T5 - ANALISI ATTIVA - Paolo Rumiz, Un viandante del XXI secolo (da A piedi)

analisi attiva

T5

Paolo Rumiz

Un viandante del XXI secolo

  • Tratto da A piedi, 2012
  • reportage
Paolo Rumiz è nato a Trieste nel 1947. Nelle vesti di giornalista ha seguito le drammatiche vicende storiche e politiche che, tra la fine degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, hanno radicalmente modificato l’assetto dell’Europa balcanica. Nel 2001 è in Afghanistan, da dove documenta, con articoli e reportage, la guerra seguita agli attentati dell’11 settembre. Appassionato viaggiatore, Rumiz è un attento conoscitore di storia e politica internazionale e italiana: i suoi libri fondono il racconto dei suoi numerosi viaggi con penetranti riflessioni sui temi dell’identità e del rapporto tra i popoli. Dei circa venti titoli pubblicati, ricordiamo Maschere per un massacro, del 1996, dedicato al conflitto in Jugoslavia; L’Italia in seconda classe (2009), ritratto dell’Italia contemporanea attraversata in treno; Come cavalli che dormono in piedi (2014), sull’influenza che la Prima guerra mondiale ha esercitato sulla cultura europea contemporanea.

Il brano è l’inizio di A piedi (2012) che racconta, in prima persona, il viaggio in una penisola della costa nord-orientale dell’Adriatico, l’Istria, attraversata da Nord a Sud. Il protagonista presenta il suo progetto e i luoghi che intende visitare, spiegando le ragioni che l’hanno spinto a camminare, per circa venti chilometri al giorno, attraverso una regione interessante e carica di memorie.

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Audiolettura

Un mattino di settembre presi il sacco e uscii di casa senza voltarmi indietro.

La mia meta stava a sud, un sud così perfettamente astronomico che sarebbe

bastata la bussola a raggiungerlo. Era la punta meridionale dell’Istria,1 un

promontorio magnifico sui mari ruggenti di Bora,2 regina dei venti d’inverno,

5      e di Maestrale,3 che è il più glorioso dei venti d’estate. Una scogliera talmente

ideale che è stata battezzata “Capo Promontore”4 (Premantura in lingua croata).

Un luogo che tutti i lupi di mare sanno riconoscere traversando l’Adriatico.

Mi era venuta voglia di andare, una voglia pazzesca e improvvisa, e in una settimana

contavo di farcela alla media “tranquilla” di una ventina di chilometri

10    al giorno. In tutto, centocinquanta chilometri da Trieste, la mia città.

Trieste sta in alto a destra sulla carta geografica d’Italia, ed è talmente periferica

che da lì è quasi impossibile fare un viaggio senza passare una frontiera.

Trieste non è Bologna o Napoli. Nella mia città cambia il mondo e inizia il

profumo d’Oriente. Fin a pochi anni fa per la stazione ferroviaria di casa mia

15    passava il più avventuroso dei tre Orient Express,5 i favolosi treni passeggeri

che raggiungevano il Sudest dell’Europa attraversando i Balcani.6 Quello che

sostava a Trieste era soprannominato “Simplon”, perché percorreva la famosa

galleria del Sempione,7 e a bordo di quei vagoni la scrittrice di romanzi gialli

Agatha Christie8 ha ambientato un famoso assassinio. Il “Simplon” collegava

20    Parigi a Istanbul attraverso le Alpi svizzere, Milano, Trieste, Belgrado, Sofia, e

la vera avventura cominciava appunto a Trieste, quando si entrava nelle impenetrabili

foreste di un paese che oggi non c’è più: la Jugoslavia,9 crollata negli

anni Novanta a causa di una guerra sanguinosa che l’ha spezzata in sei stati

più piccoli.


25    A Trieste la frontiera è così vicina che per raggiungerla basta un’ora e mezzo

a piedi o mezz’ora in bicicletta. Quando partii per Capo Promontore sapevo

che avrei dovuto passarne due in meno di venti chilometri: prima quella con

la Slovenia e poi quella con la Croazia, due dei sei stati che si sono sostituiti

alla Jugoslavia. Due frontiere in uno spazio così piccolo, mi direte, non è cosa

30    normale. Il fatto è che dalle mie parti le linee che separano i popoli con sbarre

e dogane si aggrovigliano in modo demenziale. La mia è una terra inquieta, e

nell’ultimo secolo i suoi confini si sono spostati in continuazione per via dei

due conflitti mondiali e infine della guerra che ha diviso la Jugoslavia, eventi

che hanno separato famiglie e generato molta infelicità. Mia nonna materna,

35    nata nel 1890, è vissuta sotto sei diverse bandiere senza smettere di abitare a

Trieste:10 Austria, Italia fascista, Germania, Jugoslavia, governo angloamericano

e poi definitivamente Italia democratica. Così vanno le cose del mondo.

Questo è il racconto di un viaggio a piedi che può servirvi da guida, se mai

un giorno vorrete seguire le mie tracce sugli stessi affascinanti terreni: qui

40    troverete le indicazioni per ricostruire l’itinerario su una mappa. Ma questo

racconto è anche un modo per darvi una serie di istruzioni tecniche sulla camminata

in generale. Il bagaglio, l’orientamento, l’andatura, l’alimentazione, gli

incontri con gli uomini e gli animali. Soprattutto vorrei incitarvi a mollare gli

ormeggi e andare, perché camminare

45    rischiara la mente, conforta

il cuore e cura il corpo.

Gli uomini camminano sempre

meno, sono diventati sgraziati,

si muovono curvi sui loro

50    telefonini, hanno il collo storto

per l’abuso del computer, le spalle

rovinate dall’utilizzo del mouse,

lo stomaco contratto dallo stress

e la testa piena di segnali e rumori

55    di fondo. Un indonesiano, o

un etiope, cammina in modo più nobile e felpato11 di noi, e quando porta un

bagaglio in equilibrio sul capo mostra un’andatura eretta e  sinuosa che noi abbiamo

perduto da un secolo. Qualcuno dirà che sono esagerato. Rispondo con

una semplice osservazione fatta nelle vie delle nostre città. Una volta c’erano

60    solo gli scontri frontali fra automobili: oggi è facile vedere scontri fra pedoni

che si tagliano la strada alla cieca, digitando messaggini.

Guardando queste cose, e guardando anche me stesso, mi accorgo che non

solo siamo diventati goffi e ridicoli, ma che stiamo anche perdendo il senso

della realtà. La nostra testa è cambiata. L’uomo che non cammina perde la fantasia,

65    non sogna più, non canta più e non legge più, diventa piatto e sottomesso,

e questo è esattamente ciò che il Potere vuole da lui, per governarlo senza

fatica, derubandolo di ciò che Dio gli ha dato gratuitamente, e bombardarlo di

cose perfettamente inutili a pagamento. Chi cammina, invece, capisce e parla

con gli uomini, li aiuta a reagire e a indignarsi contro questa indecorosa rapina

70    che ci sta impoverendo tutti quanti. Il semplice fatto di mettere un piede

davanti all’altro con eleganza, di questi tempi, è un atto rivoluzionario, una

dichiarazione di guerra contro la civiltà maledetta dello spreco. […]


Sappiatelo subito. Partire è difficile. Troverete un’infinità di amici e parenti

pronti a darvi degli alibi per non andare, a scoraggiarvi, a dirvi che quello che

75    volete fare è troppo faticoso, oppure che siete troppo giovane o troppo vecchio

o troppo grasso o troppo magro, oppure che avete genitori o figli o fidanzate-

fidanzati cui badare. Bugie, naturalmente. Una delle più clamorose è che

vi perderete perché non conoscete la lingua del posto. Ebbene: persuadetevi

che per sopravvivere in qualsiasi territorio straniero bastano una cinquantina

80    di parole. Ma attenti, scegliete quelle giuste. Sapere come si dice “telefonino”

non vi servirà a niente. Sapere come si dicono acqua, fuoco, locanda, mangiare,

eccetera sarà fondamentale. Questo minivocabolario sarà l’elenco dei vostri

bisogni reali, mille volte più importanti di quelli inculcati dalla pubblicità

televisiva.

85    Comunque sia, si comunica anche senza sapere le lingue. Ricordo che negli

anni novanta, in Indonesia, andai a passeggiare tra le risaie in una magnifica

notte di stelle e incontrai un contadino che stava controllando la crescita delle

sementi. Aveva una piccola lampada a petrolio. Ci sedemmo vicini, senza

sapere niente l’uno della lingua dell’altro, e parlammo. Il tono della voce, lo

90    sguardo e il movimento delle mani ci aiutarono a intenderci. Io capii che lui

aveva sette figli, abitava oltre una certa collina e aveva un centinaio di oche

nel suo pollaio.

Ma c’è un’altra, e ancor più clamorosa bugia che si dice a chi parte. Quella

che non c’è il tempo, perché c’è questo o quello da fare. Come se non ne

95    buttassimo via a tonnellate, di tempo, davanti a un computer che ci propone

viaggi solo virtuali, chattando. Il tempo è nostro! Non permettete che vi sia

sequestrato da altri. Non esiste nulla nella vita che non possa essere rimandato.

Ma voi non lo sapete ancora, perché non avete conquistato la saggezza del

camminatore.

100  E così, in mezzo a queste pressioni, si esita a lungo, si rinvia all’infinito la

realizzazione del sogno. Ma poi viene il momento che non se ne può più, e

allora bastano due minuti per decidere.


Paolo Rumiz, A piedi, Feltrinelli, Milano 2012

 >> pagina 588 

Come continua

In sette capitoli – tanti quante sono le tappe del viaggio a piedi – il protagonista riferisce esperienze, incontri e conversazioni, intrecciando temi diversi. Seguendo il suo itinerario, i lettori possono così riflettere sull’importanza del camminare, immaginare la bellezza della natura descritta, e ragionare sull’impatto e sulle conseguenze che la storia determina sulla vita dei luoghi e dei popoli.

A tu per tu con il testo

Un uomo, solo, cammina senza fretta. Lontano dalle mete più turistiche, segue per vari giorni la sua via: avanza lungo strade secondarie; si orienta con le mappe e con le stelle; alloggia nelle locande dei villaggi. Appare, ai nostri occhi, come una presenza ritornata dal passato: un viandante, o forse un pellegrino; insomma una figura d’altri tempi che la nostra modernità, con i voli aerei e i treni iperveloci, sembra avere del tutto cancellato. Noi stessi ci chiediamo, sorpresi e un po’ perplessi: perché camminare tanti giorni se, in poche ore, un mezzo più rapido può portarci a destinazione? Qual è l’utilità di un così dispendioso investimento di tempo e di energie? Quest’uomo è un passatista che rifiuta polemicamente la modernità o c’è un significato più profondo, nella sua scelta, che riguarda da vicino il nostro oggi? La sua risposta è appassionata e fervida, e ci sprona a prestare attenzione, con maggiore consapevolezza, ai ritmi umani senza sprecare inutilmente il preziosissimo tempo della nostra esistenza.

 >> pagina 589

Analisi ATTIVA

Il viaggio del protagonista ha inizio da Trieste: anche chi non ci è mai stato può avvertirne, evocata nel brano, l’esotica atmosfera. Proprio perché molto periferica (rr. 11-12) rispetto al territorio nazionale, la città appare infatti come il luogo suggestivo dove l’Occidente comincia a trasformarsi, lasciando percepire il profumo d’Oriente (rr. 13-14). Trieste si presenta come un’affascinante porta tra due mondi: durante il Novecento il favoloso treno Orient Express, che univa l’Europa collegando Parigi a Istanbul (r. 20), si inoltrava nelle regioni più orientali del continente partendo proprio da Trieste. Da lì cominciava la parte più avventurosa di uno straordinario viaggio lungo un paese che oggi non c’è più (r. 22): la Iugoslavia.

Molte cose sono cambiate in questi luoghi. Ricordando la nonna, nata prima del Novecento, l’autore ripercorre le due guerre mondiali e le diverse nazioni cui è appartenuta la città: i triestini sono stati cittadini di ben sei diverse bandiere (r. 35) nel breve arco di una sola vita umana. Qual è dunque la vera identità di questa terra inquieta (r. 31)? Italiana, austriaca o slava? È un luogo occidentale o orientale? Tali domande non hanno una risposta definita: i confini mutano nel tempo e le anime dei luoghi, come quelle della gente che li abita, non sempre si lasciano ridurre a un semplice aggettivo di nazionalità.


1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.


a) Capo Promontore è in Italia.

  • V   F

b) La scrittrice inglese Agatha Christie ha ambientato un suo famoso romanzo su un treno.

  • V   F

c) La Iugoslavia si è dissolta pacificamente.

  • V   F

d) Il protagonista è nato a Trieste.

  • V   F

e) Tutti gli uomini del mondo, oggi, sono deformati dall’abuso della tecnologia.

  • V   F

f) Nelle città occidentali molte persone camminano senza guardare dove mettono i piedi.

  • V   F

g) Per il protagonista, muoversi a piedi ha un significato rivoluzionario.

  • V   F

h) Il contadino indonesiano non aveva bisogno di lampade per camminare la notte.

  • V   F

i) Secondo il narratore, la tecnologia ci ruba troppo tempo.

  • V   F

j) L’impulso di partire può essere irrefrenabile.

  • V   F

2. Perché la nonna del narratore è vissuta sotto sei diverse bandiere senza smettere di abitare a Trieste (rr. 35-36)?

 >> pagina 589 

Il viaggio dell’autore si è svolto a piedi e il suo racconto, che funziona anche come guida (r. 38) per chi percorrerà le stesse zone, rivela il significato profondo della scelta di camminare. Come parlasse a dei malati, o a persone confuse e un po’ avvilite, egli afferma che camminare rischiara la mente, conforta il cuore e cura il corpo (rr. 44-46): ma da che cosa dobbiamo mai guarire? Molti dei nostri mali sembrano legati al progresso incontrollato della nostra civiltà, che ha dimenticato l’andare a piedi: modificati nel corpo e nello spirito, noi moderni siamo costantemente curvi (r. 49) su telefonini e computer, abbiamo la testa piena di segnali (r. 54) inutili e di distrazioni, siamo nervosi e contratti dallo stress (r. 53). Chi non cammina più, infatti, si impoverisce umanamente: perde la fantasia (rr. 64-65) e la creatività. La modernità è dunque negativa?

Certamente no, se manteniamo saldo il senso della realtà (rr. 63-64) e delle cose che veramente importano. Nelle parole dell’autore, la dimensione del cammino simboleggia i valori umani da preservare a tutti i costi. Procedere a piedi con eleganza e nobiltà, come un indonesiano (r. 55) o un etiope (r. 56), non è allora una stravaganza fuori moda, ma la pratica più naturale per mantenere il sincero contatto con gli uomini (r. 43), e di resistere al materialismo e allo spreco (r. 72) che, caricandoci di oggetti inutili, ci inaridiscono interiormente.


3. Rileggi il passo da Chi cammina, invece a contro la civiltà maledetta dello spreco (rr. 68-72). Come definisci il tono di questo passo?

  • a Brillante e divertente. 
  • b Lamentoso e triste. 
  • c Solenne e aulico. 
  • d Esortativo e ammonitorio. 
  • e Rabbioso e recriminatorio. 

 >> pagina 590 
Viaggiare è sempre l’occasione di un incontro autentico con l’altro. Chi l’ha detto infatti, sostiene provocatoriamente il narratore, che per entrare in contatto con cittadini d’altri paesi serva conoscere la loro lingua? Le esigenze umane sono sempre le stesse a tutte le latitudini e così, per sopravvivere tra i forestieri, bastano una cinquantina di parole (rr. 79-80) di base, per indicare i bisogni primari: acqua, fuoco, locanda, mangiare (r. 81). A volte, poi, nemmeno quelle sono necessarie: il protagonista ricorda il suo incontro, sotto le stelle dell’Indonesia, con un contadino del luogo. È un episodio di poesia commovente, che illustra come bastano Il tono della voce, lo sguardo e il movimento delle mani (rr. 89-90) per capirsi. Il corpo infatti mette in comunicazione le persone, al di là delle distanze culturali: possiamo dunque partire senza alcuna paura dello straniero e della lingua sconosciuta. Con la saggezza del camminatore (rr. 98-99), che ha l’esperienza per sbugiardare i pregiudizi, Rumiz ci sprona, con piglio polemico, a non farci intimidire dalle pressioni sociali che ci danno degli alibi per non andare (r. 74), e a investire il nostro tempo lontano dai nostri orizzonti abituali.

4. Che cosa significa la saggezza del camminatore (rr. 98-99)?


5. Che tipo di narratore racconta?

  • a Esterno onnisciente. 
  • b Interno protagonista. 
  • c Interno testimone. 
  • d Esterno con focalizzazione interna. 

Competenze linguistiche

6. La lingua italiana è ricca di espressioni con la parola “passo”. Spiega il significato delle seguenti espressioni, poi scrivi sul quaderno una frase con ognuna di esse.


a) Andare/procedere a passo d’uomo.

b) Andare/procedere di pari passo

c) Fare il passo più lungo della gamba

d) Fare due passi

e) Fare un passo indietro

f) Fare un passo falso

g) Tornare sui propri passi

h) Fare passi da gigante

i) Fare il grande passo

j) Fare/muovere i primi passi

Scrivere correttamente

7. Rileggi il passo seguente.


Trieste […] è talmente periferica che da lì è quasi impossibile fare un viaggio senza passare una frontiera. Trieste non è Bologna o Napoli. Nella mia città cambia il mondo e inizia il profumo d’Oriente. Fin a pochi anni fa per la stazione ferroviaria di casa mia passava il più avventuroso dei tre Orient Express. (rr. 11-15)


Collega le frasi, che l’autore ha semplicemente accostato: devi inserire i connettivi giusti al posto giusto e modificare adeguatamente la punteggiatura. Servono solo tre dei seguenti connettivi:


però per esempio perché infatti nonostante

Produrre

8. Scrivere per argomentare Discuti le posizioni del narratore sul rapporto tra uomo moderno e tecnologia: cerca tre argomenti a favore delle sue tesi e tre argomenti contro.

La dolce fiamma - volume A
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