A tu per tu con l'autore

A tu per tu con l’autore

Sopravvissuto alle disumane condizioni dei campi di concentramento nazisti, in cui, durante la Seconda guerra mondiale, furono sterminati milioni di ebrei, zingari, omosessuali e disabili, Primo Levi si assume l’impegno doloroso di raccontare uno dei momenti più cupi della storia occidentale, da lui direttamente vissuto. Essere testimone della Shoah diventa così un triste privilegio, ma è una pena necessaria affinché chi non c’era possa conoscere e giudicare liberamente.

L’autore presenta, con oggettività e precisione, l’infernale sistema elaborato nella Germania di Hitler per l’eliminazione totale degli ebrei e delle persone considerate inferiori: chi racconta non è animato dal desiderio di vendetta, non formula giudizi né esplicite condanne, ma fa appello alla razionalità e al senso di giustizia dei suoi lettori perché, di fronte alla terribile verità, siano capaci di valutare da sé fatti, idee e persone.

Leggere Levi oggi significa allora accogliere un monito per i tempi presenti e futuri: la sua opera più conosciuta, Se questo è un uomo, ci mostra la cieca follia che ottenebra la mente dell’uomo quando il suo cuore sprofonda nell’odio. La Shoah ha messo tragicamente in evidenza il male di cui sono capaci gli esseri umani: leggendo Levi capiamo che i campi di sterminio non sono qualcosa di remoto che appartiene al passato, ma possono sorgere dentro ognuno di noi, quando nelle nostre coscienze all’umanità subentrano la barbarie e l’intolleranza. Ecco perché l’esortazione dello scrittore, a domandarci sempre “se questo è un uomo”, assume, anche nella nostra epoca, un valore straordinario e assolutamente attuale.

1. LA VITA E LE OPERE

Primo Levi nasce a Torino nel 1919, da una famiglia ebraica della borghesia cittadina. Laureato in Chimica nel 1941, è arrestato dai fascisti nel 1943 per la sua adesione alla Resistenza e condotto nel campo di concentramento di Fossoli (Modena). Dal febbraio 1944, i nazisti prendono il controllo del campo: Levi viene così deportato ad Auschwitz, in Polonia, dove rimane fino al 27 gennaio 1945, quando viene liberato dai soldati dell’esercito sovietico. Tornato avventurosamente a Torino, dal 1947 lavora in una fabbrica di vernici nei pressi della città, fino al pensionamento nel 1975. Muore suicida a Torino nel 1987.

Proprio l’esigenza di raccontare e testimoniare l’orrore della Shoah spinge Levi alla scrittura. Redige così, appena ritornato, Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947 da un piccolo editore e ristampato, nel 1958, da Einaudi. Nel 1963 scrive La tregua, in cui narra la liberazione e il ritorno a Torino.

Dalla testimonianza autobiografica Levi passa, in seguito, alla scrittura di invenzione, e nel 1966 escono, sotto pseudonimo, i racconti di fantascienza Storie naturali; seguono, firmati come Primo Levi, altri racconti dello stesso genere, riuniti sotto il titolo Vizio di forma (1971). Legati alla sua professione di chimico e, in generale, alla sua reale esperienza nel mondo del lavoro sono invece la raccolta di racconti Il sistema periodico (1975) e il romanzo La chiave a stella (1978), ricchi di elementi autobiografici.

Dal 1981 Levi ritorna al tema delle persecuzioni razziali con Lilìt e altri racconti (1981) e con il romanzo Se non ora, quando? (1982), che immagina la lotta contro i nazisti di una banda partigiana di ebrei russi e polacchi. È del 1986 I sommersi e i salvati, un libro di inquiete riflessioni sui temi del male e della memoria della Shoah.

Levi fu anche poeta: ricordiamo soprattutto Ad ora incerta, del 1984, che raccoglie poesie scritte a partire dal 1943.

 >> pagina 628 

2. Se questo è un uomo

In Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, Levi racconta in prima persona la deportazione e la prigionia nel campo di concentramento nazista di Ausch­witz, dal marzo 1944 al gennaio 1945. Si tratta di un libro oggi tradotto e letto in tutto il mondo, un’opera non facile da inquadrare in un genere letterario, che è insieme documento storico, testimonianza memorialistica, riflessione saggistica e romanzo dotato di grandissima forza espressiva.

Dopo un testo poetico che introduce le tematiche dell’opera, il racconto viene aperto e chiuso dalle date del primo e dell’ultimo capitolo, che scandiscono, con precisione, lo scorrere del tempo. Nei quindici capitoli centrali l’azione si svolge in una dimensione sospesa: da quando Levi entra nel campo di concentramento ( T1, p. 634), infatti, le notazioni temporali scompaiono pressoché completamente ed egli si trova, con i suoi compagni, relegato come in un mondo fuori dal mondo, un immobile inferno in cui il male è l’unica, tragica certezza.

I capitoli non si susseguono secondo un ordine cronologico, bensì raccolgono vicende e personaggi attorno a singoli argomenti o temi specifici: per esempio, l’estenuante routine quotidiana ( T2, p. 642), o le notti e gli insopportabili incubi dei deportati. Si parla degli assurdi commerci clandestini necessari per sopravvivere, e un impressionante capitolo descrive la spietata pratica delle «selezioni», con cui le SS decidono della vita e della morte dei prigionieri.

Anche lo spazio è fisso: dopo Fossoli, infatti, il luogo del racconto è il campo di concentramento di Auschwitz. In particolare, Levi è nel sottocampo di Monowitz, per lavorare alla costruzione della Buna, una fabbrica di gomma sintetica che non entrò mai in funzione. Abbiamo la precisa descrizione della topografia del campo, delle gelide baracche in cui i prigionieri sono ammassati, privi di ogni conforto, di acqua pulita, di servizi igienici adeguati. Perfino il paesaggio, nel libro, assume un aspetto ostile e terribile: il campo è freddo, fangoso, malsano, attraversato da fiumi che ristagnano nel gelo ( T3, p. 649).

 >> pagina 629 

L’autore, con la ferma razionalità della sua formazione scientifica, classifica i prigionieri in distinte categorie. Con il termine di «sommersi» indica coloro che, vinti dall’estenuante fatica del lavoro e spiritualmente fiaccati dai continui oltraggi alla loro dignità di persona, perdono ogni capacità di resistere moralmente alla crudeltà degli aguzzini e, rapidamente, soccombono. Privati di volontà e forza d’animo, i sommersi non possono infatti affrontare adeguatamente «la lotta per la sopravvivenza» che nel lager «è senza remissione, perché ognuno è disperatamente ferocemente solo». Dal campo, infatti, la solidarietà è bandita: la pietà e la compassione non possono trovare spazio laddove ogni energia che non sia spesa per la propria conservazione risulta sprecata ( T2, p. 642).

Per questo, come di fronte a un tragico esperimento sociale, l’autore indica le caratteristiche di chi, forse, si salverà: sono coloro che sanno diventare «mostri di asocialità e insensibilità». I «salvati», come Levi chiama questi prigionieri, riescono, nella «lotta estenuante di ciascuno contro tutti», a farsi strada verso la sopravvivenza, a prezzo della loro moralità e umanità. Avere escogitato un meccanismo orribile che porta alla «demolizione di un uomo» resta, forse, la colpa più atroce dei nazisti: i sommersi muoiono nel corpo perché non sanno più trovare risorse per sopravvivere; i salvati muoiono nell’anima perché, a parte rarissimi casi determinati dalla fortuna e dal caso, sopravvivono ma perdono, nel lager, la loro umanità.

Il libro è ricco di figure che colpiscono l’immaginazione del lettore: spesso poco più che comparse, sono di solito presentate direttamente, attraverso le loro parole e le loro azioni ( T3, p. 649). Il narratore infatti, che è anche il personaggio principale, tende ad astenersi dal giudizio diretto, lasciando tale compito al lettore ( T1, p. 634). Vi sono, però, eccezioni che segnalano la straordinarietà di alcuni personaggi: i prigionieri del campo rappresentano una molteplicità umana di cui, in particolare, vediamo due modelli contrapposti.

Alex è un prigioniero che, per la sua ferocia, è diventato kapò, cioè responsabile di un gruppo di deportati, secondo la prassi del campo. Il narratore è un suo sottoposto e, con un gesto oltraggioso, Alex si pulisce la mano sporca di grasso nero su di lui, come con uno straccio. Levi personaggio, allora, cede la scena al Levi narratore che, intervenendo direttamente nella vicenda, «alla stregua di questo suo atto» lo giudica con pacata ma inflessibile severità.

Lorenzo è un operaio civile che, per mesi, rischia dure punizioni per portare, a Levi, avanzi di cibo. La fortuna di avere incontrato Lorenzo è una delle ragioni che permettono a Levi di sopravvivere: il narratore afferma, con riconoscente commozione, che «Lorenzo era un uomo». Il contatto con la sua umanità ha permesso a Levi personaggio di «non dimenticare di essere io stesso un uomo».

La fame che divora i corpi, malnutriti di una brodosa e insufficiente zuppa ( T3, p. 649); il freddo insopportabile della Polonia, dal quale è impossibile proteggersi; le condizioni igieniche precarie e umilianti, peggiorate dalla promiscuità coatta che diffonde pidocchi e scabbia: tutto questo, mescolato con le assurde e incomprensibili regole del campo ( T2, p. 642), comporta condizioni di vita tremende.

Scientificamente studiata dai nazisti per sfruttare le risorse vitali dei prigionieri, fino alla loro estinzione, la vita nel campo risulta disumana al punto tale da apparire incredibile agli stessi occhi dei deportati. Levi, in proposito, ricorda la paura – una volta scampato alla tragedia – di non essere creduto, trasformata nell’incubo ricorrente della «narrazione fatta e non ascoltata»: anche per questo, dopo il successo del suo libro, l’autore intervenne con frequenza in dibattiti pubblici sulla Shoah, presso scuole e altre istituzioni, per testimoniare ciò che, a molti altri sopravvissuti, pareva troppo difficile e troppo doloroso rievocare. Con il trascorrere dei decenni, e la graduale scomparsa di chi c’era stato, la voce diretta di Primo Levi acquista sempre più importanza: l’autore ci parla dalle pagine del suo libro per attestare la verità dei fatti, oltre i limiti della memoria individuale e della trasmissione orale.

La scrittura di Levi persegue la semplicità: la costruzione della frase è lineare; la paratassi prevale sulla subordinazione. La pagina, insomma, si propone di riferire con esattezza fatti e situazioni: ciò determina, spesso, la presenza di frasi e termini nelle lingue parlate da prigionieri e aguzzini, come il tedesco e il francese ( T3, p. 649). La precisione del lessico ( T2, p. 642) e la chiarezza scandita delle frasi ( T1, p. 634) sono un mezzo per suscitare una presa di coscienza che non passa attraverso le emozioni, ma giunge tramite l’esercizio della ragione. Non si insiste, in Se questo è un uomo, su dettagli macabri o patetici: il narratore non ricerca né la commiserazione per sé, né l’odio o la vendetta per i responsabili, ma adotta, dandoci un’altissima lezione di moralità e di giustizia, un tono oggettivo, emotivamente controllato, che accompagna il lettore in un tragico percorso di conoscenza. Perché, dice Levi, «se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate».

Il valore della memoria

Il memoriale di Berlino, realizzato dall’architetto di origine ebraica Peter Eisenman (n. 1932), si estende per 19 000 m2 nel sito dove era ubicato, durante il regime hitleriano, il palazzo del gerarca e ministro nazista Goebbels. È composto da 2711 blocchi rettangolari di calcestruzzo, simili a sepolture, di altezze differenti e posizionati a formare una griglia, all’interno della quale i visitatori possono camminare, essere disorientati e riflettere.

3. Le altre opere

Dopo Se questo è un uomo (1947) Levi pubblica La tregua nel 1963. Composta tra il 1961 e il 1962, l’opera prosegue le vicende del libro precedente: l’autore racconta, in prima persona, il viaggio di ritorno verso la sua città natale, tra pericoli e avventure. Partito da Auschwitz nel febbraio del 1945 Levi, attraverso Polonia, Ucraina, Bielorussia e altre regioni europee, arriva a Torino nell’ottobre dello stesso anno. Incontri e avvenimenti si svolgono in una complessiva atmosfera di liberazione, di fine dell’incubo nazista. Nonostante questo, però, il destino risulta ancora incerto: il ritorno alla normalità, infatti, sarà sempre turbato dagli indelebili ricordi del campo di sterminio. Tale sospensione, tra l’orrore del passato e l’incertezza del futuro, spiega il titolo del libro.

Dall’esercizio della scrittura nata come testimonianza, Levi scopre il piacere di raccontare storie frutto della sua creatività. Nascono così, tra il 1946 e il 1966, quindici racconti, pubblicati nel 1966 con il titolo di Storie naturali. La raccolta, firmata con lo pseudonimo di Damiano Malabaila, può essere ricondotta al genere della fantascienza: accanto a tematiche fantastiche, come una sorprendente anticipazione della realtà virtuale (nel racconto Trattamento di quiescenza), il lettore scopre qui un Levi anche umorista, che ama scherzare con la lingua, capace di inquietare, sorprendere e divertire. Si rimane nel campo della fantascienza, nel 1971, con la raccolta Vizio di forma, composta da venti racconti, scritti tra il 1968 e il 1970 e firmati, questa volta, come Primo Levi.

 >> pagina 632 
Gli anni Settanta, caratterizzati da importanti mutamenti economici e da forti tensioni sociali, vedono Levi impegnato in una riflessione su temi di urgente attualità all’epoca: il lavoro e la società. Nel 1975 viene pubblicato Il sistema periodico, una raccolta di ventuno racconti il cui titolo fa riferimento alla tavola periodica degli elementi, fissata nel 1869 dal chimico russo Dmitrij Mende­leev. Levi intitola ciascun racconto a un elemento, le cui caratteristiche sono in relazione con i temi principali della vicenda narrata. Abbiamo, per esempio, il racconto Ferro, in cui l’autore parla della sua salda amicizia con un giovane che, ucciso dai fascisti, condivideva con lui la lotta partigiana e la passione per la montagna. Nel libro si mescolano quindi ricordi autobiografici, memorie del lager e invenzione letteraria, il tutto in un’atmosfera di grande energia e felicità di raccontare.
Un’atmosfera simile si riscontra nella Chiave a stella, del 1978. Inizialmente nata come una nuova serie di racconti accomunati dallo stesso protagonista, l’opera diventa il primo vero e proprio romanzo di invenzione di Levi. I vari capitoli, che possono essere letti anche come singoli racconti, presentano due personaggi, che sono, a loro volta, anche narratori: il narratore principale, un chimico della stessa età dello scrittore con il quale condivide molti tratti biografici, riporta le conversazioni tenute con l’operaio specializzato Tino Faussone che, a sua volta, ricorda i suoi lavori passati, in vari paesi del mondo. Narrate con uno stile vivace che riproduce la lingua parlata, le storie propongono una visione ottimistica del lavoro e un’etica della cooperazione tra gli uomini, secondo una prospettiva di crescita comune della società.

Con i racconti di Lìlit, pubblicati nel 1981, e con il romanzo Se non ora, quando?, del 1982, Levi si riavvicina alle tematiche dei primi libri. Gli anni Ottanta, dunque, vedono un ritorno dell’autore ai temi del nazismo e del­l’ebraismo, questa volta non in chiave di testimonianza, ma come invenzione narrativa e riflessione. Se non ora, quando?, esplicitamente definito “romanzo” dal suo autore, immagina le vicende di un gruppo di partigiani ebrei, russi e polacchi, che combattono avventurosamente contro i nazisti tra il luglio del 1943 e l’agosto del 1945. Le vicende, benché d’invenzione, sono collocate su un fondo storico precisamente ricostruito: la narrazione, accanto all’epopea partigiana, tratteggia con efficacia anche gli intrecci politici e le vicende sentimentali dei tre protagonisti maschili.

Nel 1986 esce I sommersi e i salvati che, diversamente dai libri precedenti, tratta la Shoah come argomento di riflessione filosofica. Qui l’autore torna all’esperienza di Auschwitz e analizza, con la razionalità dello studioso, temi complessi come il male, la violenza, i rapporti tra vittime e carnefici. I sommersi e i salvati è uno studio sulla natura umana e sui suoi aspetti più cupi.

 >> pagina 633 
Per la poesia, che Levi pratica ininterrottamente dagli anni Quaranta, ricordiamo l’uscita di Ad ora incerta, nel 1984. La raccolta offre al lettore, oltre ai versi che aprono Se questo è un uomo e La tregua, altre liriche in cui l’autore evoca la deportazione e la prigionia nel campo (per esempio Tramonto a Fossoli) e alcune traduzioni di poesie straniere, soprattutto del poeta romantico tedesco Heinrich Heine.

Vittime del male

Felix Nussbaum (1904-1944), pittore tedesco di origine ebraica, morì ad Auschwitz nelle camere a gas.

Verifica delle conoscenze

1. A quale genere letterario appartiene Se questo è un uomo?

2. Come si configura la descrizione dello spazio nel capolavoro di Levi?

3. Chi sono i «sommersi» e i «salvati»?

4. Quali sono le caratteristiche principali dello stile adottato dall’autore in Se questo è un uomo?

5. Che relazione esiste tra Se questo è un uomo e La tregua?

6. Quali argomenti sono al centro dell’ispirazione del Sistema periodico?

7. Chi è Tino Faussone?

8. Quale aspetto fondamentale differenzia Se non ora, quando? dalle prime opere di Levi sulla Shoah?

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa