T3 - Luigi Meneghello, L’allegra fame dei partigiani (da I piccoli maestri)

T3

Luigi Meneghello

L’allegra fame dei partigiani

  • Tratto da I piccoli maestri, 1964
  • romanzo
Luigi Meneghello nasce nel 1922 a Malo, cittadina in provincia di Vicenza. Di famiglia borghese, dopo il liceo si iscrive all’Università di Padova. Benché educato alla scuola fascista, matura progressivamente il dissenso contro il regime che lo porta a partecipare in prima persona alla Resistenza. Finita la guerra, si laurea e nel 1947 parte per l’università inglese di Reading con una borsa di studio: vi lavorerà, per oltre trent’anni, come studioso e docente. Al 1963 risale l’opera autobiografica Libera nos a malo, romanzo che ricostruisce la vita di Malo dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Seguono I piccoli maestri (1964), che narra l’esperienza partigiana vissuta dall’autore, e Fiori italiani (1976), un racconto di formazione incentrato sul rapporto tra educazione e dittatura. Meneghello muore a Thiene nel 2007.

I “piccoli maestri” a cui fa riferimento il titolo del libro di Meneghello sono il protagonista e i suoi compagni, studenti vicentini che composero, nella primavera del 1944, una banda partigiana. Senza preparazione militare e poco avvezzi alla vita di montagna, essi sanno affrontare con coraggio la durezza delle condizioni materiali e i pericoli di una tragica guerra civile. Il racconto, in prima persona, mostra i problemi dell’approvvigionamento e della cucina, urgenti e difficili per chi vive in clandestinità tra i monti.

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Audiolettura

La fame era costante ma non triste; era una fame allegra. Io so cos’è la fame

vera, perché conosco bene chi l’ha conosciuta bene, specialmente a Auschwitz,1

ma anche a Belsen2 dov’era ancora peggiore, però lì ormai non la sentivano

quasi più; non dicono quasi nulla su questa fame, e in generale su tutta

5      la faccenda, ma si capisce lo stesso; queste comunicazioni avvengono in un

modo molto curioso, non si dice quasi nulla, e a un certo punto si sa quasi

tutto. La nostra invece non era vera fame, solo una gran voglia di mangiare, e

una gran scarsità di roba. C’era farina gialla e margarina,3 razionata si capisce;

razionata quanto al tempo (una volta al giorno) e razionata nella quantità.

10    La farina si cucinava con l’acqua in un bidone di latta nero da paracadute.

La polenta aveva gusto di vernice, e questo gusto che in principio riusciva un

po’ nauseante, era diventato in seguito familiare, e senza di esso la polenta

sarebbe sembrata sciocca.4 Quando era cotta, questa melma gialla striata di

nero si scodellava in gavette5 e barattoli di latta. Tentavamo di eseguire

15    l’operazione con ordine; ma a mano a mano ci si serrava intorno al bidone, e alla

fine lo si assaltava per raschiare le ingrommature6 che aderivano alle pareti e

al fondo.

La voglia immediata di polenta mi dava la pelle d’oca; scrostavo a colpi

goffi, e mi riempivo la bocca di un impasto soffuso del sapore del fumo di legna

20    bruciata, i cui ultimi residui frangevo coi piedi. Riemergevo tra le gambe

assiepate, con la bocca piena, e l’idea di aver sottratto agli altri una buona dose

di questa polenta supplementare, anziché dispiacermi, mi dava soddisfazione.

Nella razione normale si metteva una fetta di margarina, per scioglierla

nell’impasto caldo; questo piatto è buonissimo. C’è anche un altro modo di

25    mangiare la polenta con la margarina, più raffinato: si prende un coperchio di

latta, e ci si posano dentro bocconi di polenta tiepida, e un pezzo di margarina,

e poi si mette questo coperchio sopra la brace, finché la polenta è fritta e trasuda

un liquido oleoso.

Si sognava la fine della guerra, per vedere le ragazze coi bei vestiti, aprire

30    un libro molto desiderato, fare un bagno, giocare una partita di pallone; ma

queste cose impallidivano di fronte al pensiero che potremmo indurre le nostre

famiglie a comprarci mezzo quintale, o anche un quintale di farina gialla,

e chili di margarina, o anche di burro; e friggere polenta dalla mattina alla sera

e mangiarla con libertà e soprattutto adagio, e poi addormentarsi, e svegliandosi

35    alla mattina ricominciare a friggere e a mangiare. […]

In principio, ogni tanto si mangiava anche pane; si andava a prenderlo nei

luoghi dove lo portavano su dai paesi di notte; poi si marciava il resto della

notte con gli zaini colmi. Quando ci andai anch’io, a uno di questi trasporti,

scelsi subito le due pagnotte che spettavano a me, e detti un morsicone7 alla

40    prima, per segnale, e un morsicone alla seconda; poi le consegnai a qualcuno

che me le mettesse nel suo zaino, per protezione, ma arrivando al campo mi

venne una crisi, me le feci ridare urgentemente, e le divorai prima ancora di

sfilarmi lo zaino, e così mentre gli altri mangiavano io non ne avevo più, e inoltre

avevo il singhiozzo. Ma dopo

45    un po’ questi rifornimenti di pane

dai paesi finirono. Dei paesi non

sapevamo più nulla.

Dall’aria8 continuarono invece

ad arrivare, sempre di notte, campioni

50    di roba da mangiare molto

 esotica, una specie di manna9

moderna, più bella che buona,

come io ho sempre sospettato

che fosse anche la manna antica. C’erano alcuni rotoli di uno strano prodotto

55    chiamato bacòn,10 composto principalmente di sale; e qualche scatola di una

pasta pallida e liscia, che non sapeva di nulla, ed era formaggio canadese; e

c’era la polvere d’uovo. Questa non era affatto appetitosa, ma la prima volta

che arrivò, mentre noi stavamo lì a guardare perplessi il pacchetto, Lelio11 e un

ragazzo di Roana12 si fecero forza e si misero a mangiarsela con le mani. Lelio

60    ne mangiò una manciatella, e poi si fermò; il ragazzo di Roana mangiò tutto il

resto, e ci bevve sopra una borraccia d’acqua, perché impastava la bocca. Poi

si sentì male; e gli altri si misero a fargli bere dell’altra acqua per rianimarlo.

Quando entrò in coma, lessi cosa c’era scritto sul pacchetto, perché c’era una

scritta in inglese. Diceva: “Polvere ad altissima concentrazione: 100 uova di

65    gallina canadese: mescolata con l’acqua riacquista il volume naturale”.

Il ragazzo di Roana, era più di là che di qua. Mi dissi: tutto dipende dalla

velocità di fermentazione. Fu infatti una gara di velocità: ora pareva che vincessimo

noi, ora la fermentazione. Alla fine avevamo vinto noi, e il ragazzo di

Roana si riprese. In seguito bastava dirgli: “Coccodè” per farlo svenire.


Luigi Meneghello, I piccoli maestri, Rizzoli, Milano 2013

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Come continua

Il racconto prosegue sul filo della memoria, ora divertita ora commossa, del narratore. Tra agguati e aggressioni, rastrellamenti e fughe, momenti di gioiosa amicizia e di intensa drammaticità si alternano: il gruppo ora cresce, con l’arrivo di nuovi partigiani, ora si disperde, con la morte in battaglia dei compagni. Finché, dopo mesi di permanenza sui monti, il protagonista scende in pianura per partecipare alla liberazione della città di Padova dall’occupazione nazifascista.

A tu per tu con il testo

“Non tutto il male vien per nuocere”: l’antica saggezza popolare sembra esprimere, in questo noto proverbio, il significato profondo del brano. La vita, infatti, può sottoporci prove ardue e impreviste: una sventurata emergenza; un problema mai affrontato prima; il dramma di qualcuno che conta su di noi, e che non sappiamo come aiutare. Nelle crisi, reagiamo inizialmente con paura e incertezza, e i sentimenti negativi, di angoscia e di sconforto, sembrano prevalere di fronte alla realtà, che appare ignota e complicata. Tuttavia, la natura umana cela risorse sorprendenti e, anche nel più cupo dei naufragi, una luce può accendersi e risvegliare, dentro di noi, reazioni inaspettate: sentiamo così la forza di uno slancio vitale, l’impulso di un’allegria paradossale che trasforma in positivo il nostro atteggiamento verso il mondo. È ciò che è accaduto al protagonista di questo brano: tra pericoli e avversità, ha trovato l’entusiasmo di imparare dalle cose. E ora ci racconta, con affetto e ironia, gli ostacoli affrontati da ragazzo, ricordandoli come straordinarie occasioni di crescita.

 >> pagina 536

Analisi

Siamo sull’Altopiano di Asiago, tra Veneto e Trentino, un luogo cruciale della nostra storia, teatro di sanguinose battaglie durante la Prima guerra mondiale e di guerriglia durante la Resistenza. Nel brano, però, il paesaggio alpino non è evocato come sfondo di violenze: il narratore ricorda invece la vita quotidiana insieme ai suoi compagni partigiani, ponendo l’accento sulle loro pratiche comuni per fronteggiare i bisogni primari, a partire da quello della fame. La loro crescita matura attraverso esperienze concrete, nell’affrontare problemi reali: i ragazzi trasformano un bidone di latta in un paiolo, scoprono che la polenta è buona nonostante il retrogusto di vernice (r. 11), ma al tempo stesso sognano il sereno futuro che li aspetterà a guerra terminata.

In tal modo la narrazione procede, rievocando ora le abitudini del gruppo, ora gli episodi memorabili affiorati nel ricordo dell’autore. E a mano a mano che leggiamo, l’Altopiano si trasforma, anche per noi, in uno spazio della memoria: le vite di questi ragazzi ci diventano familiari e ci sembra di conoscerli direttamente, di marciare di notte con loro per raccogliere il pane dei montanari o di assaggiare, senza troppa convinzione, l’insipido formaggio canadese (r. 56) lanciato dagli aerei angloamericani. Accompagnati dal narratore, ripercorriamo quei luoghi e quei momenti, ed è come se rivivessimo, guidati dal filo dei ricordi, l’iniziazione alla realtà e al vero valore delle cose vissuta dal protagonista.

Come sottolinea l’incipit del brano, esistono una fame triste e una fame allegra: chi ci aveva mai pensato? Si possono associare la fame e l’allegria? Si può definire “raffinata” una polenta melmosa, fritta su un coperchio (r. 25)? Il narratore lo fa, perché mette a confronto la sua esperienza personale con la durezza della Storia, richiamando l’orrore dei campi di sterminio e il silenzio di chi, sopravvissuto all’atroce prigionia, è muto testimone di quella tragedia. Nel contrasto con tale immane sofferenza, la sua fame di ragazzo gli sembra ora solamente una gran voglia di mangiare (r. 7): il Meneghello adulto, più maturo e consapevole, ironizza sull’io narrato che, nell’ingenuità dei vent’anni, non sapeva distinguere tra la propria naturale voracità e le vere privazioni, a lui sconosciute.

Ma è davvero di avidità giovanile che si parla? O c’era altro nella voglia immediata (r. 18) che spingeva all’irruento assalto del paiolo improvvisato? Il tema dell’insaziabilità rappresenta a ben vedere la sconfinata fame di libertà e di vita dei ragazzi che desiderano il rinnovamento della società dopo aver vissuto l’oppressione di una dittatura. Attraverso la voglia di mangiare, i “piccoli maestri” esprimono così anche l’entusiasmo fisico e morale che li porta a sognare, con una spontaneità che il narratore ricorda sorridendo, i quintali di polenta e margarina da mangiare fino a saziarsi dopo la guerra, tranquillamente, in piena libertà (rr. 29-35).

Su tutto il brano aleggia un’atmosfera leggera, come dimostrano due episodi grotteschi. Nel primo, il narratore ci racconta la sua spedizione per il pane: colto, al ritorno, da un’improvvisa crisi (r. 42), decide di sbranare la sua razione per la strada. Ingordigia punita: all’arrivo, i suoi compagni hanno infatti tutto il tempo di gustare l’alimento mentre al protagonista, rimasto a bocca asciutta, non resta che l’antipatico singhiozzo (r. 44) di chi ha mangiato troppo in fretta. Il secondo episodio ha invece per protagonista un ragazzo di Roana (r. 59): per una goliardica bravata, trangugia in quantità una misteriosa sostanza, finché si sente male. I suoi compagni, per soccorrerlo, peggiorano in realtà la situazione e il ragazzo cade in coma: è una potente indigestione di polvere di uovo. Per fortuna, dopo qualche ora, tutto si risolve felicemente e il tragicomico incidente diventa lo spunto di scherzi e prese in giro tra i ragazzi.

Si tratta di due vicende significative, che dimostrano come Meneghello voglia raccontare la Resistenza: non come un evento eroico da celebrare, ma come un’esperienza vitale, da descrivere con disincanto e con l’ironia sorridente di chi rifiuta la retorica. Un ingrediente rarissimo, nelle storie di guerra.

 >> pagina 537

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. …non dicono quasi nulla su questa fame e in generale su tutta la faccenda (rr. 4-5). Di che cosa sta parlando il narratore?

  • a Dei montanari che, in passato, hanno patito la fame ma oggi, negli anni del benessere, non se ne ricordano più.
  • b Dei suoi compagni di gioventù, ora famosi, che non vogliono parlare delle loro basse origini sociali.
  • c Degli ex deportati, sopravvissuti nei campi di concentramento, che non parlano della loro atroce esperienza perché è difficile trovare le parole per esprimere quell’orrore.
  • d Di sé e dei suoi compagni partigiani che riconoscevano, l’uno negli occhi dell’altro, i segni della fame di cui, però, nessuno parlava mai.

2. Indica se le affermazioni sono vere o false.


a) Il narratore ha conosciuto alcuni ex deportati nei campi di concentramento.

  • V   F

b) Gli abitanti dei paesi non volevano aiutare i ragazzi della bada.

  • V   F

c) La polenta preparata in montagna aveva un sapore delizioso.

  • V   F

d) Anche se la polenta non era buona, il protagonista la mangiava voracemente.

  • V   F

e) Il protagonista si sentiva in colpa di aver sottratto ai suoi amici parte del cibo che sarebbe spettato loro.

  • V   F

f) Insieme alla polenta, i ragazzi mangiavano alcuni latticini tipici dell’alta montagna: formaggio, burro, panna ecc.

  • V   F

g) Quando i ragazzi sognavano la fine della guerra, immaginavano situazioni molto semplici e quotidiane, e nulla di eccezionale o grandioso.

  • V   F

h) I rifornimenti alimentari da parte degli Alleati non erano di grande qualità.

  • V   F

i) In buona fede, i ragazzi hanno rischiato di provocare la morte del ragazzo di Roana, dandogli da bere.

  • V   F

j) Il ragazzo di Roana si riprende, ma l’esperienza lo segna per moltissimo tempo.

  • V   F

Analizzare e interpretare

3. L’episodio delle pagnotte si conclude con le frasi Ma dopo un po’ questi rifornimenti di pane dai paesi finirono. Dei paesi non sapevamo più nulla (rr. 44-47). Secondo te come dobbiamo interpretare questo comportamento?

  • a Agli abitanti dei paesi i partigiani non erano simpatici, e non li volevano più aiutare.
  • b I partigiani erano molto orgogliosi, e non volevano farsi più aiutare dagli abitanti del paese.
  • c Era molto pericoloso per gli abitanti dei paesi aiutare i partigiani e gli aiuti cessarono per paura delle ritorsioni dei nazifascisti.
  • d Nessuna delle ragioni sopra indicate.

4. Perché si dice che il ragazzo di Roana sviene quando sente Coccodè (r. 69)?

  • a Perché soffre di una fobia verso le galline e gli uccelli in generale.
  • b Perché è spaventato dai suoi compagni che gli fanno spesso scherzi crudeli.
  • c Perché ricorda con spavento l’indigestione di uova in polvere che lo ha mandato in coma.
  • d Perché l’alta montagna gli procura disturbi di pressione.

5. Un elemento ricorrente nel passo è l’ironia. Per quale motivo il narratore vi fa ricorso?

  • a Perché ritiene di poter scherzare sulla Resistenza che considera un tema ridicolo.
  • b Perché non prende sul serio i suoi lettori.
  • c Perché vede sé stesso e la sua giovinezza con la consapevolezza dell’adulto, e può anche giudicare ingenuità ed errori le sue azioni passate.
  • d Perché vuole rinnegare la sua esperienza passata, raccontandola come una comica farsa di cui vuole che il lettore rida.

6. Il narratore parla di un quintale di farina gialla, e chili di margarina, o anche di burro; e friggere polenta dalla mattina alla sera (rr. 32-33). Quale figura è possibile individuare?

  • a Metafora.
  • b Similitudine.
  • c Iperbole.
  • d Sineddoche.

7. Come definiresti il registro dominante del brano?

  • a Elevato e solenne come un discorso celebrativo, ricco di figure retoriche e di vocaboli aulici, con una sintassi complessa e molte subordinate.
  • b Medio e colloquiale come una garbata conversazione tra persone che si conoscono ma non sono in confidenza, con occasionali termini elevati e qualche incursione nelle forme più parlate, con una sintassi semplice ma controllata.
  • c Basso e poco sorvegliato, come una chiacchierata tra amici al bar o in famiglia, con strutture sintattiche parlate e lessico approssimativo, con una sintassi incoerente e strutture a senso.

 >> pagina 538 

Competenze linguistiche

8. Scegli tra i seguenti aggettivi quelli che connotano la personalità e il comportamento dei personaggi.


1) Il protagonista è

  • a asociale.
  • b vitale.
  • c negligente.
  • d sarcastico.

2) Il narratore è

  • a consapevole.
  • b beffardo.
  • c distaccato.
  • d appassionato.

3) Il ragazzo di Roana è

  • a ridicolo.
  • b inetto. 
  • c ingordo.
  • d egoista.

4. Lelio è

  • a perplesso.
  • b assennato.
  • c supponente.
  • d ironico.


9. Il narratore riporta la parola inglese bacon. Conosci altri termini stranieri usati in italiano per parlare di cibo e di cucina?

Scrivere correttamente

10. Dalla seguente riformulazione del testo sono stati tolti tutti i segni di punteggiatura, gli apostrofi, gli accenti, le virgolette. Ripristinali nelle posizioni opportune e utilizza le maiuscole dove necessario.


il ragazzo di roana era piu di la che di qua mi dissi tutto dipende dalla velocita di fermentazione fu infatti una gara di velocita ora pareva che vincessimo noi ora la fermentazione alla fine avevamo vinto noi e il ragazzo di roana si riprese in seguito bastava dirgli coccode per farlo svenire

P@role in rete

Immagina di essere il ragazzo di Roana. Tornato a casa dopo la disavventura alimentare, scrivi un post su Facebook per raccontare ai tuoi amici che cosa ti è successo.

La dolce fiamma - volume A
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