T3 - Maurizio de Giovanni, Poverini

T3

Maurizio de Giovanni

Poverini

  • Tratto da L’ultimo passo di tango, 2017
  • racconto noir

Maurizio de Giovanni nasce a Napoli nel 1958, dove si laurea in Lettere classiche. Lavora per molti anni in banca e intraprende l’attività letteraria solo nel 2005, quando inventa la figura del commissario Luigi Alfredo Ricciardi, protagonista del suo primo giallo, Le lacrime del pagliaccio (2006). È l’inizio di una serie: ripubblicato nel 2007 con il titolo Il senso del dolore, il romanzo è seguito da una decina di polizieschi, ambientati nella Napoli degli anni Trenta, in cui Ricciardi risolve una serie di casi sia con i classici metodi d’investigazione sia grazie alla sua sovrannaturale capacità di entrare in contatto con gli spiriti degli assassinati. A questa serie poliziesca, dal 2013 se ne aggiunge una seconda, di ambientazione contemporanea e intitolata I bastardi di Pizzofalcone, dal quartiere di Napoli in cui si svolgono i fatti.

Siamo in montagna, in un luogo isolato: un oscuro personaggio, nei pressi del bosco, progetta qualcosa di mostruoso...

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Audiolettura

Quanta ne è venuta giù, stanotte. Tanta,
davvero tanta.

Quando ne fa tanta, io comincio a preparare
la  baita. Perché so che se ne crea 

5      un grosso mucchio dietro la curva della
strada provinciale, dietro gli alberi fitti
del bosco. E di sicuro qualche povero turista
senza la trazione integrale1 ci finisce
dentro, e non va né avanti né indietro.

10    Allora, di notte, si guardano attorno,
poverini; pensano che fa freddo e che
fino alla mattina non passerà nessuno per aiutarli. Si spaventano, poverini; e
cercano riparo. Il bosco d’inverno fa paura, sapete; si pensa ai lupi, agli orsi,
agli uccelli notturni e a chissà quale altra bestia che ti guarda dal buio.

15    Allora vedono la baita, calda e illuminata, e io li ricevo con tutti gli onori e
li ospito. Preparo il fuoco, le coperte, il vino caldo; metto su un po’ di musica,
così, poverini, si sentono a casa.

E affetto il prosciutto di cervo, e il formaggio di capra stagionato, e il pane
croccante abbrustolito, con un filo d’olio buono.

20    La carne no.

La carne la portano loro.


Maurizio de Giovanni, L’ultimo passo di tango, Garzanti, Milano 2017

 >> pagina 295 

A tu per tu con il testo

Sappiamo sempre riconoscere il male? Distinguiamo a prima vista i buoni dai malvagi? Il racconto ci mostra che la realtà può rapidamente cambiare faccia: una cortesia può celare una crudele minaccia; un’offerta di amicizia può nascondere pericolosi secondi fini; l’attenzione gentile può rivelarsi, in un batter d’occhio, una malvagia forma di adescamento. È una sconcertante metamorfosi che ci dà i brividi, come la scena di un film horror che rivela, dietro l’affabile sorriso del bonario montanaro, il satanico ghigno del predatore pronto all’aggressione. Come una favola nera, la narrazione instilla nei nostri animi un turbamento sottile ma persistente, perché fa vedere come malvagità e cattiveria siano in agguato anche là dove meno ce l’aspettiamo.

Analisi

Nella sua brevità, il racconto ci fa provare un improvviso e intenso shock. In poche righe, infatti, l’autore tratteggia la figura di un personaggio all’apparenza premuroso e cortese. Tale apparenza, però, risulta completamente smentita dalle ultime frasi, che ribaltano le nostre impressioni iniziali: la lapidaria chiusura del testo allude al terribile scopo della falsa generosità verso i viaggiatori sfortunati, attratti nella baita per un feroce intento omicida.

Questa sconcertante scoperta getta una luce sinistra sull’intero racconto e fa riconsiderare, con occhi nuovi, i particolari della vicenda. Così la preoccupazione per i poveri turisti rivela il disprezzo per la loro sprovvedutezza; la compassione per la loro disavventura si tinge di sarcasmo; la preparazione dello spuntino è l’agghiacciante anticipazione di un pasto orribile che, non descritto, viene lasciato all’immaginazione.

L’assassino si rivolge direttamente al lettore, che ne ascolta la paradossale confessione e che resta colpito dalla raggelante assenza di umanità. Il disagio che sentiamo, ascoltando il killer, proviene in gran parte dall’assenza di giustificazioni che spieghino i suoi folli gesti. Che cosa gli hanno fatto gli ignari turisti che bussano alla sua porta? Per quale ragione assalire qualcuno che non abbiamo mai visto prima? Un movente razionale non c’è e ciò ci perturba nel profondo perché obbliga a guardare dentro una mente malata, dentro una follia che non possiamo comprendere.

Ma più dell’irrazionalità, ciò che maggiormente disorienta è la completa assenza di emozioni: senza rabbia, senza odio, senza furore, l’omicida procede secondo un rituale freddamente preparato. Privo di empatia per i suoi simili, il narratore infrange alcuni fondamentali tabù morali: non riconosce solidarietà o compassione per i viaggiatori in difficoltà; approfitta di chi ha paura invece di aiutarlo; viola senza esitazione l’intoccabilità dell’ospite; tradisce, con l’oltraggio del cannibalismo, la fiducia di chi gli si è affidato. Nelle poche righe del racconto si compie in tal modo un breve ma inquietante viaggio nell’oscurità di una mente distorta.

La vicenda si svolge ai giorni nostri. Nonostante questo, però, un’atmosfera irreale sembra diffondersi nel testo: un’isolata baita (r. 4); il bosco pauroso e popolato di animali minacciosi, la casetta calda e illuminata (r. 15) sono dettagli che conferiscono un vago andamento fiabesco a questo noir. Non siamo, infatti, di fronte a un giallo classico: non c’è investigazione, il criminale non viene catturato, forse solo noi e le sue vittime sappiamo che esiste. È proprio lui in prima persona che ci parla e che, confessandoci i suoi crimini, ci irretisce nelle spire della sua malvagità, di cui diventiamo testimoni e complici.

All’ambigua fascinazione subita dal lettore contribuiscono le efficaci scelte linguistiche della voce narrante, caratterizzate in modo vistoso dalla ripetizione. Notiamo, per esempio, la presenza costante dell’aggettivo poverini (r. 11), che comunica al lettore un’indefinibile impressione di commiserazione e di sarcasmo insieme. E, con un drammatico effetto, ci colpisce l’insistenza sulla parola chiave carne (rr. 20 e 21) alla fine del racconto. In tal modo, anche attraverso il linguaggio lo scrittore rappresenta, sulla pagina, la ripetitività del serial killer, l’ossessiva ritualità dei suoi delitti.

 >> pagina 296 

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Le prime righe del racconto alludono, senza mai descriverle direttamente, alle eccezionali condizioni atmosferiche che fanno scattare la follia omicida. Che cosa è accaduto durante la notte?


2. Perché per il narratore è importante il dettaglio della trazione integrale (r. 8)?


3. Che cosa capiamo dall’ultima frase: La carne la portano loro (r. 21)?

Analizzare e interpretare

4. Da che cosa si comprende che la vicenda è ambientata ai giorni nostri?


5. In quale area geografica possiamo collocare la vicenda?


6. Ciò che il narratore tace è importante quanto ciò che racconta. Quali elementi restano nell’ombra?


7. A che cosa allude il narratore quando dice chissà quale altra bestia che ti guarda dal buio (r. 14)?

Competenze linguistiche

8. Scegli, per le seguenti parole del testo, il sinonimo più adeguato al contesto.


a) crea (r. 4)

  • forma
  • plasma


b) grosso (r. 5)

  • largo
  • cospicuo

c) povero (r. 7)

  • indigente
  • sfortunato

d) vedono (r. 15)

  • contemplano
  • notano

e) ricevo (r. 15)

  • accolgo
  • recepisco

f) preparo (r. 16) 

  • allestisco
  • pianifico

9 Associa le parole dell’esercizio precedente ai loro contrari.


a) creare 

b) grosso 

c) povero 

d) vedere 

e) ricevere 

f) preparare 


  • a) respingere
  • b) smantellare
  • c) esiguo
  • d) fortunato
  • e) ignorare
  • f) dissolvere

Scrivere correttamente

10 Il brano è quasi tutto al tempo presente. Riscrivi i due passaggi riportati al tempo passato, cambiando opportunamente i verbi, come se il narratore raccontasse qualcosa che accadeva regolarmente un tempo.


Quando ne fa tanta, io comincio a preparare la baita. Perché so che se ne crea un grosso mucchio dietro la curva della strada provinciale, dietro gli alberi fitti del bosco. E di sicuro qualche povero turista senza la trazione integrale ci finisce dentro, e non va né avanti né indietro (rr. 3-9).

Allora, di notte, si guardano attorno, poverini; pensano che fa freddo e che fino alla mattina non passerà nessuno per aiutarli. Si spaventano, poverini; e cercano riparo (rr. 10-13).

Produrre

11 Scrivere per RACCONTARE Immagina di essere un turista nei pressi della baita del narratore. Prova a riscrivere la storia dal tuo punto di vista.

La dolce fiamma - volume A
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Narrativa