T4 - Dacia Maraini, Vulcano
T4
Dacia Maraini
Vulcano
- Tratto da La ragazza di via Maqueda, 2009
- racconto
Il brano è tratto da La ragazza di via Maqueda (2009), raccolta di racconti autobiografici che ripercorrono i luoghi più importanti della vita dell’autrice. Vulcano narra una suggestiva vacanza in compagnia del padre sull’omonima isola vulcanica delle Eolie: la salita al cratere ha lasciato, nella memoria della viaggiatrice, indelebili impressioni.
Audiolettura
Erano anni precedenti la grande rapina del territorio,1 anni di integrità e di
povertà di una Sicilia povera e frastornata, bellissima nelle sue acque pulite e
nei suoi campi pignolamente coltivati.
Erano gli anni in cui mio padre2 mi portava in giro per il mondo come un
5 giovane compagno di cui si poteva fidare. Ero al suo seguito con la trepidazione
di una alunna un poco goffa e molto timida, ma pronta a tutto pur di
accontentarlo.
Quell’anno, che non ricordo bene quale fosse, ma era fra il Cinquanta e il
Cinquantacinque, lui decise di passare una estate a Vulcano. Credo che dovesse
10 fare un servizio fotografico per guadagnare quei soldi che con gli studi antropologici
non riusciva a racimolare. Fatto sta che mi portò con sé viaggiando
prima in treno e poi in nave. Due giorni dopo fummo raggiunti da un amico
fiorentino, un giovane professore dalla faccia di saraceno,3 gli occhi scuri scintillanti,
il sorriso enigmatico.
15 Insieme affittammo una casa molto semplice, molto spartana e rustica,
come era nei gusti di mio padre. Era una casupola sgangherata e spoglia, in cui
si dormiva su delle brandine addossate ai muri e la cucina era fornita di un solo
fornello che andava a carbone, il bagno si trovava in un casotto nel giardino,
con un buco per terra e un lavandino minuscolo dal cui rubinetto usciva acqua
20 solo fredda. In compenso l’alloggio era dotato di una terrazza coperta che dava
sui banani e sui limoni, di un giardino di grande bellezza. In realtà su quella
terrazza ci si mangiava, ci si riposava, di giorno e di sera.
Dal ballatoio, tra le frange dei banani si poteva scorgere in ogni momento
la cima del vulcano, inquietante bocca di terra che si diceva spento ma, come
25 tutti i vulcani, teneva in serbo per chissà quale futuro un ventre di lava bollente.
Nell’isola circolavano racconti terrificanti di corpi inghiottiti da quella
bocca muta, di animali spariti, di serpenti di fuoco che di notte scivolavano a
valle a distruggere le viti.
Che fosse ancora vivo il vulcano lo capivamo quando facevamo il bagno
30 in una certa ansa pietrosa dove correnti di liquido caldo salivano dalle sabbie
grigie, mescolandosi piacevolmente con l’acqua salata. Era come immergersi
in un lago tiepido che emanava un forte odore di zolfo.
I villeggianti allora si potevano contare sul palmo di una mano. L’isola era
abitata soprattutto dai vulcanesi, pastori e pescatori dalle facce severe, bruciate
35 dal sole, i vestiti rattoppati, sempre intenti a qualche lavoro: il rammendo
delle reti, la tintura delle barche, o la cura delle poche viti che attecchivano in
quelle arsure, o la preparazione delle agavi4 da cui ricavare la corda per impagliare
le sedie.
La spesa si faceva nell’unica piccola bottega in cui si vendeva il sapone, il
40 vino, lo zucchero, i fagioli, le scarpe e gli ami per la pesca. La pasta la facevano
le donne con la farina e la stendevano in fogli su dei legni come tovaglie, prima
di tagliarla in sottili fettucce. Il pane pure veniva lavorato dalle madri di casa
e messo a cuocere nel forno comune. Era un pane profumato e robusto che
doveva durare una intera settimana.
45 La nostra padrona di casa si chiamava Filomena e ci portava il latte fresco
della sua vaccarella5 che qualche volta veniva a pascolare nel nostro giardino.
Ma era discreta e gentile, non si mangiava né l’alloro né il basilico con cui condivamo
i pomodori appena colti nell’orto. A volte, come fosse un cane, veniva a
curiosare in cucina e se uno allungava una mano, tirava fuori una lunga lingua
50 rasposa e la leccava.
Filomena ci raccontava le storie più macabre dell’isola: com’era morto quel
tale buttandosi nella bocca del vulcano, come era stato fatto a pezzi un bambino
dai denti di un pescecane, come aveva perso le mani quella donna che
lavava i panni in mare ed era stata agguantata da un mostro marino. La sua
55 immaginazione non si stancava mai, era fertile di storie raccapriccianti di cui
godeva soprattutto quando vedeva i miei occhi farsi sempre più attenti e
spaventati.
