Oltre a Il mondo deve sapere, nel 2006 uscirono almeno altre due opere significative sul precariato, a metà fra letteratura e reportage, testimonianze di una condizione che già allora andava dilagando. In Mi spezzo ma non m’impiego Andrea Bajani (n. 1975) racconta con ironia amara varie categorie di lavoratori flessibili: interinali, stagisti, co.co.co., partite Iva, freelance. Tutti personaggi che ritornano nelle interviste rimontate da Aldo Nove (n. 1967) in Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese…
Ma già in precedenza la letteratura italiana aveva descritto la condanna delle generazioni più giovani a dividersi tra lavori diversi e a coltivare rapporti umani e sociali, oltre che professionali, fatalmente instabili, precari appunto. È il caso di un trentenne operaio pugliese, protagonista del romanzo Nicola Rubino è entrato in fabbrica di Francesco Dezio (n. 1970), costretto a sei mesi infernali di ritmi di produzione disumani per trasformare un contratto di formazione a tempo nell’agognata conquista del posto fisso.
Il romanzo tragicomico della Murgia non rappresenta quindi un caso isolato, ma è diventato l’emblema di una generazione depredata anche grazie alla libera reinterpretazione che ne hanno dato un’opera teatrale di David Emmer (2008), con Teresa Saponangelo, e un film diretto da Paolo Virzì, Tutta la vita davanti (2008), interpretato da Massimo Ghini, Isabella Ragonese, Sabrina Ferilli, Elio Germano e Valerio Mastandrea.