T4 - Edgar Allan Poe, Il gatto nero

T4

Edgar Allan Poe

Il gatto nero

  • Titolo originale The Black Cat, 1843
  • Lingua originale inglese
  • racconto horror

Edgar Allan Poe nasce nel 1809 a Boston, negli Stati Uniti, da una coppia di attori girovaghi. Rimasto orfano in tenera età, è accolto nella casa di un ricco commerciante. Si iscrive all’università della Virginia, ma il demone del gioco d’azzardo lo costringe a contrarre pesanti debiti e ad abbandonare gli studi. Allontanato dal padre adottivo, che ne biasima la condotta, prova a iscriversi all’Accademia militare, ma presto viene espulso per insubordinazione. Sposatosi nel 1836 con una cugina adolescente, si trasferisce in cerca di fortuna a New York, dove lavora nel campo del giornalismo. Inizia a dedicarsi anche alla narrativa, con il romanzo Le avventure di Gordon Pym (1838) e con numerosi racconti, nei quali costruisce storie magistrali sospese fra incubo, fantastico e orrore. Il poemetto Il corvo (1844) gli dà grande notorietà, ma intanto le difficoltà economiche e la perdita della moglie, uccisa dalla tubercolosi, lo fanno cadere in una profonda depressione. Malato e ridotto alla miseria, muore alcolista nel 1849, a soli quarant’anni.

Un uomo tranquillo si sposa e prende un gatto con sé. Niente di più normale. Ma con il passare degli anni il veleno dell’alcol incrina la sua serenità. I rapporti con la moglie peggiorano. L’animale, un tempo amatissimo, fa una brutta fine. È il primo gradino sulla scala che condurrà l’uomo al più orrendo dei delitti. E sarà proprio un gatto a punirlo.

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Audiolettura

Per il più folle e insieme più semplice racconto che mi accingo a scrivere, non
mi aspetto né sollecito credito alcuno.1 Sarei matto ad aspettarmelo in un caso
in cui i miei stessi sensi respingono quanto hanno direttamente sperimentato.
Matto non sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi 

5      voglio liberarmi l’anima. Il mio scopo immediato è quello di esporre al mondo
pianamente e succintamente una serie di semplici eventi domestici, senza
commentarli. Le loro conseguenze mi hanno terrorizzato, torturato, distrutto,
ma non tenterò di spiegarli. Per me hanno significato nient’altro che orrore,
ma per molti sembreranno meno terribili che barocchi.2 Si potrà, forse, trovare 

10    qualche intelletto che ridurrà il mio fantasma ad un luogo comune – qualche
intelletto più calmo, più logico e molto meno eccitabile del mio che possa cogliere
nelle circostanze che io evoco con timore, nient’altro che una normale
successione di cause ed effetti naturalissimi.

Fin dall’infanzia ero noto per la docilità 

15    e l’umanità del mio carattere. Ero
così tenero di cuore da diventare quasi
lo  zimbello3 dei miei compagni. Ero
praticamente affezionato agli animali
e i miei genitori mi concedevano di tenere 

20    una grande quantità di animaletti
domestici. Con essi passavo gran parte
del mio tempo e niente mi rendeva più
felice del nutrire e carezzare le bestiole.
Questa mia tendenza crebbe con gli 

25    anni ed anche quando divenni adulto
trassi da essi il massimo diletto. Tutti coloro che hanno provato affetto per
un cane fedele e intelligente comprendono facilmente la natura e l’intensità
del piacere che se ne può trarre. C’è qualcosa, nell’amore disinteressato e capace
di sacrifici di una bestiola, che va direttamente al cuore di chi ha avuto 

30    frequenti occasioni di mettere alla prova la gretta amicizia e l’evanescente fedeltà
del semplice uomo.

Mi sposai presto e fui felice di trovare in mia moglie una disposizione4 analoga
alla mia. Avendo notato la mia passione per gli animali domestici, non
tralasciò occasione per procurarmene delle specie più gradevoli. Avevamo uccelli, 

35    pesci rossi, un grazioso cane, dei conigli, una scimmietta e un gatto.

Quest’ultimo era un animale grande e molto bello, tutto nero, e intelligente
al massimo grado. Parlando della sua intelligenza mia moglie, non aliena da
una certa superstizione, faceva frequenti allusioni all’antica credenza popolare
che vedeva i gatti neri come delle streghe travestite. Non che fosse una cosa 

40    seria per lei; del resto io ne parlo solo perché proprio ora me ne sono ricordato.

Plutone – questo è il nome del gatto – era il mio animale preferito ed il mio
compagno di giochi. Solo io gli davo da mangiare, mi aspettava quando tornavo
a casa e a fatica potevo impedire che mi seguisse nella strada.

La nostra amicizia durò così per molti anni, durante i quali il mio carattere 

45    ed i miei modi, per l’azione di una diabolica intemperanza subirono (arrossisco
nel dirlo) una radicale trasformazione in peggio. Divenni giorno dopo giorno
più strambo, irritabile, meno rispettoso dei sentimenti altrui. Mi permisi di
usare un linguaggio irriguardoso5 con mia moglie; alla fine arrivai con lei alla
violenza. Le mie bestiole sentirono senz’altro il cambiamento dei miei modi. 

50    Non solo li trascuravo, ma li maltrattavo. Per Plutone, tuttavia, avevo ancora
un certo riguardo che mi impediva di maltrattarlo, mentre non mi facevo scrupolo
a maltrattare i conigli, la scimmietta e perfino il cane, quando per caso
o per affetto attraversava la mia strada. Ma il mio malessere cresceva – che
razza di malattia è l’Alcool!6 – ed alla fine anche Plutone, ora divenuto vecchio 

55    e conseguentemente un po’ irritabile – persino Plutone, cominciò a provare gli
effetti del peggioramento del mio carattere.

Una notte, tornando a casa ubriaco fradicio, da uno dei miei soliti giri per le
bettole della città, mi sembrò che il gatto evitasse la mia presenza. Lo afferrai e
quello, impaurito dalla mia violenza, mi fece con i denti una piccola ferita sulla 

60    mano. La furia di un demonio si impossessò di me rendendomi irriconoscibile
perfino a me stesso. Mi sembrò che la mia anima originale fosse volata via dal
mio corpo ed una cattiveria feroce, alimentata dal gin,7 invase tutte le fibre del
mio corpo. Presi dalla tasca un temperino,8 lo aprii, strinsi la povera bestiola
alla gola e deliberatamente gli cavai un occhio dall’orbita! Arrossisco, brucio, 

65    rabbrividisco nello scrivere di questa dannata atrocità.

Quando mi tornò la ragione al mattino – sbolliti nel sonno i fumi dell’orgia
notturna – provai un senso per metà di orrore e per metà di rimorso per il crimine
che avevo commesso; ma fu solo un sentimento superficiale ed equivoco,
l’anima non ne fu toccata. Mi tuffai di nuovo negli eccessi ed affogai nel vino 

70    tutti i ricordi del fatto.

Frattanto il gatto lentamente si era ripreso; l’orbita vuota dell’occhio aveva
un aspetto pauroso, ma sembrava che egli non sentisse più dolore. Girava
come sempre per casa ma, come era facile attendersi, filava via atterrito appena
mi avvicinavo. Mi era rimasto abbastanza del mio vecchio cuore da provare 

75    un certo dolore per l’evidente antipatia da parte della creatura che una volta
mi aveva amato. Questo sentimento si trasformò presto in irritazione e infine,
come un irrevocabile ribaltamento, comparve lo spirito della PERVERSITÀ.
Di quello spirito la filosofia non tiene conto; ma io non sono tanto sicuro
dell’esistenza della mia anima, quanto lo sono del fatto che questa forma di 

80    malvagità perversa è uno degli impulsi primordiali del cuore umano – una di
quelle inscindibili facoltà primarie, o sentimenti, che governano il carattere
dell’Uomo. Chi non si è trovato centinaia di volte a compiere un’azione vile
o stupida, per nessuna altra ragione di quella che non doveva farlo? Non abbiamo
forse una perpetua inclinazione a violare, a dispetto dei nostri migliori 

85    intendimenti,9 quella che è la Legge, soltanto perché comprendiamo che di
questa si tratta? Questo spirito di perversità causò la mia completa rovina.
Fu questa insondabile10 propensione dell’anima a torturare se stessa – a fare
violenza alla propria natura – a compiere il male per il piacere di farlo – che mi
spinse a continuare e portare a termine l’offesa che avevo inflitto all’inoffensiva 

90    bestiola. Una mattina, a sangue freddo, feci scorrere un cappio intorno al
suo collo e l’impiccai al ramo di un albero; l’impiccai mentre le lacrime mi cadevano
dagli occhi ed il più atroce rimorso tormentava il mio cuore. L’impiccai
perché sapevo che mi aveva amato e perché non mi aveva dato alcun motivo
di sentirmi offeso – l’impiccai perché sapevo che così facendo commettevo un 

95    peccato – un peccato mortale che avrebbe messo in pericolo la mia anima immortale
così da porla – se ciò fosse possibile – al di fuori persino dalla portata
della infinita misericordia del Dio Più Misericordioso e Terribile.

Nella notte che seguì al giorno in cui avevo compiuto quella crudele azione,
fui svegliato dal grido “Al fuoco”. Le cortine11 del mio letto erano in fiamme, 

100 l’intera casa bruciava. Con grande difficoltà mia moglie, una serva e io stesso
riuscimmo a sfuggire all’incendio. La distruzione fu così completa che tutto
il mio patrimonio venne divorato dalle fiamme e da allora mi ritrovai ridotto
alla disperazione.

Non ho la debolezza di cercare di stabilire un nesso di causa ed effetto, tra 

105 il disastro e le atrocità commesse, ma sto descrivendo una sequela di fatti e
non voglio tralasciare alcun legame tra di loro. Il giorno successivo all’incendio
andai a vedere le rovine. Le pareti, con una sola eccezione, erano crollate.
L’eccezione era costituita da una parete divisoria, posta all’incirca al centro
della casa, contro la quale prima dell’incendio era stata appoggiata la testa del 

110 mio letto. L’intonaco aveva qui resistito, in larga misura, all’azione del fuoco –
un fatto che attribuii alla circostanza che era stato rifatto da poco. Di fronte
a questa parete si era radunata una densa folla e molte persone sembrava
stessero esaminando con grande attenzione una particolare zona di essa. Le
parole “Strano!” “Singolare!” ed altre espressioni simili eccitarono la mia curiosità. 

115 Mi avvicinai e vidi, come scolpita in bassorilievo sulla parete bianca la
figura di un gigantesco gatto. L’immagine era di una esattezza sorprendente.
Attorno al collo dell’animale c’era una corda.

Quando vidi la prima volta questa apparizione – non posso classificarla diversamente
– la mia meraviglia e il mio terrore furono enormi; ma successivamente 

120 la riflessione mi venne in aiuto. Ricordai che il gatto era stato impiccato
in un giardino adiacente alla casa. Dopo l’allarme per l’incendio, quel giardino
si era immediatamente riempito di folla – qualcuno doveva aver staccato l’animale
dall’albero e averlo lanciato, attraverso una finestra aperta, dentro la
mia camera. Questo gesto era stato compiuto probabilmente con l’intento di 

125 svegliarmi. La caduta delle altre pareti aveva compresso la vittima della mia
crudeltà dentro l’intonaco ancora fresco, la cui calce con le fiamme e l’ammoniaca
della carcassa,12 aveva poi composto l’immagine
come la vedevo.

Sebbene io spiegassi così alla ragione, se non completamente 

130 alla coscienza, l’evento che ho illustrato,
esso non mancò di impressionare profondamente
la mia fantasia. Per mesi non riuscii a liberarmi del
fantasma del gatto e durante tale periodo affiorò nel
mio animo un mezzo sentimento che sembrava ma non era rimorso. Arrivai a 

135 dolermi a tal punto della perdita dell’animale da mettermi a cercare, nei ritrovi
malfamati che ora frequentavo abitualmente, un’altra bestiola della stessa
specie ed in qualche modo simile all’aspetto, in grado di prendere il posto.

Una notte, mentre giacevo in una taverna più che malfamata, mezzo intontito,
la mia attenzione fu attratta all’improvviso da qualcosa di nero che riposava 

140 sulla sommità di una delle enormi botti di gin e di rum,13 che costituivano
l’arredamento principale del locale. Stavo guardando da molto tempo e, con
mia sorpresa, non riuscivo a capire di che cosa si trattasse. Mi avvicinai a toccarlo
con la mano. Si trattava di un gattone nero, della stessa taglia di Plutone,
somigliante a lui sotto ogni aspetto, ad eccezione di uno. Plutone non aveva 

145 un solo pelo bianco in tutto il mantello, mentre questo gatto aveva una macchia
bianca di contorno indefinito che gli copriva quasi interamente il petto.

Appena lo ebbi toccato, si alzò immediatamente, fece le fusa, si strofinò
alla mia mano, felice del mio interessamento. Era proprio la creatura che stavo
cercando, quindi proposi al padrone del locale di comprarlo: ma questi non ne 

150 rivendicò il possesso – non lo conosceva affatto – non l’aveva mai visto prima.
Continuai ad accarezzarlo e quando mi apprestai a tornare a casa, l’animale
mostrò l’intenzione di accompagnarmi, glielo permisi ed ogni tanto lungo la
via mi mettevo ad accarezzarlo. Quando giunse a casa si trovò subito a suo
agio e divenne immediatamente il beniamino di mia moglie.

155 Da parte mia, invece, sentii subito sorgere dentro di me una cupa antipatia
per l’animale. Era proprio il contrario di quello che avevo previsto, ma – non
so come e perché – la sua evidente predilezione per me, mi procurava piuttosto
fastidio e disgusto. Poi, piano piano, l’avversione ed il fastidio sfociarono
nell’amarezza dell’odio. Evitavo l’animale, ma un certo senso di vergogna e il 

160 ricordo del mio precedente atto di crudeltà, mi impedivano di maltrattarlo.
Per molte settimane non lo picchiai né gli usai altre forme di violenza ma, gradualmente,
arrivai a guardarlo con insopprimibile ripugnanza14 e a sfuggire la
sua odiosa presenza come la peste.

Quello che, senza dubbio, aumentò il mio odio per la bestia, fu la scoperta, 

165 fatta il mattino dopo il suo arrivo in casa, che anche lui era privo di un occhio
come Plutone. Questa circostanza lo rese, invece, più caro a mia moglie, che,
come ho già detto, possedeva in alto grado quell’umanità di sentimenti che
una volta erano una mia peculiare caratteristica nonché la fonte dei miei più
semplici e più puri piaceri.

170 Ma la predilezione del gatto nei miei confronti sembrava crescere con la mia
avversione. Seguiva ogni mio passo con una tenacia che è difficile far comprendere
al lettore. Quando sedevo, si accucciava sotto la mia sedia o saltava sulle
mie ginocchia coprendomi di odiose moine.15 Se mi alzavo, mi si metteva tra i
piedi a rischio di farmi cadere o piantava i suoi lunghi aguzzi artigli nelle mie 

175 vesti per arrampicarmisi sul petto. Mi veniva allora voglia di distruggerlo con un
colpo, ma mi tratteneva dal farlo il ricordo del mio precedente delitto e ancor di
più – lasciatemelo confessare – il cieco terrore che mi ispirava la bestia.

Non era esattamente un terrore fisico, anche se ho difficoltà a definirlo diversamente.
Quasi mi vergogno a confessare – sì anche in questa cella di delinquenti, 

180 quasi mi vergogno a confessare – che il terrore e l’orrore che l’animale
mi ispirava è stato alimentato da una specie di chimera tra le più difficili da
concepire. Mia moglie aveva richiamato la mia attenzione, più di una volta,
sulla conformazione della macchia bianca, della quale vi ho parlato, e che costituiva
la sola visibile differenza tra questa strana bestia e quella che avevo 

185 distrutto. Il lettore ricorderà che questa macchia era sì grande, ma aveva originariamente
contorni indefiniti. Ora a grado a grado, quasi impercettibilmente,
anche se la mia ragione si sforzava di respingere la cosa come assolutamente
fantastica, la macchia aveva finito per assumere una forma ben precisa e distinta.
Essa era la precisa rappresentazione di un oggetto che rabbrividisco 

190 solo a nominare – e per questo, soprattutto, avevo ripugnanza e paura del mostro,
del quale avrei voluto liberarmi se ne avessi avuto il coraggio – era adesso,
dico, l’immagine di una cosa orribile, spaventosa, la FORCA16 – oh! la lugubre,
terribile macchina dell’Orrore e dei Crimini, dell’Agonia e della Morte!

E ora io ero veramente misero al di là della peggiore miseria dell’Umanità. 

195 Una bestia bruta – quella della quale avevo sprezzantemente distrutto il compagno
– una bestia bruta causava in me – a me, uomo creato a immagine e
somiglianza d’Iddio – un così insopportabile dolore! Ahimè! Né di giorno, né
di notte ebbi più il conforto del riposo! Durante il giorno la creatura non mi
lasciava solo un istante, e durante la notte, ad ogni ora, mi destavo da sogni 

200 di inesprimibile orrore, per trovarmi il fiato caldo della cosa sul volto ed il suo
enorme peso – come di un fantasma notturno incarnato che non ero in grado
di scrollare via – eternamente incombente nel cuore.

Sotto la pressione di tali tormenti, quel poco di buono che c’era ancora in
me scomparve del tutto. Pensieri malvagi, i più neri e i più malvagi dei pensieri, 

205 divennero i miei soli padroni. La rudezza17 abituale del mio carattere divenne
odio per tutte le cose, per tutta l’umanità, così che degli improvvisi, frequenti
e incontrollabili scoppi di furia alla quale ciecamente mi abbandonavo, divenne
vittima sempre più frequentemente, ahimè! la mia povera moglie, che, paziente,
sopportava tutto senza lamenti.

210 Un giorno ella mi accompagnò, per una qualche faccenda domestica da
sbrigare, nella cantina del vecchio edificio nel quale la nostra povertà ci costringeva
ad abitare ed il gatto, seguendomi giù per la scala, mi fece quasi
ruzzolare18 a capofitto, irritandomi fino all’esasperazione. Afferrata un’ascia,
dimenticando, nella mia furia, la paura infantile che aveva sempre trattenuto 

215 la mia mano, vibrai all’animale un colpo che, se fosse disceso su di lui come
volevo, sarebbe stato mortale. Ma il colpo venne fermato dalla mano di mia
moglie. Il suo intervento mi trascinò in una furia ancora più demoniaca; svincolai
il braccio dalla sua stretta e le affondai la scure nel cervello. Ella cadde
senza vita sul posto senza emettere un lamento.

220 Compiuto l’orrendo delitto, mi accinsi con grande determinazione al compito
di nascondere il corpo. Sapevo di non poterlo rimuovere dall’edificio, né di
giorno né di notte, senza correre il rischio di essere scorto dai vicini. Mi vennero
in mente tanti progetti. Per un momento pensai di tagliare il corpo in tanti
pezzi e di distruggerlo con il fuoco, poi di scavare una fossa nel pavimento e 

225 seppellirvelo, camuffandola come se contenesse della merce e incaricando poi
un facchino di portarla via. Infine scelsi quello che mi sembrò l’espediente migliore
tra tutti quelli pensati. Decisi di murare il cadavere in una parete della
cantina, come si legge facessero i monaci del Medio-Evo con le loro vittime.

La cantina sembrava particolarmente adatta a tale scopo. Le sue pareti erano 

230 state costruite alla buona e intonacate da poco con una malta19 grossolana
che non si era indurita per effetto dell’umidità dell’ambiente. Inoltre in una
delle pareti c’era una sporgenza dovuta forse a un falso caminetto o focolare,
che era poi stato riempito e reso somigliante al resto della cantina. Non avevo
dubbi di poter estrarre facilmente i mattoni, inserire il cadavere, e murare di 

235 nuovo in modo che nessuno potesse mai scoprire qualcosa di sospetto. Non
avevo sbagliato i calcoli. Rimossi con una leva i mattoni, deposi poi con cura
il corpo puntellandolo contro la parete interna e con poca fatica ricostruii la
struttura del muro tale e quale era prima. Mi procurai calce e sabbia e con
ogni possibile precauzione preparai un intonaco che non poteva assolutamente 

240 essere distinto dal vecchio e lo distesi con ogni cura sulla nuova parete di
mattoni. Alla fine fui molto soddisfatto del lavoro. Tutto quadrava, la parete
non presentava la minima traccia di manomissione.20 Asportai con la massima
attenzione tutti i detriti dal pavimento e mi guardai intorno trionfante, dicendomi:
“Qui almeno il mio lavoro non è stato inutile”.

245 Il mio successivo atto fu quello di ricercare la bestia che era stata causa di
tanto grave sciagura, perché avevo deciso di metterla a morte. Se ci fossi riuscito
in quel momento, non vi sarebbe stato alcun dubbio sulla sua sorte; e invece
l’astuto animale, allarmato dalla violenza della mia collera, evitò di comparirmi
davanti. È impossibile descrivere il profondo senso di sollievo che mi pervase per 

250 l’assenza della odiata creatura. Non si fece vivo neanche durante la notte e quindi
almeno per una volta, da quando si era introdotto in casa mia, dormii profondamente
e tranquillamente; sì, dormii perfino col peso del delitto sulla coscienza!

Passarono il secondo e il terzo giorno senza che il mio tormentatore tornasse.
Respiravo di nuovo come un uomo libero. Il mostro, terrorizzato, era fuggito via 

255 per sempre e non lo avrei più visto! La mia felicità era al culmine! La colpa del
mio tenebroso misfatto non mi turbava più di tanto. Mi avevano rivolto domande
alle quali avevo risposto con disinvoltura. Perfino le indagini avviate, non avevano
dato alcun esito ed io guardavo ormai con sicurezza alla mia futura felicità.

Il quarto giorno dopo l’assassinio, una squadra della polizia irruppe inaspettatamente 

260 nella mia casa per eseguire una rigorosa ispezione. Ciò nonostante
mi sentivo sicuro del nascondiglio scelto e non mostrai il benché minimo
imbarazzo. Gli agenti chiesero che li accompagnassi nella loro ispezione,
che non lasciò inesplorato né un angolo né un cantuccio. Alla fine discesero
per la terza o la quarta volta nella cantina. Non un muscolo mi tremò; il mio 

265 cuore batteva calmo come quello di chi dorme innocente. Passeggiavo su e giù
per la cantina, le braccia incrociate sul petto, aggirandomi qua e là. I poliziotti
si mostravano del tutto soddisfatti e si preparavano ad andarsene. La gioia che
mi riempiva il cuore era troppo intensa perché potessi trattenermela dentro.
Bruciavo dal desiderio di dire qualcosa, di trionfare, ed anche di rendere ancora 

270 più marcata la loro convinzione della mia innocenza.

«Signori», dissi alla fine mentre la squadra saliva le scale, «sono lieto di aver
dileguato i vostri sospetti. Vi auguro buona salute ed un po’ più di cortesia. Tra
l’altro, signori, questa – questa è proprio una casa ben costruita». In preda alla
voglia matta di dir qualcosa, non mi rendevo conto di quanto andavo blaterando… 

275 «Posso dire che questa è una casa costruita in modo eccellente. Queste pareti – ve
ne andate, signori? – queste pareti sono costruite solidamente». E qui, in un eccesso
di spavalderia, colpii pesantemente con un bastone che avevo in mano proprio
il tratto di muro dietro il quale era celato il cadavere della sposa del mio cuore.

Possa mai21 Iddio proteggermi e liberarmi dalla zanna dell’arcidiavolo! – 

280 non si era ancora spenta l’eco del mio colpo di bastone, che una voce rispose
all’interno della tomba! – con un lamento, dapprima smorzato e rotto, come il
pianto di un bambino, salito poi rapidamente ad un lungo, intenso, continuo
urlo, assolutamente inumano, bestiale, – un ululato – un grido sconvolgente,
per metà di orrore per metà di trionfo, quale avrebbe potuto venire solo 

285 dall’inferno, unitamente dalle gole dei dannati nella loro agonia e dei demoni
esultanti nella dannazione.

Di quello che mi passò per la testa, sarebbe assurdo parlare. Sentendomi
svenire, mi appoggiai alla parete opposta. Per un attimo i poliziotti rimasero
immobili, in preda ad una sorta di irrazionale terrore. Subito dopo una dozzina 

290 di robuste braccia presero a demolire la parete, che cadde tutta insieme. Il cadavere,
in avanzato stato di decomposizione, intriso di sangue rappreso, stava
eretto davanti agli occhi degli spettatori. Sulla sua testa, con la rossa bocca
spalancata, con l’unico occhio di fuoco, stava l’orrenda bestia la cui astuzia mi
aveva portato al delitto e la cui voce rivelatrice mi aveva consegnato al boia. 

295 Avevo murato il mostro dentro la tomba.


Edgar Allan Poe, Tutti i racconti del mistero, dell’incubo e del terrore, trad. di D. Palladini, Newton Compton, Roma 2014

 >> pagina 305 

A tu per tu con il testo

L’orrore più intenso, quello più difficile da reggere, non nasce dagli sbudellamenti, degni di una macelleria, ai quali troppi scrittori e registi oggi si abbandonano: esplode nel cuore della normalità, spiazzandoci. Tanti di noi, nell’infanzia, si sono affezionati a un animale, che fosse un pesciolino, un coniglio, un cane, o magari un gatto nero come il carbone. Poe parte da quest’esperienza comune per trascinarci in un incubo, per scaraventarci nella mente disturbata di un condannato a morte. Un uomo senza nome, alla deriva, racconta in prima persona la sua storia, delineando la parabola che lo trasforma da ragazzo sereno e persino tenero in sadico alcolizzato, e da ultimo addirittura in un assassino. E tutto questo perché? Quanto contano il gin, il rum, il vino e quanto la “perversità”, il gusto di compiere il male gratuitamente, senza tornaconto, per il piacere di fare soffrire gli altri, che prima o poi ci sfiora? Chi non si è trovato centinaia di volte a compiere un’azione vile o stupida, per nessuna altra ragione di quella che non doveva farlo? (rr. 82-83). La letteratura non ci mette di fronte soltanto agli aspetti più nobili del cuore umano: ci insegna anche a fare i conti con i nostri più bassi istinti. Per questo non possiamo leggere Il gatto nero senza avvertire un brivido.

Analisi

Il narratore insiste sulla propria salute mentale, cercando di convincere il lettore che non ha a che fare con i deliri di un disperato: Matto non sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi voglio liberarmi l’anima (rr. 4-5). La sua è la confessione di un prigioniero alla vigilia dell’esecuzione: a parlare è un uomo che non ha più nulla da perdere, senza interesse a mentire, voglioso di raccontare e non di salvare la pelle. Tuttavia la sua ossessiva insistenza sulla sincerità è sospetta; inoltre ammette di avere un carattere eccitabile, di aver mentito senza problemi alla polizia, di esser stato preda di fantasmi costruiti dalla sua immaginazione o indotti dai fumi dell’alcol, del quale abusa. Fino a che punto si può credere a chi non è neppure in grado di spiegare le ragioni del proprio comportamento e le cause delle disgrazie che l’hanno colpito?

Lentamente, il tarlo del dubbio si insinua nel lettore, e il racconto scivola verso il fantastico. L’ottica soggettiva offre una visione distorta dell’accaduto. La verità somiglia a un’ombra intravista dietro un vetro smerigliato. Il gatto Plutone (un nome che evoca il dio dei morti nella mitologia antica) da amico affettuoso si trasforma in antagonista: la sua natura demoniaca, in sintonia con la superstizione che vede nel gatto nero un segno di sventura, determina la trasformazione in negativo del narratore, il quale fa di tutto per sbarazzarsene. Dopo l’assassinio di Plutone, la casa prende fuoco; poi, a incendio domato, il profilo del felino barbaramente ucciso compare stampigliato sul muro. Questa e altre coincidenze sorprendenti spingono a diffidare delle astruse spiegazioni fornite dal narratore e a ipotizzare l’intervento di forze soprannaturali.

 >> pagina 306 

La suspense nel contempo cresce, perché tutto è già successo, ma non conosciamo nello specifico il delitto che ha determinato la condanna a morte del narratore. Certo non si tratterà dell’uccisione di un secondo gatto, che compare a un certo punto sulla scena (rr. 138 e sgg.), incontrato per caso in una taverna e divenuto presto il beniamino della moglie. L’animale, guarda caso, ha una macchia bianca sul petto, nella quale il protagonista riconosce una forca, immagine inquietante che accende, al tempo stesso, un ricordo e una profezia: ricordo perché l’impiccagione è il supplizio che ha fatto patire a Plutone, profezia perché quel segno inquietante prefigura il destino che lo attende.

In breve il secondo gatto si attira il medesimo incontenibile odio già riservato a Plutone. La scena clou del racconto si svolge in un luogo domestico e sinistro al tempo stesso: la cantina, spazio chiuso, degradato e claustrofobico, nel quale la ragione cede il passo agli istinti brutali. Qui, il protagonista, nel tentativo maldestro di colpire il gatto con un’accetta, uccide accidentalmente la moglie, che si frappone per salvare la bestiola. A questo punto il Male dilaga senza ostacoli. Al delitto d’impulso, tratteggiato in poche righe, segue una puntigliosa descrizione dell’occultamento del cadavere, murato in una parete come si legge facessero i monaci del Medio-Evo con le loro vittime (r. 228). Il racconto pare spostarsi verso il giallo, con relativo intervento delle forze dell’ordine, che non riescono a scoprire nulla. Ma un urlo sconvolgente, per metà di orrore per metà di trionfo (r. 284), in extremis riporta in scena il gatto, che appare ritto sul cadavere putrefatto, nelle sue vere e definitive sembianze di “mostro” vendicatore: il suo atroce miagolio rivela la verità taciuta, consegnando l’assassino al boia.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Dividi il testo in quattro macrosequenze e assegna a ciascuna un titolo.


2. Chi, per primo, mette in guardia il protagonista sulla natura del gatto? Con quali motivazioni?


3. Per quale motivo il carattere del protagonista, a un certo punto, peggiora drasticamente?

  • a Ha dei contrasti con la moglie. 
    b È irritato da Plutone. 
  • c È malato. 
  • d Beve troppo. 


4. Quando il protagonista porta a casa il secondo gatto, che cosa finisce per renderglielo repellente? (sono possibili più risposte)

  • a Il pelo nero come quello di Plutone. 
    b La mancanza di un occhio. 
  • c L’affetto che la moglie prova per il gatto. 
  • d Le moine del gatto. 
  • e La macchia bianca sul petto, che sembra una forca. 


5. Che cosa intende il narratore quando, riflettendo sul concetto di perversità, parla della Legge (r. 85)?

  • a Le norme scritte che regolano la convivenza civile. 
    b La legge morale, insita naturalmente nell’uomo. 
  • c La Legge biblica. 
  • d Il Codice Penale. 


6. Quali sono i motivi per cui il protagonista uccide la moglie?

 >> pagina 307 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

7. Nel corso del racconto, il narratore invoca più volte l’intervento della ragione e della logica a bilanciare la deriva folle e fantastica della vicenda. Individua nel testo questi passaggi.


8. Il primo passo del protagonista verso il degrado è l’alcolismo: quali sono gli effetti provocati dall’alcol su di lui?


9. Il sentimento del protagonista verso i suoi gatti si trasforma nel tempo: individua nel testo le parole e le espressioni che ti consentono di seguire il degradarsi dell’affetto iniziale.


Nei confronti

di Plutone

 

Nei confronti

del secondo gatto

 

10. Come spieghi il comportamento del protagonista di fronte alla polizia? Esponi le tue considerazioni.

COMPETENZE LINGUISTICHE

11. Lessico. Sinonimi e contrari. Per mostrarci il tormento del protagonista, Poe inserisce spesso, a poca distanza l’uno dall’altro, due termini fra loro contrari, come nella frase un peccato mortale che avrebbe messo in pericolo la mia anima immortale (rr. 95-96). In molti casi è possibile formare il contrario di un aggettivo o di un verbo anteponendogli un prefisso come in- (con le varianti ortografiche im-, ir-, il-), dis- e s-.

Con l’aiuto del dizionario, completa la tabella.


 

in- (im-, ir-, il-)

dis-

s-

Aggettivi

felice/infelice

 

conosciuto/sconosciuto

Verbi

 

fare/disfare

 

PRODURRE

12. Scrivere per RACCONTARE La scena dell’ispezione in cantina è raccontata in prima persona, dal punto di vista del protagonista, secondo una delle tecniche tipiche della narrativa fantastica e horror. Se invece il racconto fosse un giallo, la narrazione sarebbe condotta, molto probabilmente, da un narratore esterno con focalizzazione esterna. Prova a riscrivere il passo (da Il quarto giorno dopo l’assassinio, r. 259, alla fine) utilizzando questa seconda tecnica.


13. Scrivere per RACCONTARE Immagina un dialogo tra il protagonista e la moglie, da collocare in un punto del testo a tuo piacimento (massimo 15 righe). Nel dialogo devi inserire almeno due domande con le relative risposte e due frasi esclamative.

spunti di ricerca interdisciplinare

Scienze

L’alcolismo è il primo passo del protagonista verso il degrado morale e la follia. Ma quali sono gli effetti, fisici e psicologici, dell’abuso di alcol? Con l’aiuto dell’insegnante di scienze, fai una ricerca in merito.

Storia

Il gatto era ritenuto dagli Egizi una divinità: fai una breve ricerca sull’importanza di questo felino nella loro civiltà.

spunti per discutere in classe

Che cosa pensi della riflessione del protagonista sulla perversità? Anche tu ritieni che in tutti gli uomini esista un’innata predisposizione alla malvagità, oppure che essa sia dovuta a fattori esterni?

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa