LE TECNICHE

1 il narratore

  • Chi narra e chi legge
  • Le tipologie di narratore
  • Il punto di vista
  • Le parole dei personaggi
  • I pensieri dei personaggi

Come analizzare

F. Dostoevskij, Un vagabondo a San Pietroburgo, p. 46


Analizziamo insieme  RC

K. Mansfield, Il primo ballo, p. 49


Analizza tu  RC

E. De Luca, A forma di altare, p. 54

1. Chi narra e chi legge

L’autonomia della voce

Il testo narrativo – di qualunque genere esso sia – è una storia, e ogni storia ha bisogno di una voce che la racconti. In un romanzo o in una novella, ma anche in un poema o in certi film, questo ruolo fondamentale è svolto dal narratore, detto anche “voce narrante”.

Il narratore è uno degli ingranaggi più importanti del meccanismo narrativo: è il canale attraverso cui si comunica al lettore lo svolgersi di una vicenda (personaggi, eventi, descrizioni, emozioni ecc.). Nelle epoche antiche i cantastorie, veri e propri narratori “viventi”, recitavano lunghi poe­mi di fronte al pubblico. La letteratura dell’era moderna si basa invece sulla lingua scritta e letta: di norma, non c’è nessuna persona reale a raccontarci la storia, ma siamo noi stessi, attraverso la lettura, a immaginare una voce che ci parla con le parole del testo, guidandoci nel suo universo immaginario.

Il narratore non va confuso con l’autore, che è, invece, la persona reale che ha scritto l’opera: egli esiste solo nel testo, e sta “in mezzo” tra l’autore e il lettore. Sebbene il narratore sia una voce fittizia costruita dall’autore, il primo può avere idee e caratteri molto diversi dal secondo. Anche nelle autobiografie, le due figure vanno sempre tenute distinte: in questo caso l’autore costruisce un “doppio” che, sebbene porti il suo stesso nome, è a tutti gli effetti un altro individuo: egli può cambiare le carte in tavola consapevolmente, per dare una certa idea di se stesso, o falsare la propria storia anche in modo non intenzionale. Ogni racconto contiene infatti un margine ineliminabile di soggettività e di finzione, anche quando si ispira a fatti o persone reali.

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Il patto narrativo

La voce narrante è uno dei principali strumenti che contribuiscono all’esistenza e alla tenuta di un patto narrativo, una sorta di tacito accordo che lega l’autore e il lettore.

Prendiamo come esempio l’inizio di Germinale, un romanzo di fine Ottocento scritto dal francese Émile Zola (1840-1902). Lasciamo che la scena si materializzi sotto i nostri occhi mentre leggiamo.

ZOLA

In mezzo all’aperta pianura, sotto un cielo senza stelle, nero d’un nero d’inchiostro, un uomo percorreva, solo, la strada maestra tra Marchiennes e Montsou;1 dieci chilometri di massicciata2 che si lanciava in linea retta attraverso campi di barbabietole. Quasi non vedeva dove metteva i piedi; e dell’immenso orizzonte piatto che lo circondava aveva solo sentore per le raffiche del vento di marzo: vaste raffiche che spazzavano la pianura come un mare; gelate da leghe e leghe di palude e di landa sulle quali erano passate. Non un profilo d’alberi sul cielo; diritta come un molo, la strada si protendeva in un buio impenetrabile allo sguardo.

Émile Zola, Germinale, Einaudi, Torino 1998

Già dopo poche frasi siamo catapultati in uno scenario inquieto e misterioso. Chi è l’uomo che cammina nel vento? Perché avanza quasi a tastoni nell’oscurità? Quale segreto si nasconde nel paesaggio desolato? Anche se abbiamo ancora pochissime informazioni, la voce narrante ci incatena e ci affascina, spingendoci a continuare la lettura per saperne di più.

Alla base del patto narrativo si trova un meccanismo chiamato dai critici “volontaria sospensione dell’incredulità”, che consiste appunto nella fiducia che il lettore ripone nelle parole del narratore. Tramite tale complicità il lettore accetta di entrare nell’universo creativo dell’opera, senza metterlo mai in discussione anche se è consapevole che esso è frutto di un’invenzione: ciò significa vivere con coinvolgimento emotivo le avventure raccontate nei libri, amarne o odiarne i personaggi, conoscere i segreti che l’autore ha voluto nascondervi e, soprattutto, divertirsi. La letteratura è infatti un’esperienza immersiva, che ci avvolge e cattura, facendo leva sull’attitudine umana a fabbricare e abitare mondi immaginari o diversi da quelli che viviamo e frequentiamo: aprire un libro o accendere un e-­reader significa farsi trasportare da una voce in mondi invisibili agli occhi ma pieni di sorprese, emozioni e tesori che altrimenti non avremmo modo di conoscere.

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2. Le tipologie di narratore

Il narratore interno ed esterno e i gradi della narrazione

Le scelte che riguardano la fisionomia e le caratteristiche del narratore sono cruciali per la costruzione del testo. Il narratore è un personaggio della storia oppure si colloca al suo esterno? Coincide con il protagonista oppure è un personaggio secondario, testimone delle peripezie dell’eroe? Possiamo fidarci di lui o è pronto a giocarci brutti scherzi?

Il narratore è interno quando è un personaggio presente nella storia: può coincidere con il protagonista o con un personaggio secondario (testimone) che assiste alle vicende senza influire direttamente sul loro corso. Nel primo caso, è molto frequente che esso riporti circostanze accadute in precedenza: si crea così una differenza tra l’io narrante, che racconta la storia, e l’io narrato, che appartiene invece al passato in cui si sono svolti gli eventi. Per esempio, nei romanzi biografici detti “di formazione”, l’io narrato si congiunge con l’io narrante soltanto alla fine, dopo le avventure che ne segnano la crescita, non solo anagrafica ma anche esistenziale.

In generale, l’uso di un narratore interno può aumentare l’immedesimazione nella lettura, perché tendiamo a essere più coinvolti dalla voce di chi ha vissuto “in prima persona” le vicende della storia. Inoltre, il narratore interno è solitamente portatore di una visione soggettiva, e quindi parziale, dei fatti: se è un personaggio preciso a raccontare, la storia viene filtrata dal suo personale punto di vista, e spesso coincide con una interpretazione tendenziosa degli eventi.

Leggiamo un brano tratto da Vocazione, un racconto di Cesare Pavese (1908-1950):

Pavese

In quei tempi ogni mia abitudine era saltata in aria e certe volte mi ritrovavo a notte alta in qualche strada dei sobborghi, e camminavo ancora, deciso a far l’alba in piedi. Me ne andavo con ogni sorta di pretesti, e di preferenza nei paraggi fuori mano. Certe ore del giorno le centellinavo irrequieto su questo o quell’angolo. A ripensarci, oggi, è strano che tanta inquietudine la quale insomma voleva dire che non sapevo più vivere da solo – e infatti, parte del giorno e della notte non vivevo più solo – mi sia rimasta in mente come una smania di solitudine, come una sazietà, quasi una nausea della sola presenza che allora cercavo. A farla breve, ero innamorato.

Cesare Pavese, Vocazione, in Racconti, Einaudi, Torino 1960

Il narratore è invece esterno quando non coincide con un personaggio della vicenda, ma riporta i fatti senza esserne direttamente coinvolto. Di frequente utilizza la terza persona per raccontare gli eventi da una prospettiva distaccata, come se venissero visti da fuori; tuttavia, a volte può usare anche la prima persona, specialmente per aggiungere commenti personali alla narrazione.

Leggiamo questo brano tratto dal romanzo storico Ivanhoe dello scozzese Walter Scott (1771-1832):

Scott

Il lettore non può avere dimenticato che l’esito del torneo era stato deciso dall’intervento di un cavaliere sconosciuto che, a causa del comportamento passivo e indifferente tenuto nella prima parte della giornata, era stato soprannominato dagli spettatori Le Noir Fainéant.3 Questo cavaliere aveva abbandonato il campo quando la vittoria era ormai acquisita e allorché l’avevano chiamato a ricevere il premio del suo valore non era stato possibile rintracciarlo. Nel frattempo mentre araldi e trombe lo invitavano a presentarsi, il cavaliere si dirigeva verso nord, evitando tutte le strade frequentate e prendendo la via più breve attraverso i boschi. Trascorse la notte in una piccola locanda fuori mano dove tuttavia venne a sapere da un menestrello errabondo dell’esito del torneo.

