«Diffida dell’uomo la cui scrittura ondeggia come una canna al vento», raccomandava il saggio Confucio nell’antica Cina. Gli angoli, l’inclinazione, la fluidità del tratto… Ma davvero la grafologia è una scienza, in grado di svelare la personalità di un individuo? Fra quanti ne sono stati convinti spicca il nome di Edgar Allan Poe, che intorno al 1840 tenne una rubrica sul Graham’s Magazine, nella quale analizzò puntigliosamente le firme di un centinaio di celebrità dell’epoca, con osservazioni di questo tipo: «La calligrafia è energica, ampia, irregolare. Non è a spigoli ma rotondeggiante. Le t sono incrociate con un ampio graffio della penna, dando all’intera lettera un’apparenza strana se tenuta sottosopra, o in una posizione diversa da quella corretta. Un’atmosfera autoritaria pervade il tutto, tradendo una vanitosa autocoscienza».
È una strada sulla quale lo seguirono in molti, a cominciare dal detective inventato da Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes, appassionato ricercatore di indizi nelle minime sbavature di inchiostro. E in molti si sono sentiti legittimati ad analizzare la scrittura dello stesso Poe, scovando in essa i fantasmi interiori che lo tormentavano, le sbandate dovute all’alcool, o viceversa il severo autocontrollo che predica nel saggio Filosofia della composizione.