T3 - Tiziano Terzani, Lettera da Kabul
T3
Tiziano Terzani
Lettera da Kabul
- Tratto da Lettere contro la guerra, 2002
- reportage giornalistico sotto forma di lettera
Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 Terzani si reca in Afghanistan per capire meglio chi siano i terroristi islamici, convinto che l’odio chiami odio e che la guerra, scatenata dagli americani alla ricerca di Osama bin Laden, non possa che risolversi in un tragico fallimento. Quando raggiunge la capitale, Kabul, trova un panorama splendido e insieme desolante.
Audiolettura
Kabul, 19 dicembre 2001
La vista è stupenda. La più bella che potessi immaginarmi. Ogni mattina mi
sveglio in un sacco a pelo disteso sul cemento e qualche piastrella di plastica
d’uno stanzone vuoto all’ultimo piano del più alto edificio del centro città
5 e gli occhi mi si riempiono di tutto quel che un viaggiatore diretto qui ha
sempre sognato: la mitica corona delle montagne di cui un imperatore come
Babur, capostipite dei moghul,1 avendole viste una volta, ebbe nostalgia per
il resto della vita e desiderò che fossero la sua tomba; la valle percorsa dal
fiume sulle cui sponde è cresciuta la città a proposito della quale un poeta,
10 giocando sulle due sillabe del nome Kabul in persiano, scrisse: «La mia casa?
Eccola: una goccia di rugiada fra i petali di una rosa»; il vecchio bazar dei
Quattro Portici2 dove, si diceva, è possibile trovare ogni frutto della natura e
del lavoro artigiano; la moschea di Puli-i-Khisti; il mausoleo di Timur Shah.3
Il santuario del Re dalle Due Spade costruito in onore del primo comandante
15 musulmano che nel VII secolo dopo Cristo, pur avendo già perso la testa, mozzatagli
da un fendente, continuò – secondo la leggenda – a combattere con
un’arma per mano, determinato com’era a imporre l’Islam, una nuova, aggressiva
religione appena nata in Arabia, a una popolazione che qui, da più d’un
millennio, era felicemente indù e buddhista; e poi, alta, imponente sulla cresta
20 della prima fila di colli, proprio di fronte alle mie vetrate, la fortezza di Bala
Hissar4 nella cui residenza hanno regnato tutti i vincitori e nelle cui galere han
languito, o sono stati sgozzati, tutti i perdenti della storia afghana.
La vista è stupenda, ma da quando sono arrivato, più di due settimane fa,
con in tasca una lettera di presentazione per un vecchio intellettuale, nella
25 borsa una bibliotechina di libri-compagni-di-viaggio e in petto un gran misto
di rabbia e di speranza, questa vista non mi dà pace. Non riesco a goderne
perché mai, come da queste finestre impolverate, ho sentito, a volte quasi come
un dolore fisico, la follia del destino a cui l’uomo, per sua scelta, sembra essersi
votato: con una mano costruisce, con l’altra distrugge; con fantasia dà vita a
30 grandi meraviglie, poi con uguale raffinatezza e passione fa attorno a sé il deserto
e massacra i suoi simili.
Prima o poi quest’uomo dovrà cambiare strada e rinunciare alla violenza. Il
messaggio è ovvio. Basta guardare Kabul. Di tutto quel che i miei libri raccontano
non restano che i resti: la Fortezza è una maceria, il fiume un ▶ rigagnolo fetido
35 di escrementi e spazzatura, il bazar una distesa di tende, baracche e container;
i mausolei, le cupole, i templi,
sono sventrati; della vecchia città
fatta di case in legno intarsiato e
fango non restano, a volte in file di
40 centinaia e centinaia di metri, che
dei patetici mozziconi color ocra
come sulla battigia5 le guglie dei
castelli di sabbia costruiti da bambini
e subito espugnati dalle onde.
45 Tanti monumenti sono letteralmente scomparsi. L’enigmatico Minar-i-Chakari,
Colonna della Luce, costruito, fuori Kabul sulla vecchia via di Jalalabad,6 nel
I secolo dopo Cristo, forse per commemorare l’illuminazione di Budda,7 non ha
resistito alle cannonate e dal 1998 non è che un triste cumulo di antichi sassi.
Kabul non è più, in nessun senso, una città, ma un enorme termitaio brulicante
50 di misera umanità; un immenso cimitero impolverato. Tutto è polvere
ed ho sempre di più l’impressione che nella polvere che mi annerisce costantemente
le mani, che mi riempie il naso, che mi entra nei polmoni, in questa
polvere c’è tutto quel che resta di tutte le ossa, di tutte le reggie, le case, i giardini,
i fiori e gli alberi che hanno un tempo fatto di quella valle un paradiso.
55 Settanta diversi tipi di uva, trentatré tipi di tulipani, sette grandi giardini folti
di cedri erano il vanto di Kabul. Non c’è assolutamente più nulla. E questo non
per una maledizione divina, non per l’eruzione di un vulcano, lo straripamento
di un fiume o una qualche altra catastrofe naturale. Il paradiso è finito una
volta e poi di nuovo e poi tante altre volte per una sola, unica causa: la guerra.
60 La guerra degli invasori di secoli fa, la guerra del secolo scorso e dell’inizio
di questo secolo portata qui dagli inglesi8 – che ora, poco delicatamente, son
voluti tornare a capo della “Forza di pace” –, la guerra degli ultimi vent’anni,
quella a cui tutti, in un modo o nell’altro, magari solo vendendo armi a uno
dei tanti contendenti, abbiamo partecipato; ed ora la guerra americana: una
65 fredda guerra di macchine contro uomini.
Forse è l’età che mi ha fatto sviluppare una sorta di isterica sensibilità per
la violenza, ma dovunque poso lo sguardo vedo buchi di pallottole, squarci di
schegge, vampate nere di esplosioni ed ho l’impressione di esserne trafitto, mutilato,
bruciato. Forse ho perso, se l’ho mai avuta, quella obbiettività dell’osservatore
70 non coinvolto, o forse è solo il ricordo di un verso che Gandhi9 recitava
nella sua preghiera quotidiana, chiedendo di potersi «immaginare la sofferenza
degli altri» per poter capire il mondo, ma davvero non riesco ad essere distaccato
come se questa storia non mi riguardasse.
Dall’alto della mia finestra vedo un uomo camminare lento e voltarsi continuamente
75 a guardare una giovane donna che gli arranca dietro senza una
gamba. Forse è sua figlia. Anch’io ne ho una e solo ora, per la prima volta nella
vita, penso che potrebbe saltare su una mina. Il freddo ora screpola la pelle
e vedo gruppi di bambini-mendicanti che accendono dei falò con sacchetti e
pezzi di plastica trovati nei cumuli di spazzatura. Ho un nipote di quell’età e
80 mi immagino lui a respirare quell’aria puzzolenta e cancerogena10 pur di scaldarsi.
Dopo giorni di ricerca sono finalmente riuscito a rintracciare l’anziano
signore per il quale avevo una lettera di presentazione: l’ex curatore del Museo
di Kabul. L’ho trovato al bazar di Karte Ariana dove ora, per campare la famiglia,11
vende patate. Avrebbe potuto succedere a me; potrebbe ancora succedere
85 a ognuno di noi: a causa di una guerra.
Tiziano Terzani, Tutte le opere, a cura di À. Loreti, vol. 2, Mondadori, Milano 2011
Come continua
A tu per tu con il testo
Ma chi glielo fa fare? Che gusto c’è a dormire scomodi, rischiare la pelle, osservare una città massacrata dalla guerra attraverso finestre polverose in un hotel fatiscente, sapendo che da un momento all’altro qualcuno potrebbe fare irruzione per rapirti? Nessuno, se per noi viaggiare non significa altro che andare in vacanza, rilassarsi, stare allegri e non pensare a nulla di spiacevole. Eppure i reporter di guerra non abbracciano il loro mestiere per necessità, ma per passione. E così Terzani, ormai anziano, non riesce a resistere al richiamo. Dopo aver passato una vita a documentare massacri, prepara i bagagli e parte per Kabul. In guerra il primo morto è la verità, e lui lo sa bene. Le autorità fanno di tutto per censurare le notizie scomode, tenere alto il morale della popolazione, accrescere il terrore verso un nemico invariabilmente dipinto come malvagio e “disumano”. Proviamo invece a chiederci: chi abita Kabul? Terroristi o gente normale? La realtà della guerra non si può comprimere in un servizio sbrigativo del telegiornale: è fatta di volti, parole, rumori, sensazioni. Ci serve qualcuno in grado di aiutarci a coltivare l’arte del dubbio, qualcuno che abbia il coraggio di andare a vedere di persona che cosa succede, e di raccontarlo senza filtri ideologici, con onestà. Ci serve gente come Terzani, oggi più che mai.
Analisi
Terzani non intende soppesare torti e ragioni delle parti in causa, ma descrivere gli effetti delle guerre: non si sente più di perseguire la difficile, a volte impossibile obiettività del reporter. Alle cronache accompagna lucide riflessioni, e non nasconde i propri sentimenti, ammettendo una sorta di isterica sensibilità per la violenza (rr. 66-67). Dopo averne viste di tutti i colori, nella sua carriera, non ha sviluppato la corazza di indifferenza propria di molti colleghi. Al contrario, si sente trafitto, mutilato, bruciato (rr. 68-69) dalla ferocia riconoscibile dappertutto, che lo porta a ricordare un verso in cui Gandhi sostiene che senza la compassione, senza la capacità di immaginare la sofferenza degli altri (rr. 71-72), non è possibile capire il mondo.
Mettersi nei panni altrui è una necessità morale, così come raccontare quello che gli occhi vedono, ovvero il moltiplicarsi delle sofferenze dei più deboli: una donna mutilata che arranca, bambini-mendicanti infreddoliti che si scaldano bruciando pezzi di plastica trovati nei cumuli di spazzatura (r. 79). Neppure la cultura mette al riparo: il curatore del museo di Kabul si riduce a vendere patate al bazar, pur di guadagnare qualcosa. È una storia che ci riguarda: Avrebbe potuto succedere a me; potrebbe ancora succedere a ognuno di noi: a causa di una guerra (rr. 84-85).
Laboratorio sul testo
COMPRENDERE
1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false, poi correggi quelle che ritieni false.
a) L’autore, durante la sua visita a Kabul, alloggia in un hotel.
- V F
b) L’autore conosce molto bene la storia di Kabul.
- V F
c) Prima della diffusione dell’Islam, la popolazione dell’Afghanistan era indù e buddhista.
- V F
d) L’autore apprezza molto la bella vista sul panorama che vede dal suo alloggio.
- V F
e) La città di Kabul è ridotta a un ammasso di macerie e i suoi monumenti sono distrutti.
- V F
f) La città è stata distrutta da una catastrofe naturale.
- V F
g) Gli inglesi sono i responsabili dell’ultima guerra combattuta in Afghanistan.
- V F
h) L’autore con l’età è diventato più sensibile alla violenza.
- V F
i) L’autore con l’età è diventato più obiettivo e imparziale.
- V F
j) A Kabul vivono persone mutilate dalle mine.
- V F
k) A Kabul i bambini-mendicanti si riparano dal freddo nei palazzi semidistrutti.
- V F
l) L’ex curatore del museo di Kabul ora fa un lavoro umile e faticoso per sopravvivere.
- V F
ANALIZZARE E INTERPRETARE
2. Individua nel testo le due sequenze in cui Terzani espone le proprie considerazioni e i propri pensieri: qual è la riflessione che le accomuna?
3. Di quale argomento tratta la prima sequenza descrittiva del brano (dall’inizio a tutti i perdenti della storia afghana, rr. 2-22)? È una descrizione “reale”?
4. Rintraccia nel testo le ricorrenze della parola “polvere” e dei suoi derivati: perché questa parola viene ripetuta tante volte? Di che cosa diventa simbolo?
COMPETENZE LINGUISTICHE
5. I complementi. Individua la funzione logica dei complementi evidenziati in grassetto.
a) Ogni mattina mi sveglio in un sacco a pelo ( ) disteso sul cemento ( )
b) Il santuario del Re dalle Due Spade costruito in onore del primo comandante musulmano ( )
c) con una mano costruisce, con l’altra distrugge ( )
d) Prima o poi quest’uomo dovrà cambiare strada ( )
e) le guglie dei castelli di sabbia () costruiti da bambini ( )
f) in questa polvere c’è tutto quel che resta di tutte le ossa, di tutte le reggie, le case, i giardini, i fiori e gli alberi ( )
g) Il paradiso è finito una volta e poi di nuovo e poi tante altre volte per una sola, unica causa: la guerra ( )
h) Forse ho perso, se l’ho mai avuta, quella obbiettività dell’osservatore non coinvolto ( )
pRODURRE
6. Scrivere per argomentare Terzani è un viaggiatore che, prima di arrivare in un luogo, si documenta con attenzione sui monumenti e sulla storia locale. Ritieni che sia meglio intraprendere un viaggio dopo essersi preparati con cura, avendo pianificato il proprio itinerario e studiato l’arte, la storia e la geografia del luogo, o che sia più stimolante “andare all’avventura”, senza piani, lasciandosi affascinare da ciò che si incontra casualmente? Argomenta la tua posizione in massimo 15 righe.
SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare
Storia e geografia
Fai una ricerca sull’Afghanistan, soffermandoti in particolare sulla sua travagliata storia, costellata da invasioni e guerre, poi esponi oralmente le informazioni che hai raccolto.
Educazione civica
Nel testo è menzionato Gandhi, che fu uno dei leader nella lotta per l’indipendenza dell’India: contro il colonialismo inglese, egli elaborò e praticò la satyagraha, una forma di resistenza non violenta. La sua azione ispirò quella di personaggi come Martin Luther King e Nelson Mandela. Partendo da questi spunti, fai una ricerca sulle forme di lotta non violenta e sui principali esponenti e sostenitori di questa teoria etico-politica.
La dolce fiamma - volume A
Narrativa