betocchi nasce a Torino nel 1899. Il padre, impiegato delle ferrovie, si trasferisce con la famiglia nel 1906 a Firenze, dove Carlo si diploma perito agrimensore. Giovanissimo, fa esperienza diretta della guerra: è a Caporetto e sul Piave nel 1917; poi, da volontario, in Libia fino al 1920. Rientrato, lavora in vari cantieri in Italia e Francia; successivamente, abbandonato il mestiere di geometra, insegna Letteratura al Conservatorio di Venezia e a quello di Firenze. Dalla metà degli anni Venti, Betocchi è uno degli animatori del dibattito letterario che anima giornali e riviste, pubblicando prose e versi: lo stile delle sue poesie, chiaro e disteso, si distingue dall’oscurità che caratterizza la corrente letteraria principale del tempo, l’Ermetismo. Al primo libro di versi, Realtà vince sogno (1932), seguono altri, come L’estate di San Martino (1961), Prime e ultimissime (1974): nel 1984 esce Tutte le poesie. Betocchi muore a Bordighera, in Liguria, nel 1986.

Dedicati a Emilia, compagna di vita del poeta, i versi, tratti da L’estate di San Martino (1961), rievocano i fiori raccolti durante una passeggiata serale nella campagna toscana: sembravano appassiti ma, rinvigoriti dall’acqua nel vaso, rivivono momentaneamente.

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Audiolettura

Guarda questi begli  anemoni colti

l’altra sera ai colli di Settignano,

alcuni viola, altri più chiari; erano

4      mezzi moribondi, così sepolti


quasi, fra le tue mani, quasi emigrati

di là, fra le cose che si ricordano,

e invece, vedili, come piano piano

8      si son ripresi, nell’acqua; esaltati


da una mite speranza di rivivere

si ricolorano su dal corrotto

11    gambo che la tua forbice recise;


fan come noi, si parlano nel folto

della lor famigliola, e paion dire

14    molto del breve tempo, molto, molto.


Carlo Betocchi, Tutte le poesie, a cura di L. Stefani, Garzanti, Milano 1996

 >> pagina 224

A tu per tu con il testo

C’è qualcosa di più bello e di più effimero di un fiore reciso? La simbologia dei fiori è ricca e complessa: con i fiori si omaggiano gli sposi e i defunti, la vita e la morte; nella nostra cultura le rose rosse significano passione d’amore, i crisantemi attestano il lutto, i gigli rappresentano la purezza, il fior di loto l’oblio… L’arte e la poesia si sono spesso ispirate alla loro delicata bellezza per creare immagini suggestive e pregnanti, che ci conducono a profonde riflessioni. Ora pegno d’amore, ora tributo di memoria, ora omaggio cortese, davanti a un mazzo di fiori viviamo sempre emozioni contrastanti: i loro brillanti colori trasmettono un gioioso senso di vitalità; nello stesso tempo, però, rattrista la caducità del loro destino, che li ha condannati a una sopravvivenza breve. Ma se non fossero così fragili, proveremmo lo stesso malinconico piacere nel contemplarli?

Analisi

Protagonisti del testo sono delicati anemoni, i “fiori del vento” secondo l’etimo greco, colti in aperta campagna. Appassiti tra le mani (v. 5) di chi li ha raccolti, i fiori riprendono gradualmente vigore nell’acqua dove sono stati collocati. Il poeta assiste di persona alla loro resurrezione, spiegabile con semplici leggi fisiche; nelle sue parole, però, questo avvenimento del tutto ordinario si carica di una gioiosa meraviglia. Ecco allora che, sorpreso dal fenomeno, egli lo addita alla sua interlocutrice, invitata a osservarlo: Guarda (v. 1), le dice, e vedili (v. 7), prosegue. Perché tanta insistenza? Perché tanta attenzione per questo evento minimo?

Dietro il fatto in sé banale, l’io lirico avverte un più ampio significato, celato nell’analogia tra il fugace destino degli anemoni recisi e la precarietà della condizione umana. L’immagine dei fiori che, prima agonizzanti, vengono piano piano (v. 7) esaltati (v. 8) sul loro stelo da una mite speranza di rivivere (v. 9) trasmette così un preciso messaggio morale: anche per gli uomini, come per i fiori, sperare è un’emozione essenziale, che prevale sulla mesta coscienza della temporaneità dell’esistenza, e che mantiene vivo l’affetto per la vita.

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Per l’afflusso dell’acqua che, su dal corrotto / gambo (vv. 10-11), scorre fino alle variopinte corolle, gli anemoni si ricolorano (v. 10), cioè riprendono le tinte che, prima di essere recisi, spiccavano sulle distese pendici dei colli di Settignano (v. 2). Nel vaso che li raccoglie tutti insieme, i fiori, ritornati in vita, sembrano ora intrattenere tra loro una conversazione intima e affettuosa, e si parlano nel folto / della lor famigliola (vv. 12-13): ci ricordano un gruppo di persone amiche, o un nucleo familiare che, scampato a una minaccia, si conforta ora del passato pericolo e riprende, sommessamente, a fare progetti per il futuro. Il parallelo tra la vita umana e la sorte dei fiori recisi, dunque, regge l’intera poesia: questa volta, però, la similitudine è esplicitamente formulata. Dice infatti il poeta che i suoi fiori fan come noi (v. 12): ma noi chi?

Ricordiamo che i versi sono dedicati a Emilia, la compagna di vita di Betocchi: a lei si rivolge l’imperativo che apre il testo, e sue sono le mani che portano i fiori dalla campagna. Noi, dunque, sono il poeta e la sua compagna, ma anche noi che leggiamo e che improvvisamente siamo coinvolti nella scena; ed è potenzialmente l’umanità intera, costantemente impegnata – come i fiori nel vaso, e come il poeta e la sua amata – a farsi molte, molte domande sul senso della breve vita che ci è stata data in sorte.

La poesia racconta un episodio domestico, ed è contraddistinta proprio da un’atmosfera semplice: il poeta si rivolge direttamente alla sua interlocutrice, adottando espressioni colloquiali come mezzi moribondi (v. 4); presenta oggetti d’uso comune come la forbice (v. 11); adotta, in un punto cruciale del testo, l’affettuoso diminutivo famigliola (v. 13). Come in una garbata conversazione casalinga, anche il tono complessivo, frequentemente interrotto dalle pause della sintassi e della metrica, risulta pacatamente riflessivo. Nonostante il tono modesto, però, figure retoriche preziose e densità di significato arricchiscono il testo di risonanze profonde.

Soprattutto negli ultimi due versi, che racchiudono un messaggio di cruciale importanza, si nota l’addensarsi del dettato. Di che cosa parlano i fiori nella loro intimità? Come noi uomini, che riflettiamo con le persone care sul senso della vita, essi sembrano scambiarsi opinioni sul loro breve tempo. L’antitesi tra il molto (v. 14) da dire e la brevità del tempo della vita, e la ripetizione che apre e chiude l’ultimo verso, cadenzato e grave, trasmettono una dolce malinconia.

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. A chi si rivolge il poeta?

  • a A se stesso. 
  • b Al lettore. 
  • c A un amico che vede ogni tanto. 
  • d Alla compagna. 

2. Che cosa significa quasi emigrati / di là (vv. 5-6), riferito agli anemoni?

  • a Che sono stati quasi spostati in un’altra stanza. 
  • b Che sono stati trasportati dal campo al vaso. 
  • c Che sono quasi passati nell’aldilà, sono quasi morti. 
  • d Nessuna delle opzioni precedenti. 


3. Gli anemoni sono stati colti. Sappiamo

  • a quando e dove ciò è successo. 
  • b dove ciò è successo ma non quando. 
  • c quando ciò è successo ma non dove. 
  • d né dove né quando ciò è successo. 


4. Che cosa sono le cose che si ricordano (v. 6)?

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Analizzare e interpretare

5. Associa a ciascun passo della poesia la figura retorica che contiene.

  • a) esaltati / da una mite speranza
  • b) quasi emigrati / di là, fra le cose che si ricordano
  • c) paion dire / molto del breve tempo
  • d) molto, molto
  • e) sepolti / quasi […] quasi emigrati


1) chiasmo

2) ossimoro

3) antitesi

4) perifrasi

5) epanalessi


6. Osserva la corrispondenza fra metro e sintassi: qual è l’unica strofa in cui il metro e la sintassi sembrano coincidere pienamente?

  • a La prima quartina. 
  • b La seconda quartina. 
  • c La prima terzina. 
  • d La seconda terzina. 

7. La composizione sembra rispettare uno schema tradizionale. Ma, osservando le rime, ci accorgiamo che molte di loro non sono regolari, e sono sostituite da altre figure. Per esempio: corrotto / folto (vv. 10-12) e recise / dire (vv. 11-13). Come si chiama questa figura?

  • a Rima per l’occhio. 
  • b Consonanza. 
  • c Assonanza. 
  • d Nessuna delle precedenti. 

Competenze linguistiche

8. Molte espressioni comuni in italiano utilizzano la parola “fiore”. Associa ogni espressione al suo significato e scrivi tre frasi con quella che ti colpisce maggiormente:

  • a) Il fior fiore di…
  • b) Il fiore degli anni
  • c) In fiore
  • d) Un fior di
  • e) A fior di…


1) La giovinezza

2) La parte migliore

3) Sulla superficie, sulla parte esterna di…

4) Nel pieno della sua bellezza

5) Un perfetto esemplare di…


9. Il poeta usa il participio passato corrotto (v. 10), riferito al gambo degli anemoni, per indicare la perduta freschezza dello stelo reciso. Da quale verbo proviene questo participio, e quali altri significati ha in italiano? Scrivi una frase per ogni significato del verbo che conosci.

Scrivere correttamente

10. Il testo presenta due imperativi alla seconda persona: Guarda (v. 1) e vedili (v. 7). Qual è l’imperativo dei seguenti verbi irregolari? Individualo e scrivi una frase con ognuno di essi.


riporre tradurre estrarre sapere spegnere

Produrre

11. Scrivere per riassumere e per ARGOMENTARE Immagina di dover riportare il contenuto della poesia a un amico che non l’ha letta. Sintetizza, in non più di 20 righe, esperienza e riflessioni del poeta. Quindi spiega perché il tuo amico dovrebbe o non dovrebbe leggere la poesia.

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