Walter Scott, Ivanhoe, Garzanti, Milano 1979

In alcuni casi possono distinguersi vari gradi della narrazione. Talvolta, infatti, il narratore racconta una vicenda in cui compare un personaggio che a sua volta espone una storia: il protagonista si imbatte in un viandante cieco che, seduto presso il focolare, inizia un racconto leggendario; un padre sollecito e creativo inventa ogni sera una fiaba diversa per far addormentare il figlioletto; dopo essere stato vinto in battaglia, il gigante si arrende e confessa all’intrepido cavaliere le sfortune della sua vita…

Accade in tal modo che il narratore principale, di primo grado, affidi una porzione di racconto a un narratore di secondo grado, che racconta altre storie, in cui potrebbe prendere la parola un narratore di terzo grado, e così via, in un gioco di incastri teoricamente illimitato. Alcuni famosi libri, come Le mille e una notte (X- XV secolo) e il Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375), sono costruiti appunto su diversi gradi di narrazione: una storia che fa da cornice ne contiene altre introdotte da uno o più personaggi, che svolgono il ruolo di narratori di secondo grado, proponendo una serie di brevi racconti tra loro indipendenti.

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Storie in cornice

Leggendo può capitare di imbatterci in storie che stanno all’interno di altre storie. Allo stesso modo, ci possiamo trovare davanti a quadri dentro quadri. L’illusione generata da questo tipo di “opere dentro le opere” mira a farci riflettere su quanto la rappresentazione sia in realtà un inganno. Dov’è il reale? Chi rappresenta e chi è rappresentato? E se il ritratto volesse fuggire dalla cornice?

Narratore palese e nascosto

Diversi tipi di narratore si distinguono anche in base all’intensità e alla frequenza dei loro interventi: un narratore può essere cioè palese o nascosto.

Il narratore palese è una presenza ingombrante e facilmente riconoscibile; infatti, interviene spesso durante la narrazione per dire la sua, fornendo giudizi o opinioni personali, come in questo brano dei Promessi sposi (1840-1842):

Manzoni

Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze,4 le accuse, le difese, i «voi sola potete aver parlato» e i «non ho parlato», tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga5 all’uscio, di non aprir più per nessuna cagione,6 e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato7 era andato a letto con la febbre.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Rizzoli, Milano 2014

Al contrario, il narratore nascosto tende a sparire dietro gli eventi che racconta: il testo diventa così una presentazione nuda di eventi, dialoghi e pensieri dei personaggi. Autori del secondo Ottocento, appartenenti a correnti letterarie d’ispirazione realistica (come il Naturalismo francese o il Verismo italiano), prediligono questa tecnica, per aumentare l’immedesimazione del lettore e dare l’idea di una rappresentazione fotografica e impersonale della realtà.

Leggiamo un brano di Madame Bovary di Gustave Flaubert (1821-1880), romanzo che destò scandalo proprio per l’impersonalità con cui vengono narrati alcuni fatti scabrosi:

Flaubert

E sul porto, in mezzo ai carri e alle botti, nelle strade, alle cantonate, i borghesi aprivano tanto d’occhi sbalorditi da un avvenimento talmente straordinario in provincia: una carrozza con le tendine abbassate che andava e veniva senza posa, chiusa come una bara, sballottata come una scialuppa. A un certo punto, a metà giorno, in piena campagna, quando il sole dardeggiava più forte contro i vecchi fanali argentati, una mano nuda sbucò da sotto le tendine gialle e buttò via dei pezzetti di carta che si dispersero all’aria, e andarono a posarsi lontano, come candide farfalle, su un campo fiorito di trifoglio rosso. Poi, verso le sei, la carrozza si fermò in una stradina del quartiere Beauvoisine, ne scese una donna che s’avviò con il velo calato sulla faccia, senza girarsi indietro.

Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965

L’autore si fa conoscere

Ecco un quadro famosissimo nel quale l’autore, lo spagnolo Diego Velázquez (1599-1660), si mostra a noi in modo palese insieme alla storia che sta per raccontare, accanto al quadro che sta per dipingere. Difficile è dire che cosa vi raffigurerà: la coppia dei reali di Spagna riflessi nello specchio? E perché la loro figlia, l’Infanta Margherita, non è accanto a loro ma vicino al pittore con le sue damigelle? Il quadro coinvolge noi e il nostro sguardo interrogandoci sul senso di che cosa e chi sia rappresentato.

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Narratore onnisciente e non onnisciente

Il narratore si distingue anche rispetto alla quantità di informazioni che possiede.

Avremo dunque un narratore onnisciente quando conosce ogni dettaglio relativo all’universo della storia. Mentre i personaggi hanno una conoscenza limitata degli eventi, relativa al punto che occupano nello spazio e nel tempo della narrazione, il narratore onnisciente è libero di muoversi nella storia, magari anticipando al lettore eventi futuri o svelando segreti che i personaggi non possono conoscere.

Ecco un esempio tratto da Anna Karenina di Lev Tolstoj (1828-1910): un giovane ufficiale seduce la giovane Kitty, senza rendersi conto delle conseguenze che l’amore potrebbe comportare:

Tolstoj

Non sapeva che questo suo modo di agire nei riguardi di Kitty avrebbe potuto chiaramente essere definito un tentativo di adescare una ragazza senza avere alcuna intenzione di sposarla, e che questo adescamento era una delle cattive azioni dei giovani mondani come lui. Gli sembrava d’essere stato il primo a scoprire una simile soddisfazione e godeva della propria scoperta. S’egli avesse potuto ascoltare ciò che dicevano i genitori di Kitty quella sera, se egli avesse potuto mettersi dal punto di vista della famiglia e pensare che Kitty sarebbe stata infelice se egli non l’avesse sposata, si sarebbe molto sorpreso e non ci avrebbe creduto. Non avrebbe potuto credere che quello che procurava un piacere così grande e buono a lui e specialmente a lei, potesse essere un male. Ancor meno avrebbe pensato di doversi sposare.

Lev Tolstoj, Anna Karenina, Sansoni, Firenze 1967

Si parla di narratore non onnisciente quando le informazioni di cui dispone sono incomplete e i personaggi sanno cose che lui ignora. Tale situazione si verifica per esempio quando il punto di vista del narratore coincide con quello di un personaggio preciso, dotato di una conoscenza limitata degli eventi e del mondo in cui si svolgono.

Leggiamo un brano tratto da Cuore di tenebra di Joseph Conrad (1857-1924): il narratore interno protagonista, Marlow, vede morire davanti ai suoi occhi il famigerato Kurtz, misterioso e brutale agente di una Compagnia dedita al commercio dell’avorio:

Conrad

Non avevo mai visto, e spero di non rivederlo mai, niente di paragonabile al cambiamento che si era operato sui suoi lineamenti. Oh, non ero impietosito. Ero affascinato. Era come se fosse stato strappato un velo. Su quel volto d’avorio vidi l’espressione di un torvo orgoglio, di un potere spietato, di un terrore codardo, e anche di una disperazione immensa e senza rimedio. Stava rivivendo la sua vita in ogni particolare dei suoi desideri, le tentazioni, le capitolazioni, in quel supremo momento di conoscenza completa? Due volte, con voce bassa, lanciò verso non so quale immagine, quale visione, un grido che non era che un soffio:

«Che orrore! Che orrore!».

Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Garzanti, Milano 1992

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Narratore attendibile e inattendibile

Un’ultima interessante caratteristica del narratore è legata all’attendibilità: alcuni narratori si dimostrano affidabili e attendibili nel riportare onestamente le vicende dal loro punto di vista. In altri casi, non possiamo fidarci troppo di quello che dicono; la letteratura è ricca di narratori inattendibili: alcolisti, sognatori, matti e criminali incalliti. Quando sono loro ad avere la parola, può essere che mentano o riportino una versione inesatta e tendenziosa delle vicende. L’autore, tuttavia, vuole farci vedere le cose con i loro occhi, e quindi ci costringe ad ascoltare la loro versione dei fatti, a costo di produrre inganni o fraintendimenti.

Possiamo prendere per buono, alla lettera, un incipit visionario come quello del racconto Un pazzo? di Guy de Maupassant (1850-1893)?

Maupassant

Sono pazzo? o soltanto geloso? Non lo so, ma ho sofferto orribilmente. Ho compiuto un atto di pazzia, di pazzia furiosa, è vero; ma la gelosia lancinante, ma l’amore esaltato, tradito, condannato, ma il dolore abominevole che ho sopportato, tutto ciò non basta per far commettere delitti e pazzie, senza essere veramente criminali nel cuore e nel cervello? Ah, ho sofferto, sofferto, sofferto in un modo continuo, acuto, spaventevole! Ho amato quella donna con uno slancio frenetico… e tuttavia, è proprio vero? L’ho veramente amata? No, no, no.

Guy de Maupassant, Racconti e novelle, vol. I, Einaudi, Torino 1972

3. Il punto di vista

Un altro fondamentale meccanismo della narrazione, strettamente legato alla voce narrante, riguarda la scelta del punto di vista. Il punto di vista, letteralmente, è l’“occhio” attraverso cui osserviamo e percepiamo eventi e situazioni nel mondo narrativo. Come nella vita reale, così nella letteratura prospettive diverse svelano aspetti e significati diversi delle cose, mostrandocele sotto una luce completamente nuova.

Sebbene il punto di vista dipenda dalla voce narrante, queste due strutture narrative non vanno confuse tra loro. Notiamo la differenza tra queste tre frasi:

1. Dopo il tramonto, vidi un ladro fuggire nel vicolo.

2. Dopo il tramonto, un ladro fuggì nel vicolo.

3. Dopo il tramonto, l’ispettore vide un ladro fuggire nel vicolo.

Nel caso n. 1, la voce narrante (interna) e il punto di vista appartengono al personaggio che vede il ladro. L’unica differenza percepibile è di ordine temporale: l’io narrante, infatti, racconta nel presente l’episodio in cui, nel passato, egli stesso, in qualità di personaggio (io narrato) vide il ladro dal suo punto di vista (cioè, con i suoi occhi). Nel caso n. 2, il narratore è esterno e ci presenta gli avvenimenti da un punto di vista che non appartiene a nessun personaggio sulla scena. In ultimo, nel caso n. 3, un narratore esterno ci presenta gli avvenimenti dal punto di vista di un personaggio preciso: è l’ispettore a scorgere il ladro, e noi lettori lo vediamo attraverso i suoi occhi.

Il punto di vista assume inoltre un significativo rilievo concettuale. I personaggi infatti non solo “guardano” il mondo in cui si trovano, ma lo “pensano” e lo “interpretano”, formandosi un’opinione basata sul carattere, sulle competenze di cui dispongono e su ciò che hanno vissuto in precedenza. In altre parole, il punto di vista coinvolge, oltre agli occhi, anche il cervello e il cuore, cioè le emozioni, i pensieri, le idee. Questo doppio valore è del resto insito nella stessa espressione “punto di vista”, che nel linguaggio comune indica sia la posizione visiva sia quella mentale, in cui ci poniamo per capire e analizzare concetti e accadimenti.

Per valutare la posizione e le caratteristiche del punto di vista all’interno di un testo, gli studiosi hanno introdotto il termine “focalizzazione”, che letteralmente significa “messa a fuoco”. Proprio come l’obiettivo di una macchina fotografica – che permette di avvicinare e allontanare il soggetto dello scatto, e di inquadrare certi particolari lasciandone altri sullo sfondo – la focalizzazione precisa quale punto di vista è stato scelto, quale sguardo il narratore decide di adottare per raccontare la sua storia.

Si distinguono tre modalità di focalizzazione.

  • Focalizzazione zero (o assenza di focalizzazione): la voce narrante non assume alcun punto di vista ristretto, ma si muove a piacimento in tutto l’universo del testo. In assenza di focalizzazione, il narratore è onnisciente e ci fornisce informazioni a cui, per esempio, un personaggio non può avere accesso, come anticipazioni degli eventi futuri o esplorazioni dell’interiorità di altri personaggi.
  • Focalizzazione interna: consiste nell’adozione, da parte del narratore, del punto di vista di un personaggio interno alla storia. La voce narrante è a conoscenza dei fatti quanto quel personaggio, di cui riporta i sentimenti e i pensieri.
  • Focalizzazione esterna: il narratore assume un punto di vista esterno a quello dei personaggi, però non è onnisciente, come nel caso della focalizzazione zero. Il risultato è che la voce descrive situazioni e azioni dei personaggi, ma non può penetrare nella loro interiorità, e nemmeno informare il lettore a proposito dei motivi delle loro azioni. Questo tipo di narratore tende a stare nascosto, limitandosi a registrare ciò che accade, alternando per esempio i dialoghi dei personaggi a brevi descrizioni dell’ambiente. La tecnica della focalizzazione esterna serve per aumentare l’immersione del lettore negli eventi narrati: non a caso è spesso usata nella narrazione poliziesca, dove sviluppi e motivazioni, per esempio legate a un delitto, vengono fornite di norma solo alla fine del racconto, con lo scioglimento finale e la scoperta del colpevole.
studio attivo

Qual è il principale criterio di classificazione della VOCE NARRANTE?


Un punto di vista particolare

Ecco un film di animazione in cui troviamo un inconsueto punto di vista: quello delle automobili. Il regista e fondatore della casa di animazione Pixar, John Lasseter (n. 1957), spesso assume nei suoi racconti la prospettiva di cose inanimate, come nel cortometraggio dedicato alla lampada Luxo Junior, simbolo della Pixar, o nel film Toy Story. Per questo la sua è stata definita una “poetica degli oggetti”.

Focalizzazione… deformante

Scalinate che sembrano precipitare, corpi tormentati, case distorte e villaggi e alberi come squassati da una forza interna…Osservando i quadri del pittore russo naturalizzato francese Chaïm Soutine (1893-1943) sembra di guardare il mondo attraverso una lente deformante.

il gioco dei punti di vista

Giocando sul punto di vista, l’autore ottiene particolari effetti sul lettore. Per esempio, tanto più intensa è la focalizzazione interna su un personaggio, tanto più il lettore tenderà a identificarsi in esso. Tale partecipazione emotiva funziona anche nei confronti di personaggi spregevoli, ripugnanti o cattivi, come uno spietato ufficiale nazista o un mostruoso serial killer. La lettura ci permette di vivere tante vite e vedere con tanti occhi diversi, anche se temporaneamente: proprio per questo è uno strumento insostituibile di conoscenza.

Un’altra funzione tipica della focalizzazione, stavolta esterna, consiste nella creazione della suspense. Meno viene spiegato dal narratore, più forte è il desiderio del lettore di comprendere le ragioni che stanno dietro allo sviluppo degli eventi, o di penetrare i segreti dei personaggi. Poniamo il caso che il narratore descriva un vecchio pirata con una cicatrice che gli attraversa un occhio. Noi diventiamo subito curiosi e ci chiediamo: come si è procurato la cicatrice? Di quali gesta si è reso protagonista? Queste tecniche rafforzano il desiderio di continuare la lettura, per scoprire più avanti ciò che inizialmente non viene spiegato dal narratore. Ma attenzione: talvolta certi segreti non vengono mai svelati, lasciando per sempre uno spazio bianco, una finestra sul vuoto, che se vuole il lettore può colmare a piacimento.

Inoltre, il gioco dei punti di vista può lasciarci completamente spiazzati, distruggendo le nostre certezze. Per esempio, un repentino cambio di focalizzazione rovescia le idee che avevamo ormai preso per buone. Tutto a un tratto si scopre che l’ispettore, battutosi con impegno per risolvere il caso, è in realtà il colpevole; oppure, il personaggio da sempre messo in cattiva luce dal narratore, perché antipatico e malvagio, si rivela essere in realtà il più valoroso tra i “buoni”.

Infine, talvolta gli autori si dilettano nel dare “voce” a categorie solitamente marginali. Osservare gli eventi dal punto di vista di un sassolino, di un alieno o di un albero genera un effetto spiazzante (in letteratura chiamato straniamento) che contribuisce a insegnarci una verità sottile ma indispensabile: il nostro è soltanto uno dei tanti punti di vista possibili. Lavorare a colpi di immaginazione ci permette di metterci nei panni degli altri, sforzandoci di vedere le cose come essi le vedono, anche quando tale sguardo è lontanissimo dal nostro.

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa