L’acqua copre più di due terzi del nostro pianeta, e non se la passa benissimo negli ultimi tempi. Il problema non consiste soltanto nel riscaldamento globale, che ha portato per esempio specie esotiche come il barracuda nel Mediterraneo, ma anche nell’inquinamento. A tale proposito non bisogna pensare soltanto agli idrocarburi, come il petrolio: si va facendo drammatica infatti la presenza di materiali plastici negli oceani, come sottolinea quest’articolo del giornalista scientifico Giovanni Caprara (n. 1948). Molti oggetti che conosciamo bene, come sacchetti, flaconi, bottiglie e imballaggi, possono restare a mollo per decenni, riducendosi col tempo a minuscoli frammenti tossici che entrano nella catena alimentare, avvelenando i pesci e chi di pesci si nutre. L’epoca dell’usa-e-getta non potrà durare ancora a lungo.
T3 - Giovanni Caprara, Le “isole di plastica” crescono
T3
Giovanni Caprara
Le “isole di plastica” crescono
- articolo
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Non c’è solo la Pacific Trash Vortex, la grande isola di spazzatura nel nord
dell’Oceano Pacifico, ben documentata dalla fine degli anni Ottanta anche
grazie ai rilevamenti satellitari.1 Già questa preoccupa non poco. Si stima che
la sua formazione inizi dagli anni Settanta tra la California e le Hawaii e che
5 la sua estensione possa variare, a seconda delle valutazioni, da 1 a 10 milioni
di chilometri quadrati; cioè più estesa degli Stati Uniti d’America. Con uno
spessore significativo, di circa 10 metri in alcuni punti, si ritiene possa contenere
fino a 100 milioni di tonnellate di detriti. Una mostruosità di cui non
ci rendiamo conto. Ma il guaio è che non è, appunto, l’unica. Ci sono infatti
10 altre isole, 5 addirittura, ormai ben documentate, oltre che nel nord anche nel
sud del Pacifico, due nell’Atlantico e 1 nell’Oceano Indiano. Ma andando nel
dettaglio ne ritroviamo pure nel Mediterraneo e anche nei nostri mari:
dall’Adriatico al Tirreno.
Minaccia mortale
15 Non a caso gli allarmi si fanno sempre più frequenti ed autorevoli. Agli inizi
dell’anno le Nazioni Unite lanciavano, attraverso il loro programma ambientale
Unep,2 la campagna «Clean Seas», puliamo i mari, con l’obiettivo di eliminare
entro il 2022 le principali fonti di inquinamento marino, che minacciano
la sopravvivenza di circa 600 specie animali, il 15 per cento delle quali già
20 in via di estinzione. La ragione è che la plastica, soprattutto le microplastiche,
diventano per loro cibo quotidiano, con l’aggravante che poi loro stessi
sono cibo inquinato per noi mangiatori
di pesce. Gli esperti delle
Nazioni Unite hanno stimato che
25 ogni anno vengono scaricate nelle
acque del pianeta otto milioni di
tonnellate di ▶ plastica.
L’allarme di Davos
Sempre nei primi mesi dell’anno,
30 un altro richiamo pesante è giunto
dal Forum economico di Davos3
(Svizzera) con un documento che
fotografa la drammatica situazione,
ancora sottovalutata, secondo
35 la quale oggi i mari del pianeta conterebbero
150 milioni di tonnellate
di materie plastiche. Tra le acque
più inquinate ci sarebbero quelle
del Mediterraneo, dove la concentrazione
40 delle microplastiche sarebbe
superiore a quelle dell’isola
del Pacifico. Nel mondo si producono
300 milioni di tonnellate di
plastica ogni anno e la produzione
45 è aumentata di venti volte negli ultimi 50 anni. Un terzo degli oggetti di plastica
prodotti a livello globale viene abbandonato nell’ambiente, ovviamente
mari compresi.
La «zuppa mediterranea»
La rivista scientifica “Science” riferisce che più della metà della plastica (circa
50 il 60 per cento) finisce negli oceani e proviene soprattutto da cinque nazioni
asiatiche: Cina, Filippine, Thailandia, Indonesia e Vietnam. Ma i Paesi intorno
al Mediterraneo non sono da meno se l’Unep certifica il loro contributo di 731
tonnellate di rifiuti plastici al Mare Nostrum.4 Uno studio pubblicato sulla rivista
scientifica “Nature” e condotto per tre anni dall’Istituto di scienze marine
55 del Consiglio nazionale delle ricerche Ismar di Lerici in collaborazione con
alcune università, parla di «Mediterranean soup», zuppa mediterranea che in
alcuni punti raggiunge una concentrazione che non ha pari in altre zone della
Terra: 1,25 milioni di frammenti di plastica per chilometro quadrato contro i
335.000 del Pacifico.
60 Come si formano le isole
Le isole di plastica si formano grazie ai vortici delle correnti capaci di raccogliere i
frammenti di varie dimensioni ripescati dagli scarichi lungo le coste, dai maremoti
o dalle navi cargo che qualche volta si rovesciano. Il caso più famoso rimane il
naufragio della nave Hansa Carrier5 che ha lasciato in mare 80 mila articoli tra stivali e
65 scarpe da ginnastica.
Nella catena alimentare
La plastica subisce una fotodegradazione grazie alla radiazione solare, in grado
di provocare una frammentazione in pezzi sempre più piccoli lasciando però
le catene molecolari di base intatte. La biodegradazione totale rimane quasi
70 impossibile e tra i resti si trova anche il Pcb, un composto organico altamente
inquinante e pericoloso per la salute degli animali e dell’uomo. Pesci, molluschi
fino ai crostacei finiscono dunque per alimentarsi delle varie sostanze
chimiche ponendo rischi da valutare seriamente. Uno studio dell’Università
politecnica delle Marche ha trovato tracce in almeno
75 il 30 per cento del pescato dell’Adriatico. Un altro studio di
Greenpeace, su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo
centrale, tra cui specie commerciali come pesce spada,
tonno rosso e tonno alalunga, ha identificato la presenza
di frammenti di plastica nel 18,2 per cento dei campioni
80 analizzati.
La discarica delle Maldive
E poi c’è il caso delle Maldive, gettonata meta turistica. In questa zona
dell’Oceano Indiano dove sono raggruppate 1192 isole arriva circa un milione di
vacanzieri l’anno. Per smaltire la loro produzione di rifiuti in parte di natura
85 plastica è stata creata a sette chilometri dalla capitale Malè l’isola discarica
artificiale più grande del mondo, dove a cielo aperto si bruciano i rifiuti per 24
ore al giorno generando tra l’altro una colonna di fumo tossico.
Operazione zero-plastica
Come affrontare il problema? La prima soluzione, come suggerisce l’Unep, è il
90 riciclaggio più spinto delle materie plastiche. Intanto, però, ci sono città come
San Francisco, Amburgo e Montréal che hanno messo al bando le bottiglie di plastica.
Altre potrebbero seguirle. In Italia Legambiente ha lanciato la proposta per
arrivare a zero-plastica in discarica entro il 2020. In conclusione ci devono essere
certamente degli interventi politici decisi, ma a questi si deve aggiungere una
95 consapevolezza individuale per cambiare alcune abitudini (pericolose) che alla
fine si ritorcono contro la nostra salute.
Giovanni Caprara, Le “isole di plastica” crescono, “Corriere della Sera”, 3 maggio 2017 (con tagli)
Laboratorio sul testo
1. Che cos’è la Pacific Trash Vortex (r. 1)?
2. Secondo le stime più aggiornate, quante sono le specie di animali marini che rischiano l’estinzione a causa dell’inquinamento dei mari?
- a 200.
- b 300.
- c 400.
- d 600.
-
3. Qual è la causa principale di inquinamento dei mari del nostro pianeta?
- a Gli idrocarburi.
- b La plastica.
- c Gli scarichi industriali.
- d Idrocarburi, plastica, scarichi industriali.
4. Come si formano le “isole di plastica”?
5. Che cos’è il Pcb (r. 70)?
- a È il Programma delle Nazioni Unite dedicato all’ambiente.
- b È un composto organico inquinante, che finisce nella catena alimentare degli animali marini.
- c È una fondazione che organizza incontri annuali sui temi della salvaguardia ambientale.
- d È l’istituto che si occupa di monitorare il livello di inquinamento delle acque dei mari italiani.
-
6. In Italia Legambiente ha proposto, seguendo l’esempio di città come San Francisco, Amburgo e Montréal, di “mettere al bando” le bottiglie di plastica. Che cosa succederebbe se questa proposta dovesse diventare legge?
- a Sarebbe obbligatorio il riciclaggio della plastica.
- b Non potrebbero più essere vendute e usate le bottiglie di plastica.
- c La produzione delle bottiglie di plastica sarebbe controllata dallo Stato e mantenuta entro limiti sostenibili dall’ambiente.
- d Solo alcune aziende avrebbero il permesso di produrre e commercializzare bottiglie di plastica.
Primi passi verso l’Esame di Stato: il testo argomentativo
Individuazione di paragrafi dotati di senso
Utilizzo dei connettivi logici
Ogni testo può essere suddiviso in porzioni più piccole che graficamente corrispondono ai capoversi. In un testo argomentativo tali porzioni sono dette paragrafi e sono solitamente dotate di un senso compiuto (esauriscono, cioè, un tema chiave collegato all’argomento principale di cui si parla). Tali paragrafi possono essere graficamente staccati tra loro (magari caratterizzati anche da un titoletto), oppure far parte di un’argomentazione più ampia che lega ogni paragrafo attraverso dei connettivi logici (congiunzioni, avverbi, espressioni della lingua ecc.).
Tra i connettivi più frequenti ci sono quelli causali (perciò, per cui), esemplificativi (per esempio, in tal caso), esplicativi (infatti, appunto), oppositivi (al contrario, invece), conclusivi (quindi, di conseguenza), che scandiscono una sequenza temporale (innanzitutto, infine), correlativi (da una parte… dall’altra) e tanti altri.
Il brano di Caprara, affrontando il tema ecologico, si focalizza principalmente sul problema dell’inquinamento dovuto all’eccessivo uso della plastica. Il giornalista concentra le sue argomentazioni in paragrafi separati e titolati che trattano singoli dati della questione, ma che presentano uno stretto legame tra loro.
- Identifica il tema chiave di ogni singolo paragrafo.
- Riscrivi il brano in un testo argomentativo unico. Nella produzione dovrai stare attento a costruire un buon impianto argomentativo; a scegliere con cura i connettivi necessari a legare tra loro i paragrafi che risultano separati nel testo di partenza; a unire nello stesso paragrafo i dati relativi allo stesso argomento che nel testo originale appaiono in sezioni diverse (per esempio il problema alimentare è trattato nel paragrafo intitolato Minaccia mortale e in quello intitolato Nella catena alimentare).
La dolce fiamma - volume A
Narrativa