
1. I generi della poesia
Che cosa ci aspettiamo da una poesia? Se qualcuno ci confida di aver scritto dei versi, che cosa pensiamo? In genere, immaginiamo che abbia provato a esprimere i propri sentimenti nel modo più sincero e intenso possibile, dando libero sfogo alle emozioni. È proprio questo lo scopo principale di quella che chiamiamo “lirica”: una forma artistica millenaria, presente in tutte le culture, che ci permette di sentire vicino il cuore dell’autore, sia un amico o una persona vissuta in tempi e luoghi che non abbiamo mai conosciuto. Grazie a essa, religioni, lingue, culture diverse acquistano una stessa voce, un linguaggio universale che abbatte le frontiere delle epoche e dello spazio facendoci sentire fratelli: scoprire che qualcun altro ha provato, pensato, desiderato ciò che proviamo, pensiamo, desideriamo ci rassicura e ci dà una strana vertigine, colmando la nostra solitudine interiore.
Così è naturale per noi identificare la poesia con la sfera personale esaltata dalla lirica. Eppure il suo dominio è ben più ampio: con i versi si può scherzare, spiegare, raccontare, offendere, celebrare, come si è fatto per secoli in drammi teatrali, poemi epici, satire, ballate, opere didascaliche. A ben pensarci, infatti, prosa e poesia possono accogliere gli stessi contenuti; è una questione di convenzioni, di lessico, di forma: scelte che mutano con il passare del tempo e con la sensibilità e il gusto di chi scrive. Oggi, per esempio, quando vogliamo immergerci nella lettura di una storia, apriamo un romanzo in prosa. Ma se guardiamo indietro ci accorgiamo di come le più celebri narrazioni della civiltà occidentale, dall’Iliade all’Odissea, dalla Divina Commedia all’Orlando furioso, siano scritte in versi. Non c’è da stupirsi. Al pari della lirica, tutti i generi poetici possono trasmetterci emozioni e sentimenti: è quello che accade a due celebri amanti di nome Paolo e Francesca, precipitati nel gorgo della passione mentre tremanti leggevano nei versi di un poema cavalleresco la scena dell’ardente bacio fra Ginevra e Lancillotto, come ci racconta Dante nel canto V dell’Inferno.