T2 - Giovanni Boccaccio, Calandrino lapidato

T2

Giovanni Boccaccio

Calandrino lapidato

  • Tratto da Decameron (ottava giornata, terza novella), 1349-1353
  • Titolo originale Calandrino e l'elitropia, nella riscrittura di Piero Chiara
  • novella
Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Certaldo, vicino Firenze, figlio illegittimo di un ricco mercante. Trascorsa l’infanzia a Firenze, nel 1327 si trasferisce a Napoli per seguire il padre, rappresentante di una potente banca fiorentina. Il soggiorno napoletano, durato una dozzina di anni, risulta decisivo per la formazione di Boccaccio, che partecipa alla vita di corte della nobiltà napoletana, tra amori, vacanze in luoghi ameni e conversazioni raffinate. Inoltre, in questo periodo egli entra in contatto con la ricca tradizione letteraria francese e, frequentando la biblioteca reale, approfondisce la sua passione per la cultura della classicità greco-latina. In questi anni, inizia a dedicarsi alla scrittura, cimentandosi in opere di vario genere, dal romanzo d’avventura (Filocolo, 1336) al poema cavalleresco (Teseida, 1339-1340), erotico-mitologico (Filostrato, datazione incerta) e allegorico (Amorosa visione, 1342-1343). Tuttavia, il capolavoro che lo ha reso immortale è il Decameron (1349-1353), una raccolta di cento novelle, in cui rappresenta con varietà la società del suo tempo, dando vita a una sterminata galleria di personaggi e avventure capaci di divertire e intrattenere il pubblico di ogni epoca. Nel frattempo Boccaccio è tornato a Firenze e inizia a svolgere varie missioni diplomatiche per il comune. Nel 1360 diventa chierico, una specie di sacerdote minore, a cui però la Chiesa fornisce un sostentamento economico. Nonostante gli acciacchi, continua a dedicarsi agli studi e a viaggiare per l’Italia, fino alla morte che lo coglie a Certaldo, nel 1375.

Il protagonista della novella – qui proposta nella versione in lingua italiana moderna a opera dello scrittore lombardo Piero Chiara (1913-1986) – è Calandrino, un pittore della Firenze trecentesca, rinomato per la sua inarrivabile stoltezza. Maso, un furbo mattacchione, lo incontra casualmente presso una chiesa, e decide di non farsi scappare l’occasione di prendersi gioco di lui. Con un amico complice, finge di parlare delle virtù magiche di alcune pietre, tra cui una preziosissima, l’elitropia, capace di rendere invisibile chi la tiene in mano. Attirato da questi discorsi, il pittore interviene nella conversazione informandosi sulle caratteristiche della pietra magica, chiave per un rapido, sicuro e illegale successo finanziario, e poco dopo abbandona la chiesa deciso a impadronirsene. Calandrino coinvolge nel piano due amici che, senza esitare, orchestreranno ai suoi danni un’umiliante beffa.

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Audiolettura

Nella città di Firenze, ricca d’ogni sorte di gente, viveva un modesto pittore
chiamato Calandrino, noto per la sua semplicità di mente. Costui era uso frequentare
due altri pittori, Bruno e Buffalmacco, entrambi gran mattacchioni,
che spesso si divertivano a beffarlo.

5      Un altro mattacchione fiorentino, chiamato Maso, che non perdeva occasione
di burlare gli sciocchi, avendo visto un giorno Calandrino che entrava
nella chiesa di San Giovanni, gli andò dietro insieme a un amico col quale
stava chiacchierando. I due sedettero in un banco fingendo di non aver visto
Calandrino, che se ne stava sotto una parete a studiare alcuni affreschi.

10    Parlando con l’amico, Maso cominciò a trattare delle virtù di alcune pietre e
a dir cose meravigliose sul potere dello smeraldo e del rubino. Calandrino, che
orecchiava, si avvicinò ai due.

«Disturbo?», chiese.
«Affatto», rispose Maso. E andò avanti coi suoi discorsi.

15    «Ma dove si trovano codeste pietre?», domandò a un certo punto il pittore.
«A Berlinzone, terra dei baschi, in una contrada chiamata Bengodi, dove si
legano le vigne con le salsicce e si compra un’oca con due denari».
«Che posto!», esclamò Calandrino.
«Non solo», gli disse Maso. «Nel paese di Bengodi si trova una montagna di

20    formaggio parmigiano grattugiato, in cima alla quale c’è gente che da mattina
a sera non fa altro che cuocere gnocchi e ravioli in brodo di capponi».1
«Per mangiarli?», chiese Calandrino.
«No. Quando sono cotti, li buttano giù lungo i fianchi della montagna e chi
più ne piglia più ne porta via o, se vuole, se ne ciba. Quando uno ha sete, non

25    ha che da attingere in un fiumicello di vino prelibato che scorre ai piedi della
montagna di formaggio».
«Che paese!», diceva Calandrino. «Ma dimmi, di tutti quei capponi cotti,
cosa se ne fanno?».
«Cosa se ne fanno? Se li mangiano i baschi», gli rispose Maso.

30    «Ma tu, ci sei mai stato in questo posto?».
«Vi sono stato una volta come mille».
«E quante miglia è distante?».
«Più di millanta2 che tutta notte canta».
«Allora è più lontano degli Abruzzi?».

35    «Altro che gli Abruzzi!».
«È troppo distante per me», concluse Calandrino. «Ma se fosse un po’ più
vicino, ti assicuro che almeno una volta verrei con te per veder ruzzolare3 quei
ravioli e farmene una scorpacciata. Ma dimmi, benedetto uomo, qui da noi, se
ne trovano di quelle pietre di cui parlavi?».

40    «Ce n’è di due tipi», gli rispose Maso, «ma sono molto rare. L’una, sono i macigni
di Settignano e di Monte Morello,4 coi quali si fanno le macine. È una pietra
che i baschi apprezzano molto più degli smeraldi, perché ne hanno poca,
mentre noi non sappiamo che farcene. Loro invece, guarda un po’ come è mai
fatto il mondo, hanno gli smeraldi a mucchi così grandi nelle campagne, che se

45    ne servono per ghiaia nei giardini. Se gli potessimo portare un po’ di macine ai
baschi, legate come vogliono loro, chissà gli smeraldi che ci darebbero».
«E come le vogliono legate?», s’informò Calandrino.
«Infilate in una corda come anelli, ma prima di venir forate al centro».
Calandrino restò un poco pensoso, poi chiese:

50    «E qual è l’altra pietra che si trova dalle nostre
parti?».
«È quella», gli rispose Maso, «che viene chiamata
elitropia, della quale parlano anche i libri
antichi. Una pietra di straordinaria virtù, perché

55    ha il potere di rendere invisibile chi la tiene
addosso. Capisci? Nessuno lo può vedere dove
non è».
«E questa seconda», chiese Calandrino, «dove
si trova?».

60    Maso gli confidò che nel Mugnone, un fiumicello
che passa a poca distanza da Firenze, qualcuna
si poteva trovare, cercando accuratamente.
«Bisognerebbe sapere», insisteva Calandrino,
«di che grossezza e di che colore sono».

65    «Ce n’è», spiegò Maso, «di varie grossezze, ma
tutte di un colore quasi come nero».

Avute le notizie che desiderava, Calandrino se ne andò dicendo che aveva
un suo dipinto da portare a termine, ma si affrettò invece a cercare i suoi amici
Bruno e Buffalmacco per informarli della sua scoperta e andar con loro alla

70    ricerca della pietra. Li cercò tutta la mattina, ma finì col trovarli solo verso
sera, nella chiesa di un monastero, dove stavano lavorando. Tutto affannato
li chiamò in basso dai ponteggi sui quali affrescavano i muri e tiratili in un
angolo, ancora col fiato grosso, li mise a parte del segreto.
«Compagni», disse, «noi possiamo diventare gli uomini più ricchi di Firenze!

75    Statemi a sentire: ho saputo da persona degna di fede, che sul greto del
Mugnone si può trovare una pietra che rende invisibile chi la porta indosso.
Corriamo, prima che ci vadano altri, e vediamo di trovarne qualcuna. Io la conosco,
so com’è, e non avremo che da mettercela in tasca e poi andare ai banchi
di quelli che cambiano moneta5 e che hanno sempre in vista pezzi d’oro e

80    d’argento. Non visti da alcuno, ne prenderemo a volontà e diventeremo ricchi
senza faticare le giornate e spennellare6 sui muri come fossimo lumache».
Bruno e Buffalmacco si guardarono in faccia e fingendo di credergli lo ringraziarono
d’averli associati alla sua fortuna. Posarono i pennelli e si dissero
disposti alla ricerca. Volevano solo sapere il nome della pietra.

85    Calandrino, che l’aveva già dimenticato, rispose:
«Cosa ce ne importa del nome, quando ne conosciamo le virtù? Non perdiamo
tempo inutilmente e andiamo subito a cercarla».
«Bene», disse Bruno, «ma per riconoscerla bisogna sapere come è fatta». 

«Ce n’è di molti tipi», spiegò Calandrino, «ma tutte sono di colore quasi

90    nero. Noi raccoglieremo tutte quelle sul nero, fin che ci imbatteremo in quella
buona».
«Calandrino dice bene», osservò Bruno. «Ma questa non è ora per andare
nel Mugnone, col sole alto che secca tutte le pietre e fa parer7 bianche anche
le scure. Poi oggi è giorno di lavoro e la gente, vedendoci cercare lungo

95    il fiume, potrebbe indovinare il nostro intento. Qualcuno potrebbe trovare la
pietra prima di noi. Questa è cosa da fare la mattina, quando con l’umidità si
distinguono bene le pietre nere. E di domenica, quando non si lavora e la gente
è tutta alle messe».
Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, ed essendo d’accordo Calandrino,

100  si diedero appuntamento per la domenica mattina, dopo che ciascuno aveva
giurato di non aprir bocca né in casa né fuori su tutta la faccenda.
Venuta la tanto attesa domenica, Calandrino si alzò prima di giorno e andò
a svegliare i due amici, coi quali da porta San Gallo8 raggiunse il Mugnone e
cominciò a cercare su e giù per il greto.

105  Calandrino, che era il più volonteroso, andava avanti, saltando di qua e di
là, e appena vedeva una pietra scura vi si gettava sopra, avidamente la raccoglieva
e la riponeva dentro la camicia. Anche gli altri due ne raccoglievano
ogni tanto qualcuna, ridendo tra di loro senza farsi scorgere da Calandrino,
il quale, ormai con le tasche e la camicia piene di pietre, si era alzato le falde

110  della casacca,9 le aveva assicurate alla cintura e ne aveva fatto un doppio sacco
per mettervi sempre nuove pietre.
Vedendo che Calandrino ormai era stracarico e che si avvicinava l’ora di
pranzo, Bruno cominciò a chiedere a Buffalmacco:
«Dov’è Calandrino?».

115  Buffalmacco, che gli era a due passi, volgendosi intorno e guardando da
ogni parte, rispose:
«Non lo so. Era qui un momento fa. Dove può essere andato?».
«Sarà tornato a casa», disse Bruno. «A quest’ora forse sta mangiando a casa
sua e se la ride di noi che siamo ancora qui a cercar pietre».

120  «Ce l’ha fatta», diceva Buffalmacco. «Ha trovato la pietra e se n’è andato. E
noi siamo stati così sciocchi da cadere in questo scherzo. Ci deve avere ingannati
sul colore della pietra, in modo da poterla trovare solo lui».
Calandrino, sentendo quei discorsi, si convinse d’aver trovato davvero la
pietra e d’esser divenuto invisibile. Stette zitto e si avviò verso casa. Intanto

125  Bruno diceva:
«Che facciamo ancora qui? È meglio che ce ne andiamo anche noi».
«Andiamo, andiamo», approvava Buffalmacco, «ché siamo stati presi in giro
quanto basta. Ma giuro a Dio che Calandrino ce la pagherà. Guarda, Bruno! Se
fosse qui, davanti a noi, com’è stato tutta la mattina, gli tirerei questo ciottolo

130  nelle calcagna,10 da azzopparlo per un mese».
Così dicendo, prese un ciottolo di quelli che aveva raccolto e lo tirò nelle
calcagna di Calandrino, che trattenne a fatica un urlo, ma continuò la sua strada
senza fermarsi. Bruno allora, presa anche lui una pietra a forma di quelle
che si usano per affilare, disse a Buffalmacco:

135  «La vedi questa pietra? Bene: vorrei che arrivasse a dare nelle reni11 a quel
birbante di Calandrino!».
Lanciò il sasso e colpì il povero Calandrino esattamente dove aveva detto.

Ora con una scusa, ora con un’altra e fingendo di volersi liberare delle pietre
tirandole nel vuoto, ma immaginandole dirette a Calandrino, per tutta la

140  strada fino alla porta di San Gallo, lo andarono lapidando senza pietà.
Gli uomini che stavano di guardia alla porta, precedentemente avvertiti da
Bruno e da Buffalmacco, quando si presentò Calandrino carico di pietre finsero
di non vederlo e lo lasciarono passare.
Il poveretto, più convinto che mai d’essersi reso invisibile, prese allora

145  come poté la corsa verso casa sua.
Essendo l’ora di pranzo, non gli capitò
neppure d’incontrar persona che
lo salutasse e lo riconoscesse.
Arrivato a casa carico di sassi, vide

150  sua moglie Tessa che in cima alla scala
e con le mani sui fianchi lo aspettava.
«È questa l’ora di rincasare?», gli
disse. «Possibile che tu non sappia mai
quando è tempo di mangiare? Che il

155  diavolo ti porti!».
“Dunque”, pensò Calandrino, “costei
mi vede. E se mi vede vuol dire
che ho smarrito la pietra, oppure che
le donne hanno potere di far perdere la

160  virtù ai talismani”.
Salì di corsa la scala e, presa la moglie
per i capelli, la coprì di botte.
Bruno e Buffalmacco, che lo seguivano
a distanza, giunti sotto la casa

165  udirono le strida della donna e il
fracasso della gran battitura12 che era in corso e che non prometteva di finir tanto
presto. 

Dal basso chiamarono a gran voce Calandrino, che affacciatosi a una finestra
li chiamò di sopra, dove i due trovarono la stanza piena di pietre sparse sul

170  pavimento e in un angolo la donna, scarmigliata,13 stracciata e coi lividi delle
percosse sul viso.
«Cosa te ne fai di tutte queste pietre? Vuoi tirar su un muro?», chiese Bruno.
L’altro gli domandò cosa mai gli avesse fatto la sua donna, per doverla conciare
in quel modo.

175  Calandrino, che si era lasciato andare, spossato, sopra una sedia, non aveva
più nemmeno il fiato per parlare.
Bruno, con faccia severa, gli si fece davanti e gli disse:
«Che maniere sono queste? Ci porti nel Mugnone a cercar la pietra fatata,
poi ci lasci là come due babbei e te ne vieni a far questioni con tua moglie.

180  Questa è l’ultima che ci farai!».
«Compagni», rispose sforzandosi Calandrino, «non arrabbiatevi. Le cose
stanno diversamente. Pensate: avevo trovato la pietra! L’avevo proprio trovata,
tanto è vero che quando vi domandavate l’uno l’altro di me, io vi ero
vicino, a pochi passi. Mi avete perfino colpito con dei sassi credendo di tirarli

185  nel vuoto! Guardate: ho un piede gonfio, una botta qui sul fianco e tre o quattro
bitorzoli sulla testa. Sono perfino entrato da porta San Gallo senza che
le guardie mi vedessero. Abituati come sono a mettere il naso anche nella
bocca di quelli che entrano, se mi
avessero visto con tutto quel carico

190  mi avrebbero certamente fermato.
Anche per la strada, quelli che incrociavo
non si accorgevano di me,
ve lo assicuro. Per mia fortuna non
ho incontrato donne. Ma arrivato

195  a casa, ecco che questa maledetta
mi si para davanti e fa perdere ogni
virtù alla pietra. Mi vede, capite!
Perché dovete sapere che le femmine
hanno potere di  sfatare14 ogni

200  incanto. Così ha fatto perdere alla
pietra il suo potere e mi ha reso il
più disgraziato uomo del mondo,
quando potevo essere il più ricco. Per questo gliene ho date fin che ho potuto
e non so chi mi tenga dall’ammazzarla. Maledetto il momento che l’ho

205  sposata».

Si era di nuovo così infuriato parlando, che si sarebbe gettato daccapo sulla
moglie, se Bruno e Buffalmacco non l’avessero trattenuto.
Pur avendo voglia di ridere, i due cercarono di fargli capire che la moglie
non aveva nessuna colpa, perché lui, sapendo che le donne hanno potere di

210  far perdere le proprietà delle pietre, non avrebbe dovuto comparirle dinnanzi
quel giorno. Se contro ogni buon senso lo aveva fatto, era segno che Dio voleva
punirlo per aver cercato d’ingannare i suoi compagni non dicendo d’aver
trovato la pietra.
Vedendo che a quelle parole Calandrino si andava calmando, Bruno e Buffalmacco

215  se ne andarono a raccontare in giro la nuova beffa, lasciando l’amico
con la casa piena di sassi e la moglie pesta15 e malconcia da consolare.


Giovanni Boccaccio, Calandrino lapidato, in Piero Chiara, Il «Decameron» raccontato in 10 novelle, Mondadori, Milano 1984

 >> pagina 347

A tu per tu con il testo

Il passare dei secoli è un mistero affascinante, e contiene paradossi che – per quanto ci sforziamo – non potremo mai sciogliere. Da un lato, la novella di Calandrino funziona come una macchina del tempo in miniatura: poche righe e siamo trasportati indietro di oltre seicento anni, nella Firenze del Trecento, tra pittori, buontemponi e mercanti che provano a sbarcare il lunario, in mezzo al tipico fermento che caratterizzava i grandi centri tardomedievali. Dall’altro, non capita spesso di leggere racconti tanto moderni: non solo perché anche a quel tempo esistevano ravioli e parmigiano grattugiato, ma anche e soprattutto perché la stupidità di Calandrino – per quanto caricata al massimo – è una condizione senza tempo, al pari della pronta cattiveria di Bruno e Buffalmacco. Per di più Calandrino è una macchietta tanto riuscita da suscitare nel lettore di oggi – magari segretamente – qualche scomodo interrogativo.

Ri­diamo per divertimento puro e disinteressato o anche noi, all’occorrenza, ci accaniamo con una punta di sadismo su chi ci sembra sciocco? Oppure, come reagiamo quando qualcosa a cui teniamo particolarmente si rivela lontanissimo dalle nostre aspettative e dai nostri desideri?

 >> pagina 348

Analisi

Il Decameron di Boccaccio – opera capostipite della narrativa italiana – è una raccolta di cento novelle inserite in una cornice, secondo la tecnica del racconto nel racconto, o narrazione a incastro. Mentre a Firenze imperversa la terribile peste del 1348, sette fanciulle e tre giovani si rifugiano in un’amena residenza di campagna, lontani dal pericolo del contagio e dai disordini sociali provocati dall’epidemia. Tra danze, canti e tavole imbandite, l’«onesta brigata» trascorre dieci giorni (il titolo stesso Decameron, derivante dal greco, significa “dieci giorni”), ricreando una piccola isola di civiltà “ideale”, fatta di ozio, decoro, conversazioni cortesi, bellezza materiale e spirituale. In questo contesto idilliaco, i giovani dedicano il tempo a disposizione al «novellare», cioè a raccontarsi storie, seguendo una serie di regole fissate in partenza: ogni giorno vengono eletti un “re” o una “regina”, incaricati di scegliere l’argomento delle narrazioni di ciascun componente della comitiva. Attraverso tale stratagemma narrativo, Boccaccio raccoglie vicende, avventure e beffe che compongono un vivido e dettagliatissimo affresco della società tardomedievale, tra passioni travolgenti, amori infelici, motti di spirito, vizi, virtù e battaglie per l’affermazione sociale.

La novella Calandrino lapidato appartiene all’ottava giornata, dedicata alle beffe di vario genere. Calandrino, che appare in ben quattro novelle del Decameron, è un personaggio ispirato a un pittore fiorentino realmente esistito e rinomato per la sua stupidità. Egli incarna il tipo dello sciocco e del credulone “per eccellenza”, il classico contadino da poco arrivato in città, bersaglio di scherzi reiterati da parte dei suoi crudeli amici, che infieriscono di gusto sulla sua stoltezza proverbiale.

In questa novella, il protagonista è vittima di una doppia beffa. A prendersi gioco della sua dabbenaggine è inizialmente Maso, il quale – spacciando per vero un racconto lambiccato e assurdo – lo convince dell’esistenza dell’elitropia, una “pietra dell’invisibilità”. Successivamente, ansioso di condividere il piano che lo renderà ricco con i suoi “amici” Bruno e Buffalmacco, Calandrino cade vittima della loro arte oratoria. Infatti, durante un’uscita fuori dalle mura della città sulle tracce della pietra, i due gli fanno credere di essere diventato invisibile, ignorando volutamente la sua presenza. Il pittore è sicuro a questo punto di aver trovato l’elitropia e subisce in silenzio la “lapidazione” dei compagni.

Il ritorno a casa però coincide con l’amara, inaccettabile manifestazione della verità: la moglie infatti, a differenza di lui niente affatto ingenua e sognatrice, confuta la presunta invisibilità del marito. La reazione di quest’ultimo ne conferma la stupidità. Piuttosto che riconoscere il suo evidente errore, egli infatti preferisce appellarsi a un pregiudizio maschilista: si sa che le donne rovinano sempre tutto, incantesimi compresi… E dunque non esita a prendere a botte la moglie maledetta (r. 195), che manda in fumo i suoi progetti per arricchirsi. Il pestaggio cessa solo grazie all’intervento dei due beffatori, che poi se ne vanno a spasso vantandosi dell’impresa, mentre Calandrino resta in casa con i sassi e la moglie piena di lividi.

Nella settima e nell’ottava giornata del Decameron, Boccaccio propone una divertente serie di beffe, celebrando gli astuti e mettendo alla gogna sciocchi e sempliciotti. Racconta così di una moglie che convince il marito della presenza di un fantasma, quando è in realtà il suo amante a bussare alla porta; narra di un giudice a cui vengono sottratti i pantaloni, mentre in tribunale amministra la giustizia e di uno scaltro mercante che riesce a beffare l’astuta ladra che lo aveva raggirato, rifilandole otri pieni di acqua di mare anziché di olio. Nonostante la divertente galleria di casi, i grandi temi della menzogna e della beffa non sono soltanto espedienti comici, atti a suscitare il riso nel pubblico del Decameron. Infatti, la lode dell’ingegno che essi contengono può essere collegata all’intraprendenza del ceto mercantile in espansione nel tardo Medioevo, a cui del resto lo stesso Boccaccio apparteneva.
 >> pagina 349

Tuttavia, oltre ai collegamenti con il contesto storico, pur fondamentali, la beffa inchioda qui ai propri limiti un personaggio che Boccaccio dipinge con i caratteri tipici dell’antieroe privo di doti intellettuali, facile preda di ben più scaltri antagonisti. Calandrino agisce d’impulso, senza riflettere, e non sa distinguere il vero dal falso, cadendo a capofitto nella menzogna ordita a suo danno dagli amici di turno. Ma c’è di più: egli è un individuo avido che subisce il richiamo di guadagni facili e illegali. Infatti, sebbene Maso lo convinca di varie assurdità, tra cui l’esistenza dell’elitropia e la sua vicina ubicazione, è Calandrino a ordire lo sciagurato piano di impadronirsene, per poi rubare non visto l’oro dal banco dei cambiavalute.

Oltre a essere un credulone, infine, Calandrino è anche superstizioso e misogino: egli incolpa la moglie in base a una credenza che in realtà maschera un disprezzo gratuito per le donne, e subito dopo prende a picchiarla a sangue, nella migliore tradizione patriarcale, secondo cui le femmine – subordinate fisicamente e mentalmente agli uomini – costituiscono uno sfogo pratico e a portata di mano.

Vedere Calandrino lapidato dagli amici mentre crede di essere invisibile è una scena del tutto esilarante, che tuttavia sottende anche una riflessione amara sulla violenza della società. L’inganno e la menzogna, infatti, sono armi fondamentali nelle società umane, perché spostano il conflitto dal piano della pura fisicità a quello del linguaggio e dei significati. Coprendo di ridicolo Calandrino, Boccaccio non solo vuole celebrare l’intelligenza umana e le sue immense potenzialità, ma anche rappresentare una società basata su un’aggressività feroce, in cui ciascuno è in guerra con l’altro per il possesso delle risorse (per esempio, il denaro, o, nelle altre novelle, anche una donna, contesa tra marito e amante). Chi scende in campo con le armi sbagliate, come Calandrino, è destinato a soccombere, diventando lo zimbello degli altri.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Dividi il testo in quattro macrosequenze e sintetizza ciascuna in non più di due righe.


2. Quali sono le caratteristiche del paese di Bengodi descritto da Maso?


3. Che cosa convince Calandrino di aver trovato l’elitropia?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. Il paese di Bengodi è un luogo favoloso non solo perché ci sono cibo e vino in abbondanza, ma anche perché è immerso in una dimensione spazio-temporale favolosa e irreale, dove le leggi della natura non sono valide: individua le risposte di Maso che ne mettono in evidenza tali caratteristiche.


5. Descrivendo l’elitropia, Maso menziona a Calandrino delle caratteristiche che sembrano straordinarie al povero sciocco, ma che in realtà non lo sono affatto. Quali sono?


6. Quando Bruno e Buffalmacco propongono a Calandrino di posticipare alla domenica la ricerca dell’elitropia, adducono ben precise motivazioni: quali? Sono motivazioni reali?


7. Nella conclusione del racconto, Bruno e Buffalmacco riescono a trarre d’impaccio la moglie di Calandrino e, contemporaneamente, a farlo passare nuovamente per sciocco: in che modo?

 >> pagina 350 

COMPETENZE LINGUISTICHE

8. Coordinazione e subordinazione. Piero Chiara mima lo stile di Boccaccio, che a sua volta imita i classici latini e fa largo uso del gerundio, un modo verbale che può avere funzione di subordinata temporale (T), causale (C), strumentale (S) o modale (M). Individua la funzione dei seguenti gerundi presenti nel testo; uno di essi, però, ha una funzione logica differente da quelle indicate: quale?



 T 

 C 

 S  M

a) I due sedettero in un banco fingendo di non aver visto Calandrino

     

b) Bruno e Buffalmacco si guardarono in faccia e fingendo di credergli lo ringraziarono

     

c) Calandrino […] andava avanti, saltando di qua e di là

     

d) Anche gli altri due ne raccoglievano ogni tanto qualcuna, ridendo tra di loro

     

e) Buffalmacco, […] volgendosi intorno e guardando da ogni parte, rispose

     

f) Calandrino, sentendo quei discorsi, si convinse d’aver trovato davvero la pietra

     

g) Ora con una scusa, ora con un’altra e fingendo di volersi liberare delle pietre tirandole nel vuoto, ma immaginandole dirette a Calandrino

     

h) Si era di nuovo così infuriato parlando, che si sarebbe gettato daccapo sulla moglie

     

i) Pur avendo voglia di ridere, i due cercarono di fargli capire

     

j) Vedendo che a quelle parole Calandrino si andava calmando, Bruno e Buffalmacco se ne andarono a raccontare in giro la nuova beffa, lasciando l’amico

     

9. Discorso diretto e indiretto. La novella è resa ancora più vivace dai serrati scambi di battute. Prova a trasformare in discorso indiretto il dialogo tra Maso e Calandrino (rr. 13-36), facendo attenzione alla correttezza dei modi e dei tempi verbali.

PRODURRE

10. Scrivere per descrivere L’autore dà la precedenza all’azione e non si dilunga in descrizioni dell’ambiente in cui si muovono i suoi personaggi. Fallo tu, descrivendo (massimo 10 righe per ciascuna proposta):


a) la chiesa medievale in cui stanno lavorando Bruno e Buffalmacco (devi usare le parole: colonna, penombra, transetto);

b) la riva del torrente Mugnone (devi usare le parole: greto, pozza, arbusto, asciutto);

c) la città medievale, deserta all’ora di pranzo (devi usare le parole: vicolo, mura, silenzioso, imposte).


11. Scrivere per esprimere Nonostante si tratti di un racconto comico, nessuno dei personaggi della novella ci appare particolarmente simpatico. Come mai? Esponi le tue considerazioni (massimo 20 righe).

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

Lingue e letterature straniere

In numerose altre tradizioni letterarie e culturali esiste un corrispondente del paese di Bengodi descritto nella novella. Ne conosci qualcuno? Fai una breve ricerca.

SPUNTI PER discutere IN CLASSE

Ti è mai capitato di organizzare uno scherzo ai danni di una persona credulona o di esserne la vittima? Come ti sei sentito?

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa