CARTA CANTA - L’incubo di Pasolini

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L’incubo di Pasolini

Non appena giunse a Roma dal Friuli, Pasolini restò stregato. Non dalla città dei papi o dalle vestigia dell’antico impero, sul quale il fascismo aveva innalzato i suoi sogni di gloria.

No: ad affascinarlo era piuttosto la fervida vita popolare delle borgate in cui si trovò ad abitare. Quartieri polverosi, miserabili e vivacissimi, dove convergevano i popolani espulsi dal centro storico e le ondate di immigrati sbarcati nella capitale in cerca di fortuna. Pasolini ritrasse la loro realtà linguistica e sociale in una serie di bozzetti, pubblicati su riviste nei primi anni Cinquanta.


A un certo punto nacque il progetto di trasformarli in un romanzo, caldeggiato dall’editore milanese Aldo Garzanti. Pasolini lavorò con impegno e passione sul magma dei suoi appunti, e nella primavera del 1955 consegnò il dattiloscritto. Doveva essere la fine di un lavoro molto impegnativo, fu l’inizio di un incubo. Di fronte alle bozze Garzanti infatti fu colto da una serie di scrupoli, anche per via delle reazioni sconcertate dei librai che lessero in anteprima l’opera. Pretese allora dall’autore una revisione radicale, da compiere in tempi strettissimi. Pasolini a malincuore accettò, rassegnandosi ad attenuare gli episodi più spinti, e a sostituire con puntini bestemmie e parolacce. È un caso di autocensura coatta, per il quale l’autore si vede costretto a massacrare le proprie pagine pur di poterle pubblicare.

Questo trattamento non valse comunque a evitare le polemiche, che esplosero quando Ragazzi di vita uscì, nel maggio del 1955, incontrando un notevole successo. Molti critici si dissero scandalizzati da un libro che ai loro occhi appariva immorale e addirittura «pornografico». Quest’accusa venne raccolta e rilanciata dall’Ufficio Spettacoli della Presidenza del Consiglio, che denunciò Pasolini e chiese il sequestro dell’opera. In occasione del processo – uno dei tanti che lo scrittore si trovò ad affrontare nella sua travagliata esistenza – la difesa chiamò a testimoniare alcuni fra i più importanti intellettuali del tempo, perché garantissero sulla qualità del romanzo. In una lettera Giuseppe Ungaretti sostenne che sarebbe stata un’offesa alla verità far parlare i borgatari come dei damerini o dei borghesucci, mentre secondo Carlo Bo si denigravano pagine capaci di spingere «alla pietà verso i poveri e i diseredati». Lo stesso pubblico ministero, in conclusione, chiese di assolvere gli imputati, non ravvisando gli estremi di un reato. Da allora, Ragazzi di vita continua a essere ristampato nella versione rassettata da Pasolini, che non volle più mettervi mano.

La dolce fiamma - volume A
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Narrativa