T3 - Il compagno

T3

Il compagno

  • Tratto da Lo scialle andaluso, 1963
  • racconto

Il testo fa parte della raccolta Lo scialle andaluso, nella quale la scrittrice propone alcuni suoi racconti, in gran parte editi in precedenza. Il compagno, qui riportato integralmente, è stato pubblicato per la prima volta in rivista nel 1940.

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Audiolettura

Ero un ragazzo di tredici anni, scolaro di ginnasio:1 fra tanti miei compagni né

belli né brutti, ce n’era uno bellissimo. Egli era troppo ribelle e pigro per essere

il primo della classe; ma, tutti lo vedevano, il minimo sforzo gli sarebbe bastato

per diventarlo. Nessuna delle nostre intelligenze si rivelava, come la sua,

5      limpida e felice. Il primo della classe ero io; avevo l’indole poetica e, pensando

al compagno, mi veniva fatto di2 chiamarlo Arcangelo.

A rievocarlo con questo nome, rivedo i suoi capelli dorati e piuttosto lunghi,

la curva delle sue guance che si accordava così gentilmente con quella

delle sue labbra, l’orgogliosa luce degli occhi. Risento perfino la sua risata piena

10    d’infantile abbandono: simile ad un’acqua rimasta limpida attraverso tutti

questi anni.

Il compagno era così viziato dalla natura, che nessuno di noi dubitava lo

fosse anche dalla fortuna. La sua superbia era legittima, certo egli era il più

ricco di noi tutti. Aveva i capelli ben pettinati, graziose cravattine, e i libri di

15    scuola rilegati3 con un bel cartone rosso lucido. Nessuno di noi si presumeva

degno4 di essere ammesso alla sua casa; che, senza averla vista, ci figuravamo

regale.

Tutti i giorni veniva a prenderlo una donna che, a quanto egli stesso ci

disse, era la sua serva. Alta e riservata, superba si sarebbe detto, ella aveva le

20    guance pallide, le palpebre sbattute di chi dorme poco la notte, e una treccia

così splendida e pesante da parer d’oro massiccio:5 raccolta in crocchia6 sulla

nuca, secondo il costume7 delle popolane.

I due si scambiavano un sorriso; in cui vedo oggi una complicità; poi la

donna, con l’umile sollecitudine di una serva appunto, prendeva la cartella

25    dalle mani del compagno. E se ne andavano insieme verso quella dimora mai

vista, su cui fantasticavo.

Sebbene io fossi il primo della classe, e non lui, mi empivo8 di fierezza

quand’egli mi chiamava col mio nome di battesimo Augusto, invece di chiamarmi

col cognome, come faceva con gli altri scolari.

30    Un giorno (il compagno era stato invitato alla cattedra per essere interrogato),

alcuni di noi si accorsero subito che il suo viso era diverso. C’era nei

suoi occhi una specie di spavento furtivo. Pareva uno, io pensai con pietà, che

nell’uscire ha lasciato a casa un ospite feroce il quale, nella sua assenza, può

infuriare9 sulle cose amate. Alla prima domanda del professore, fissò sulla cattedra

35    quegli occhi stupefatti; poi scoppiò in uno strano pianto. Strano perché

non liberatore e spontaneo, come quello degli altri fanciulli dell’età sua;

ma faticoso, amaro come quello degli adulti il cui dolore è impietrito e senza

scampo. A vederlo piangere così, la testa ripiegata tra le braccia e agitata da

sussulti, ci vinceva lo stesso angoscioso disagio che si prova a veder piangere

40    un uomo.

La mattina dopo, sapemmo la causa di tutto questo: il compagno infatti

non venne a scuola perché sua madre, malata da qualche giorno, era morta

quella notte. Sapemmo pure che sua madre era proprio quella popolana che

soleva aspettarlo all’uscita; certo lui si vergognava della sua povertà, e per

45    questo aveva finto ch’ella fosse la sua serva.

Tale  spregevole commedia eccitò

il nostro disprezzo contro il

compagno; ma, poiché lui cessò di

frequentare la scuola, gli altri scolari

50    non poterono vendicarsi. La vendetta

fu riservata a me.

Il compagno, già da prima orfano

di padre, non avendo altri parenti,

fu raccolto per carità da uno

55    zio bottegaio che lo mise in bottega

come garzone.10 Non erano passati

molti mesi da che aveva lasciato la

scuola quando io, entrato per caso

in quella bottega, lo ritrovai. Uscivo

60    appunto dalla lezione e avevo i miei libri sotto il braccio. Egli portava un abitino

troppo stretto e troppo corto; e sulle spalle piuttosto esili il suo viso infantile

era così bello che, mio malgrado, mi venne fatto di chiamarlo fra me come

prima: Arcangelo. Guardandomi, ebbe il sorrisetto sforzato di un fanciullo percosso

che, per non darvi soddisfazione, fa finta di nulla. Ma vedendomi freddo

65    e silenzioso al di qua del banco, forse indovinò lo sdegno che io, come tutti

gli altri ragazzi, sentivo per lui. Le sue pupille si accesero di superbia, il suo

sorriso diventò vittorioso e sprezzante, e, a bassa voce, mi disse: «Sgobbone».11

Non so chi formò per me la frase della risposta, e la portò alle mie labbra di

fanciullo. Essa riecheggia in me come estranea: pure12 la pronunciai: «Figlio

70    di serva», gli dissi. Ebbi appena il tempo, dopo questo, di vedere il suo rossore

infocato13 e poi, subito, il suo pallore: in cui egli mi apparve così abbandonato

e inerme14 nella sua viltà, che d’un tratto riebbi per lui, tutto intero, il mio fanciullesco

amore di compagno. Di corsa uscii dalla bottega.

Da allora non l’ho più rivisto né ho più sentito parlare di lui; ma ancora

75    oggi, malgrado il mio disprezzo, il mio sentimento per quel compagno è tale

che, se lo sapessi in prigione (non so perché la mia mente si ferma su questa

ipotesi come sulla più verosimile), sarei pronto a prendere il suo posto purché

lui venisse liberato.


Elsa Morante, Lo scialle andaluso, Einaudi, Torino 1963

 >> pagina 689 

A tu per tu con il testo

Gli anni della formazione rivestono un’importanza fondamentale nella storia personale di ciascuno. Anche dopo molto tempo, quando la vita ti avrà portato lontano dalle aule, forse in una città nuova o in un paese straniero, all’improvviso riaffiorerà un flash, una scena, una frase, un volto che ti riporterà in classe, là dove sono nate le tue prime amicizie e ostilità; là dove i confronti e gli scontri con i docenti e i compagni ti hanno permesso di capire meglio chi sei e in che cosa credi. Mille volte, quando sarai grande, tornerà il brivido delle emozioni fortissime provate nelle giornate trascorse a scuola, che oggi magari ti sembrano lunghissime, e domani staranno tutte nel rapido sorriso con cui le ricorderai.

 >> pagina 690

Analisi

Da allora non l’ho più rivisto né ho più sentito parlare di lui (r. 74), afferma il narratore a proposito del protagonista del racconto. Nonostante il tempo, però, egli nutre ancora per il compagno un’ammirazione adorante. Ce lo descrive, infatti, come un fanciullo dalle straor­dinarie doti di bellezza e di intelligenza, un giovane letteralmente viziato dalla natura (r. 12) che, con lui, è stata particolarmente prodiga di doni. Per nascita, infatti, le qualità di Arcangelo abbondano a tal punto che, come le ricchezze di un aristocratico, il giovane può permettersi di sprecarle: la sua superiorità è così evidente da non avere bisogno di essere dimostrata ed egli si permette, pertanto, di essere troppo ribelle e pigro (r. 2) negli studi.

Augusto, al contrario, negli studi vuole primeggiare, e lo fa con determinazione e successo. Infatti è lui il primo della classe ed è molto felice perché Arcangelo gli concede, riconoscendo così il valore del suo primato, il privilegio esclusivo di chiamarlo con il nome di battesimo e non, come con gli altri scolari (r. 29), con il cognome. Nella piena fierezza (r. 26), con cui Augusto reagisce all’onore ricevuto da Arcangelo, il lettore avverte il legame speciale tra i due ragazzi che, l’uno nel comportamento dell’altro, hanno la reciproca conferma della loro eccezionalità.

Studenti del ginnasio, Augusto e i suoi compagni sono convinti, come credevano gli antichi Greci, che la bellezza fisica corrisponda a un animo nobile e alla benevolenza del destino. Nessuno di loro mette in dubbio, pertanto, che Arcangelo sia amato anche dalla fortuna (r. 13) e provenga da una famiglia altolocata, da una casa che, senza averla vista, tutti immaginano regale (rr. 16-17).

L’amara realtà, però, scopre la meschinità dell’eroe idealizzato: l’adorazione che il narratore prova per l’amico, inizialmente incrollabile, si trasforma in un altrettanto fermo sdegno. Stupito e deluso, infatti, egli vorrebbe vendicarsi di chi, dietro l’arroganza dei suoi modi, ha nascosto a tutti la propria natura bugiarda e la propria condizione sociale, occultata da una spregevole commedia (r. 46). Però, quando l’occasione gli si presenta, i sentimenti di Augusto sono confusi: da una parte, infatti, egli è intenzionalmente freddo e silenzioso (rr. 64-65) con Arcangelo ma, dall’altra, lo vede abbandonato e inerme (rr. 71-72) e, subito pentito di averlo umiliato ed etichettato con crudeltà (Figlio di serva, rr. 69-70), scappa vergognandosi dalla bottega in preda al senso di colpa.

Nel rievocare la sua fanciullezza, così, il narratore ci mostra gli intensi sentimenti in conflitto nel suo cuore. Nella mescolanza inestricabile di fanciullesco amore di compagno (rr. 72-73) e di disprezzo (r. 47) per il superbo Arcangelo, l’autrice vuole ritrarre una dolorosa capacità dell’animo umano: quella di ferire coloro che amiamo, e di amare coloro che ci feriscono.

Il lettore viene posto di fronte alle particolareggiate memorie di Augusto: conosciamo l’età del narratore all’epoca dei fatti; abbiamo un minuzioso ritratto del compagno, dei suoi tratti fisici e, addirittura, della sua limpida (r. 5) risata. Ci vengono riferiti con esattezza i tratti della sua personalità, e il colore dei suoi libri, le sue graziose cravattine (r. 14).

Alla determinatezza dei dettagli, però, si accompagna una sorprendente vaghezza del quadro complessivo. Non sappiamo, a parte il nome, nulla del narratore. Quanti anni ha quando racconta? Quanto tempo è passato dai fatti? In quale città sono accaduti gli avvenimenti, e quando? Anche il compagno è una figura nel complesso sfuggente: non abbiamo la sua versione dei fatti, né sappiamo il suo vero nome, ma solo come lo vede il narratore. Nel lettore, così, nasce una sensazione di indeterminatezza che conferisce a questa breve storia l’atmosfera lontana e suggestiva di una fantasia, o di un mito.

 >> pagina 691

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Augusto e Arcangelo sono

  • a due compagni di giochi. 
  • b due compagni di scuola superiore. 
  • c due compagni di scuola elementare. 
  • d due vicini di casa. 


2. Arcangelo è (sono possibili più risposte)

  • a lo studente migliore della classe. 
  • b uno studente dall’intelligenza viva e acuta. 
  • c uno studente pigro e ribelle. 
  • d uno studente ricco. 
  • e uno studente viziato. 
  • f uno studente superbo. 

3. Chi è la donna che tutti i giorni va a prendere Arcangelo a scuola?


4. Perché i compagni di scuola, dopo la morte della madre di lui, disprezzano Arcangelo?

  • a Perché hanno scoperto la verità sul conto della madre e, quindi, sulla sua condizione sociale. 
  • b Perché è diventato povero. 
  • c Perché è diventato orfano. 
  • d Perché si è mostrato debole piangendo in classe. 

5. Quando i due compagni si incontrano nuovamente dopo qualche mese

  • a sono felici di rivedersi. 
  • b il narratore insulta Arcangelo. 
  • c Arcangelo insulta il narratore. 
  • d si insultano a vicenda. 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Che cosa rende Arcangelo così speciale agli occhi del narratore?


7. Perché i compagni credono che Arcangelo sia ricco?


8. Quando Arcangelo viene interrogato e poi scoppia a piangere, quali i sono i segni che ne denunciano il particolare stato psicologico? Individua i passi e le espressioni del testo.


9. Rileggi il passo in cui è narrato l’incontro nella bottega: ti sembra che il comportamento di Arcangelo sia descritto in maniera obiettiva oppure sia influenzato dal pregiudizio del narratore? Esponi le tue considerazioni.

COMPETENZE LINGUISTICHE

10. Lessico. Sinonimi e contrari. Sono numerosi, nel racconto che hai letto, i termini astratti utilizzati per descrivere una vasta gamma di sentimenti, soprattutto negativi. Dopo averli individuati nel testo (sono 7), trova per ciascuno un sinonimo e scrivi una frase in cui utilizzi uno dei due.


Nomi astratti

Sinonimo

Frase

 
     
     
     
     
     
     

PRODURRE

11. Scrivere per ESPRIMERE Mettiti nei panni del protagonista e immagina di scrivere, a distanza di anni dall’episodio, una lettera di scuse ad Arcangelo (massimo 20 righe).

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

Ti è mai capitato di offendere o trattare male qualcuno e poi di pentirtene amarament

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Narrativa