Una sera mio padre ci disse: Stanotte andiamo a letto presto perché domattina
all’alba ci arrampichiamo sulla cima del vulcano. E difatti, alle cinque
60 eravamo già in viaggio, lui, il suo amico Bernardo ed io, con un sacco sulle
spalle, le gambe subito graffiate da centinaia di sterpi e di rovi che infestavano
la fiancata del monte.
Ci siamo arrampicati per ore. Ricordo il caldo che mano a mano si faceva
più cocente, le zanzare e le mosche contro cui bisognava lottare, accompagnati
65 dal continuo ragliare degli asini che erano lasciati liberi a pascolare su quelle
aride salite, l’odore fortissimo di mentuccia e di mortella6 che saliva dai viottoli
in mezzo alle ortiche. Ogni tanto ci fermavamo per contemplare il mare che
si faceva sempre più intenso, più aperto e più spettacolare. Era un mare che
ricordava le grandi cosmogonie7 antiche: il mare di Tritone,8 trombettiere di
70 Nettuno,9 figlio possente di Oceano e di Teti,10 l’essere mezzo uomo e mezzo
pesce che annunciava l’arrivo del dio suonando dentro una conchiglia ritorta.
Era il mare di Cola Pesce11 che, a sentire le leggende, ancora stava là a reggere
la sua amata isola che aveva la tendenza a zoppicare miseramente.
In cima ci aveva accolto un vento caldo, quasi un fiato infernale che ci aveva
75 costretto a chiudere gli occhi. Da certi piccoli fori sulla roccia terrosa sortiva12
un fumo rossiccio che lasciava cristalli brillanti color tuorlo d’uovo intorno a
sé. Il mare in lontananza era scuro e magnifico, quasi una unica lastra di marmo
cipollino,13 verde, con liste bianche pietrificate sotto il sole.
Lì seduti, attorno alla grande bocca spenta, ci siamo raccontati delle storie,
80 mentre mangiavamo i nostri panini con l’olio e il pomodoro fresco. Storie di
fantasmi diurni, di precipizi, di abitatori misteriosi che si rintanano in mondi
sotterranei e ne escono solo per carpire giovinette innocenti o piccole capre
brucanti e portarle con loro nell’inferno dei lapilli.14 Oggi penso che il mio
giovane padre e il suo bellissimo amico volessero semplicemente spaventarmi.
85 Fatto sta che il panino mi è rimasto in gola e che sono stata presa da una
specie di vertigine. Come se una forza magnetica mi attirasse verso il fondo di
quella voragine tumultuosa.
Poi, più tardi, siamo ridiscesi a valle scivolando in mezzo al ghiaione di
pietra pomice,15 le scarpe piene di polvere e di sassi, le gambe coperte di graffi,
90 l’odore di zolfo nel naso.
Quella sera mi sono addormentata
di schianto e ho fatto
sogni terribili e grandiosi. Venivo
inghiottita da forze oscure e poi
95 espulsa verso le nuvole in un tripudio
di scintille ▶ cocenti. Mi ritrovavo
pericolosamente sospesa
nel vuoto e scendevo lentamente
verso terra attaccata a un ombrello
100 come Mary Poppins.16 Era un sogno che mi asciugava la gola, ma non era
un sogno sgradevole. C’erano degli odori buoni nell’aria: di primule e di zolfo,
appena stemperati dalla salsedine.
Pochi giorni dopo siamo ripartiti per Palermo, portandoci dietro un ricordo
fastoso che non mi ha più abbandonata.
105 Ho conosciuto altre isole: Salina, Stromboli, Ustica.17 Ho dei ricordi molto
intensi di lunghe visite sottomarine, di stordite letture su barche ormeggiate
vicino alla costa. Ero una ragazzina avida di letture e non smettevo mai di
cacciare il naso dentro le pagine, neppure in situazioni difficili, sotto il sole a
picco, con il sale incrostato sulle ciglia.
110 Ma nessuna isola mi ha mai colpita come la Vulcano degli anni Cinquanta.
Non ho voluto più tornarci perché dai racconti degli amici ne ho ricavato un
ritratto disastroso: alberghi immensi, recinzioni, strade, cabine di cemento,
villette, insomma una rovina che non stento a immaginare conoscendo altre
zone del nostro Paese come erano state prima e come sono state trasformate
115 dopo, nella furia di una rapina del territorio che non ha avuto pause fino ai
nostri giorni.
Dacia Maraini, La ragazza di via Maqueda, Rizzoli, Milano 2009
A tu per tu con il testo
Immaginiamo un vasto specchio di mare, brillante come uno smeraldo… In mezzo all’acqua vediamo sorgere un’isoletta incontaminata, remota dalla civiltà. Ed ecco, al centro di quest’isola, un vulcano s’innalza puntando il suo cono minaccioso contro il cielo. È uno spettacolo primordiale e magnifico, che può suscitare reazioni contrastanti, ora di timore per il potere distruttivo della montagna di fuoco, ora di attrazione per l’immane potenza che esprime. Nonostante le conquiste scientifiche e tecnologiche della modernità, infatti, ancora oggi avvertiamo lo straordinario fascino delle indomabili forze naturali, e i vulcani, che da sempre ne sono una manifestazione tremenda, sono stati nei secoli oggetto di curiosità da parte degli uomini. Attorno a questi fenomeni naturali, temibili e grandiosi, sono così fiorite storie leggendarie: per questo, scalare il monte in una giornata d’estate vale molto di più di una semplice scampagnata, e diventa una vera e propria immersione nel cuore primitivo del mito.
Analisi
Siamo negli anni Cinquanta: durante una vacanza sull’isola che dà il titolo al brano, al largo della costa tirrenica della Sicilia, la narratrice compie, con il padre e un suo amico, la salita al vulcano del luogo. L’esperienza di questa vera e propria immersione nell’aspro paesaggio coinvolge tutti i suoi sensi: il tatto è colpito dalle spine che le graffiano le gambe (r. 61); l’olfatto, dall’odore fortissimo (r. 66) nell’aria; l’udito, dal continuo ragliare degli asini. La vista poi, man mano che si sale, viene abbagliata dallo spettacolo del mare che, come pietrificato (r. 78), rifulge di vividi colori.
Soverchiata da percezioni tanto intense, l’immaginazione della protagonista subisce una scossa profonda: la notte, addormentatasi di schianto (r. 92), la fanciulla non riposa serenamente, immaginandosi un’eruzione che prima la inghiotte e poi la fa volteggiare in aria come la Mary Poppins (r. 105) dei romanzi per bambini.
Nella prima parte del racconto, la Maraini si sofferma sulla vita dell’isola, offrendo una testimonianza dal valore documentario: come una studiosa di folclore o un’antropologa, registra le condizioni materiali degli abitanti. Imitando il padre Fosco, intento al suo servizio fotografico (r. 10), scatta, con le parole, una serie di istantanee che, sfogliate, rievocano le immagini di un mondo oggi perduto.
Ma, a differenza della fotografia, le parole non si fermano alla superficie delle cose. Accanto al paesaggio esterno, così, l’autrice descrive l’universo immaginario delle leggende che circondano il vulcano: si tratta dei racconti terrificanti (r. 26) di sparizioni di uomini e animali, delle storie raccapriccianti (r. 55) della padrona di casa Filomena, delle cupe fiabe che parlano di giovinette innocenti (r. 82) trascinate nel cratere. Sembra che su Vulcano tutti abbiano qualcosa da raccontare: il mare stesso pare prendere la parola per tramandare antichi miti. Al paesaggio reale si sovrappone in tal modo il paesaggio culturale, e l’ascesa della giovane viaggiatrice alla bocca del vulcano si carica di significati simbolici.
Leggendo il racconto siamo trasportati indietro nel tempo. Mentre, negli anni Cinquanta, lo sviluppo procedeva veloce verso il “miracolo economico”, l’isola sembra come ferma prima della modernità. Per la narratrice, però, la condizione del luogo, povero e selvaggio, non va disprezzata affatto: anzi, ai suoi occhi, essa rappresenta lo specchio della bellezza incontaminata della natura e della sobria semplicità di chi vi viveva. L’evoluzione della seconda metà del Novecento ha invece distrutto il paesaggio, sommerso dal cemento di alberghi immensi, recinzioni, strade, cabine (r. 117) e altri orrori.
Questa dura condanna viene ribadita anche nella lingua del racconto: per ben due volte, proprio nella prima e nell’ultima frase del testo, si parla infatti della rapina del territorio (rr. 1 e 120) che, ancora oggi, devasta l’Italia. Così l’autrice denuncia la speculazione edilizia e lo sconsiderato sfruttamento economico della natura che negli ultimi decenni, come un vero e proprio crimine, ha deturpato Vulcano ed altri luoghi d’incanto.
Laboratorio sul testo
Comprendere
1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.
a) I Maraini possiedono una casa sull’isola di Vulcano.
- V F
b) Dalla terrazza si gode la vista di una lussureggiante vegetazione.
- V F
c) L’attività vulcanica sull’isola è ormai del tutto spenta.
- V F
d) Gli abitanti dell’isola sono poveri ma molto operosi.
- V F
e) Sull’isola ci sono diverse botteghe per turisti e villeggianti.
- V F
f) Nel giardino della casa dove alloggia la protagonista vive un cane.
- V F
g) Filomena ama raccontare storie spaventose.
- V F
h) L’amico del padre è un professore.
- V F
i) La protagonista si mette in cammino per la cima del vulcano verso mezzogiorno.
- V F
j) La narratrice ricorda di essere stata una ragazzina amante della lettura.
- V F
k) Dacia Maraini è periodicamente ritornata a Vulcano e la frequenta ancora.
- V F
l) Oggi il paesaggio di Vulcano è gravemente deturpato dagli abusi edilizi.
- V F
Analizzare interpretare
2. Oggi penso che il mio giovane padre e il suo bellissimo amico volessero semplicemente spaventarmi. Fatto sta che il panino mi è rimasto in gola e che sono stata presa da una specie di vertigine. Come se una forza magnetica mi attirasse verso il fondo di quella voragine tumultuosa (rr. 83-87). Come possiamo interpretare le emozioni della protagonista espresse dal passo?
a) La protagonista avverte una incontrollabile paura del vulcano, e vuole assolutamente fuggire da quel luogo spaventoso che la terrorizza.
b) La protagonista sente nausea e vertigini date dall’altezza della montagna, che le provoca malessere e disagio a livello fisico.
c) La protagonista avverte la magia del luogo, e la vertigine di cui parla esprime il contrasto tra lo spavento e l’attrazione che quel luogo suggestivo esercita su di lei.
d) La protagonista è in collera con il padre e il suo amico che si sono presi gioco della sua ingenuità e le hanno raccontato delle storie spaventose per ridere di lei.
3. Durante la salita al monte (rr. 63-73), i sensi della protagonista sono colpiti da percezioni forti e intense. Riporta sul quaderno, per ciascuno dei cinque sensi, le sensazioni descritte.
Competenze linguistiche
4. Raggruppa i termini del testo che trovi qui sotto all’interno delle aree semantiche indicate, inserendoli nella giusta casella.
a) servizio fotografico (r. 10)
b) banani (r. 21)
c) lava (r. 25)
d) racconti terrificanti (r. 26)
e) zolfo (r. 32)
f) rammendo (r. 35)
g) agavi (r. 37)
h) impagliare (rr. 37-38)
i) pascolare (rr. 46 e 65)
j) storie raccapriccianti (r. 55)
k) ragliare (r. 65)
l) mortella (r. 66)
m) cosmogonie (r. 69)
n) fumo rossiccio (r. 76)
o) brucanti (r. 83)
Area del vulcano |
Area della vegetazione |
Area delle attività umane |
Area delle attività animali |
Area del racconto e della narrazione |
|
5. I relativi hanno la funzione di mettere, appunto, in relazione una proposizione principale e una proposizione secondaria, sostituendo un elemento della principale. Per esempio, nella frase “Il tavolo, su cui ho messo le chiavi, è bianco”, “su cui” equivale a “sul tavolo”. Sottolinea i relativi nel seguente passo e individua a che cosa si riferiscono.
Ci siamo arrampicati per ore. Ricordo il caldo che mano a mano si faceva più cocente, le zanzare e le mosche contro cui bisognava lottare, accompagnati dal continuo ragliare degli asini che erano lasciati liberi a pascolare su quelle aride salite, l’odore fortissimo di mentuccia e di mortella che saliva dai viottoli in mezzo alle ortiche. (rr. 63-67)
Scrivere correttamente
6. L’alloggio dei Maraini su Vulcano è semplice e spoglio: trasforma la descrizione delle righe 15-22, cambiando adeguatamente i termini sottolineati, in modo da dare l’immagine di un alloggio di lusso.
Insieme affittammo una casa molto semplice, molto spartana e rustica, come era nei gusti di mio padre. Era una casupola sgangherata e spoglia, in cui si dormiva su delle brandine…
Produrre
7. Scrivere per raccontare Nel testo si cita la leggenda di Cola Pesce. Conosci una leggenda che riguarda la tua città o il luogo in cui vivi? Raccontala in 100 parole.
P@role in rete
Immagina di avere le seguenti fotografie:
a) il panorama dalla terrazza della casa di Vulcano;
b) il panorama del Mediterraneo dalla cima della montagna;
c) l’amico del padre;
d) l’ansa pietrosa dove l’acqua del mare è calda per le correnti vulcaniche.
Trova, per ogni istantanea, quattro o cinque parole chiave o hashtag in vista di una pubblicazione delle foto su Instagram.
La dolce fiamma - volume A
Narrativa