T6 - Umberto Saba, Città vecchia (da Coi miei occhi)

T6

Umberto Saba

Città vecchia

  • Tratto da Coi miei occhi, 1912
  • Metro tre strofe composte da endecasillabi, settenari, quinari e ternari liberamente rimati
Umberto Poli nasce a Trieste nel 1883 da genitori di religione ebraica. Il padre abbandona la famiglia prima della sua nascita e il bambino sino ai tre anni viene cresciuto da una balia alla quale si affeziona profondamente, Peppa Sabaz (da cui lo pseudonimo Saba). Nel 1903 si iscrive all’Università di Pisa, ma presto lascia gli studi afflitto da una grave forma di depressione, che si ripresenterà più volte. Tornato a Trieste, si sposa nel 1909 con Carolina Wölfer, musa ispiratrice dei suoi versi con il nome di Lina. Nel 1910 esce la prima raccolta poetica, Poesie, seguita da Coi miei occhi (1912). Allo scoppio della Grande guerra Saba è a Milano, dove sostiene posizioni interventiste, nella speranza che Trieste, allora sotto il regime austroungarico, diventi italiana; rientra nella città natale solo alla fine del conflitto e vi apre una libreria. Nel 1921 raccoglie le sue poesie nel Canzoniere, l’opera in cui compaiono i temi a lui più cari, dal rapporto con Trieste all’amore per la quotidianità, dal senso di esclusione dal mondo alla contemplazione della natura. Durante la Seconda guerra mondiale, perseguitato a causa delle origini ebraiche, trova rifugio a Roma e Firenze; quindi, dopo il 1945, si trasferisce a Milano, dove scrive per il “Corriere della Sera” e pubblica un autocommento alla propria opera poetica, la Storia e cronistoria del Canzoniere (1948). Muore in una clinica di Gorizia nel 1957.

Città vecchia è un inno d’amore al cuore antico di Trieste, città natale del poeta, che sente con forza la propria vicinanza al popolo che ne abita i vicoli.

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Audiolettura

Spesso, per ritornare alla mia casa

prendo un’oscura via di città vecchia.

Giallo in qualche pozzanghera si specchia

qualche fanale, e affollata è la strada.


5      Qui tra la gente che viene che va

dall’osteria alla casa o al lupanare,

dove son merci ed uomini il detrito

di un gran porto di mare,

io ritrovo, passando, l’infinito

10    nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio

che bestemmia, la femmina che bega,

il dragone che siede alla bottega

del friggitore,

15    la tumultuante giovane impazzita

d’amore,

sono tutte creature della vita

e del dolore;

s’agita in esse, come in me, il Signore.


20    Qui degli umili sento in compagnia

il mio pensiero farsi

più puro dove più  turpe è la via.


Umberto Saba, Il canzoniere, Einaudi, Torino 2004

 >> pagina 147 

A tu per tu con il testo

Spesso la città pone di fronte agli occhi situazioni personali difficili. È una realtà che può traumatizzare, ma anche offrire lo spunto per riflettere sulla propria condizione e su come va il mondo. Saba, guardando la vita pulsare negli angoli più degradati di Trieste, non liquida chi sta più in basso sulla scala sociale con la noncuranza, o il disprezzo. Anzi è portato a sentirsi uomo fra gli uomini e smette di concentrarsi sulle proprie nevrosi. Proviamo allora a domandarci quale sia il nostro atteggiamento, se qualcuno ci chiede l’elemosina; se vediamo una donna che piange di fronte a noi sul vagone di un treno; se un barbone semisepolto fra i suoi cartoni all’improvviso ci sorride, o ci insulta. La città può essere il luogo dell’indifferenza, il regno della folla anonima che non vede né sente chi chiede aiuto: ma non è detto. Sta a noi decidere se alla sofferenza degli altri vogliamo o meno abituarci.

 >> pagina 148

Analisi

Nel Canzoniere Saba costruisce una vera e propria autobiografia in versi. All’interno della sezione che ospita Città vecchia, intitolata Trieste e una donna, si concentra sui grandi amori della sua vita: la moglie e la città natale. Il componimento prende le mosse proprio dalla visione di un’oscura via (v. 2) triestina, che il poeta è solito attraversare di notte, quando la luce gialla dei lampioni si riflette nelle pozzanghere.

Il contesto sembra suggerire un’idea di desolazione, ma d’altra parte la via è tutt’altro che deserta: brulica di vita, ed è proprio questo a motivare la scelta di Saba, che nei paraggi non capita per caso ma per scelta deliberata, come sottolinea in apertura l’avverbio Spesso. Ci troviamo nel centro storico di Trieste, a due passi dal porto, che era all’epoca il fondamentale sbocco sul Mediterraneo dell’impero asburgico, al quale la città apparteneva. Ciò spiega il viavai tipico di una città di confine, nella quale vivevano – e vivono tuttora – italiani, tedeschi, slavi, senza contare un’importante comunità ebraica, alla quale apparteneva lo stesso Saba.

La gente si muove tra il porto, le case, i bordelli e le osterie. È un mondo popolare, nel quale il poeta individua ed elenca una serie di figure caratteristiche: la prostituta, il marinaio, il vecchio rabbioso, la donna attaccabrighe, il soldato asburgico, la tumultuante giovane impazzita / d’amore (vv. 15-16). Si tratta di un universo da cui girare al largo, se ci si attiene al moralismo dei benpensanti; Saba invece è invincibilmente attratto da chi sembra vivere la propria vita senza ipocrisia né riguardi per le convenzioni, seguendo liberamente i propri istinti. La sua simpatia non è dovuta alla curiosità nei confronti di un ambiente pittoresco, e non ha nulla di paternalistico. È piuttosto un atteggiamento di spontanea fratellanza, che lo porta a sentirsi accomunato a queste creature della vita / e del dolore (vv. 17-18). In esse riconosce la fragilità tipica della condizione umana, che ben conosce, e con slancio solidale può sciogliere i dolori personali nella sofferenza universale. Mescolarsi a questo mondo non degrada ma purifica, e permette al poeta di soddisfare – come scriverà in Storia e cronistoria del Canzoniere – il bisogno innato «di fondere la sua vita a quella delle creature più umili ed oscure».

L’elemento più evidente della maniera di Saba è l’estrema semplicità stilistica, rivendicata con orgoglio in altri versi più tardi: «Amai trite parole che non uno / osava. M’incantò la rima fiore / amore, / la più antica difficile del mondo». La stessa rima in -ore ricorre nel finale di Città vecchia, legando amore, dolore in un nodo inestricabile con Signore (vv. 16, 18 e 19): dai due sentimenti scaturisce il senso di compassione in cui si riconosce la natura divina dell’uomo. Ma nel testo compaiono anche accostamenti dissonanti fra termini astratti “alti” e termini della realtà concreta più misera: lupanare e mare, detrito e infinito, friggitore e amore. L’insistenza di Saba sull’umiltà (un concetto che ricorre due volte, al v. 10 e al v. 20) coinvolge anche il lessico, dove si incontrano vocaboli che riflettono il degrado ritratto, da pozzanghera a bestemmia.

È da notare infine come ben tre periodi inizino con l’avverbio Qui (vv. 5, 11, 20): l’anafora vuole sottolineare il radicamento della visione del poeta in uno spazio ben preciso ed estraneo al resto della città. Nella breve strofa finale l’antitesi si condensa in una sentenza che rovescia la morale tradizionale, proponendo uno scandaloso ossimoro: il poeta sente il suo pensiero farsi più puro dove più turpe è la via (v. 22). Turpe, s’intende, se giudicata secondo i parametri dell’ipocrisia borghese.

 >> pagina 149

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Rifletti sulla disposizione degli argomenti del componimento: a che cosa è dedicata ciascuna delle tre strofe?


2. Sintetizza in massimo 5 righe il contenuto informativo della poesia.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

3. Evidenzia nel testo le rime e gli enjambement ed esponi alcune considerazioni sul ritmo del componimento.


4. Individua tutte le espressioni che indicano l’affollamento della città vecchia: ti sembra che sia un elemento positivo o negativo?


5. Quali sono le diverse sfaccettature dell’umanità rappresentate nel componimento? Con quale sguardo sono osservate dal poeta?


6. Che cosa significa l’espressione tutte creature della vita / e del dolore (vv. 17-18)?


7. Distingui nel testo i termini appartenenti a un lessico aulico e quelli appartenenti a un lessico basso. Che osservazioni puoi fare sulla mescolanza di questi due registri linguistici? Ci sono dei punti in cui i due registri ti sembrano in conflitto? Esponi le tue considerazioni.


Lessico alto






Lessico basso






COMPETENZE LINGUISTICHE

8. I registri linguistici. Come abbiamo visto nell’esercizio precedente, Saba utilizza talvolta un termine di registro aulico per indicare qualcosa di basso, comune o volgare, come il lupanare. Dopo averne controllato il significato sul dizionario, scrivi una frase per ciascuna delle seguenti parole:


• postribolo • meretrice • ritirata • cloaca • escremento • olezzo • afrore • turpiloquio.

PRODURRE

9. Scrivere per descrivere Immagina di passare anche tu, come Saba, tra le viuzze della parte più antica della tua città: chi e che cosa vedresti? Descrivilo in massimo 15 righe.


10. Scrivere per confrontare Confronta le immagini delle città presenti nei due testi poe­tici che hai letto (T5, p. 140; T6, p. 146): in che cosa sono simili o diverse? Sono immagini positive o negative? Con quale atteggiamento il poeta guarda alla propria città? Esponi le tue considerazioni in massimo 30 righe.


11. Scrivere per esprimere Trieste ha dedicato a Umberto Saba una statua di bronzo: essa è posta nel centro della città, in una delle vie dello shopping, tra luci e negozi. Che cosa avrebbe pensato il poeta di questa collocazione? Prova a riscrivere, anche in prosa, il componimento, immaginando che a farlo sia la statua del poeta (massimo 20 righe).

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

musica

Città vecchia di Saba ha ispirato l’omonima canzone del cantautore genovese Fabrizio De André (1940-1999). Ascoltala e confrontala con il componimento del poeta triestino: quali sono le differenze di atteggiamento nei confronti dell’umanità descritta nei due testi? Prepara un’esposizione orale di circa cinque minuti.

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

Come ti senti quando passeggi per le strade della città dove vivi o che conosci meglio? È un luogo in cui ti senti “a casa” oppure percepisci indifferenza ed estraneità?

 >> pagina 150

Se ti è piaciuto

La folla

La folla fa irruzione in letteratura nel secondo Ottocento, quando lo sguardo degli autori sempre più spesso si posa sulla realtà delle grandi città moderne, pulsanti di vita. Prevalgono due visioni. La prima, più tradizionale, è improntata alla violenza del popolo, che si scatena selvaggia in violente ribellioni, alzando barricate e scontrandosi con gendarmi e soldati, come avviene in pagine celebri dei Miserabili di Victor Hugo (1802-1885). La seconda è improntata allo spaesamento dato dal brulicare di uomini per le vie delle metropoli, dove l’anonimato diventa una condizione abituale. Da qui poco più tardi nasceranno le spettrali visioni di eserciti di automi avviati al lavoro, rintracciabili per esempio nel poema di Thomas Stearns Eliot (1888-1965) La terra desolata, calato fra le nebbie gelide di Londra.

Negli stessi anni, la folla senza volto che gremiva caoticamente le città inizia a trasformarsi nelle mani di Benito Mussolini in ordinata massa esultante, nelle oceaniche adunate fasciste che servirono da modello a tante altre dittature nel mondo. Il duce era solito far filmare queste manifestazioni, nella convinzione che la cinematografia fosse “l’arma più forte”.

Le scene di folla viste sul grande schermo in effetti ancora ai giorni nostri hanno il potere di impressionare profondamente lo spettatore. Uno degli esempi più straor­dinari in questo campo si incontra nel film di Fritz Lang Metropolis (1927), un capolavoro della fantascienza nel quale sono state arruolate come figuranti poco meno di quarantamila persone.

Anche in film più recenti non mancano scene con folle sterminate: alcuni momenti affascinanti li ha offerti Bernardo Bertolucci (n. 1941) nell’Ultimo imperatore, ambientato in Cina. Anche in questo caso è stato utilizzato un numero altissimo di comparse.

Nel nuovo millennio si preferisce invece fare ricorso alla tecnologia digitale, che permette effetti di grande suggestione e consente di ridurre fortemente i costi. Un esempio fra i più riusciti è lo scontro in Matrix Reloaded (2003), fra il protagonista Neo e una schiera di cloni dell’agente Smith.

La dolce fiamma - volume B plus
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Poesia e teatro - Letteratura delle origini