1. La fiaba

1. La fiaba

La fiaba è un racconto di origine popolare attraverso cui il lettore, o l’ascoltatore, è condotto in un mondo immaginario e vive, accanto ai personaggi, affascinanti e magiche avventure. Il mondo fiabesco è fatto di castelli inaccessibili, oggetti fatati, animali parlanti, incantesimi da spezzare e mostri da sconfiggere. Con la classica formula d’apertura, “C’era una volta”, si viene trasportati di colpo in una dimensione remota e indefinita, senza che ciò provochi turbamento o incredulità: l’elemento meraviglioso è infatti accettato come qualcosa di naturale.

È pertanto ovvio che i bambini siano il pubblico d’elezione della fiaba: durante l’infanzia la nostra mente non percepisce alcuna frattura tra realtà e fantasia. Tuttavia, al di là della semplice funzione di intrattenimento, questo genere letterario riveste anche una grande importanza culturale, costituendo un serbatoio della saggezza popolare di ogni epoca ed essendo, come tale, oggetto dell’attenzione degli esperti di folklore e di tradizioni dei popoli.

La struttura e i temi fondamentali

Negli anni molti studiosi si sono interrogati sui meccanismi che regolano la narrazione fiabesca: tra questi, il russo Vladimir Propp (1895-1970), autore del saggio Morfologia della fiaba, ne ha descritto gli ingredienti e gli schemi. Dai suoi studi emerge un’ossatura narrativa ricorrente, che si può descrivere, in sintesi, attraverso i seguenti passaggi:

  • la fiaba si apre con un’iniziale situazione di equilibrio o benessere, che viene però turbata dal verificarsi di particolari circostanze: per esempio, l’allontanamento da casa, l’infrazione di un divieto o l’opposizione di un antagonista;
  • cominciano le peripezie dell’eroe-protagonista, il quale è costretto a lasciare la propria condizione protetta e ad avventurarsi tra oggetti magici, metamorfosi, duelli, incantesimi e travestimenti. Le prove da superare sono spesso ardue e logoranti, e richiedono applicazione e coraggio;
  • il protagonista si scontra con il “cattivo”; i due vengono all’occorrenza supportati rispettivamente da aiutanti e oppositori: alla fine il bene trionfa e l’antagonista è sconfitto e punito per la sua malvagità;
  • la maggior parte delle fiabe si chiude con un lieto fine: per esempio, l’eroina torna finalmente a casa dopo un lunghissimo viaggio, sposa il suo principe, oppure eredita il regno, dopo aver scoperto di essere figlia del re. In ogni caso, si apre un periodo di felicità completa e duratura, suggellata dalla classica formula conclusiva “e vissero per sempre felici e contenti”.

Se da un lato è giusto parlare delle costanti delle fiabe, dall’altro non si può dimenticare che in esse domina un’assoluta varietà, tra animali bizzarri, incantesimi meravigliosi, avventure intricate. La fantasia, mischiata con l’elemento magico, può dare vita a scenari impensati e strani: gattine che in realtà sono principesse, montagne di vetro, paesi sottomarini, uomini fatti d’oro o di latta.

In mezzo a tanta ricchezza e diversità, d’altro canto, i personaggi tendono a essere tipi scarsamente caratterizzati su un piano psicologico: le fiabe sono popolate di una folla piuttosto ripetitiva di bambini scaltri, matrigne malvagie, poveri dal cuore d’oro, abominevoli streghe e principi belli e coraggiosi.

 >> pagina 168 
La magia è uno dei temi portanti della narrazione fiabesca: essa si riferisce a una serie di forze soprannaturali sulle quali l’uomo non ha il diretto controllo. Per spezzare un incantesimo o combattere contro un mago malvagio non basta la potenza delle braccia; è spesso necessario un provvidenziale aiuto del destino, che in genere arriva sotto forma di oggetto magico: dentro la pera si cela un prezioso gioiello da vendere al momento giusto per aver salva la vita; entrando in un baule, l’eroe è trasportato in volo al cospetto della figlia del sultano, e così via. Ma attenzione, l’oggetto magico non è sempre benefico; per esempio, nella Bella addormentata nel bosco, la principessa si punge con il fuso dell’arcolaio e cade addormentata insieme al resto della corte per cento anni.
Nelle fiabe l’eroe deve sempre cimentarsi con delle prove: imprese clamorose ed eclatanti, riservate ai più coraggiosi, o lunghe traversie che richiedono pazienza e dedizione, un tirocinio dell’anima, una specie di preparazione spirituale. La scrittrice e poetessa Cristina Campo (1923-1977) dà bene l’idea di tale differenza: «Le prove di intrepidezza – valicare fuochi, ammansire draghi, correre tornei – sono poca cosa appetto [rispetto] alle astinenze dolorose del cuore: partiti in cerca della bellezza, dover dedicare ai mostri le proprie tenere cure; nobili, vestire da mendicante, da pellegrino, da servo; amanti, cedere al rivale, all’usurpatore, al cattivo genio le proprie notti d’amore».

Le finalità educative

Gli insegnamenti più profondi contenuti nelle fiabe non riguardano esclusivamente l’ovvio trionfo del bene sul male o la punizione del malvagio di turno. L’eroe della fiaba combatte spesso contro le norme sociali precostituite per imporre un ordine diverso: la povera sguattera, costretta a vivere di stenti, supera in bellezza tutte le fanciulle del regno, la bestia ripugnante si rivela un nobile principe, il sarto gareggia con un forzuto gigante lanciando, al posto di una pietra, un uccello.

Le convenzioni che regolano il rapporto consueto tra gli uomini vengono capovolte: molti protagonisti delle fiabe non si limitano infatti a ripristinare l’equilibrio iniziale, ma migliorano in modo significativo le proprie condizioni di vita, passando, per esempio, da poveri a ricchi, da orfani a sposi, da mendicanti a re.

D’altra parte, la fiaba ha una profonda valenza pedagogica perché mette in scena le sfide della crescita personale incoraggiando l’emancipazione dalle ingiustizie e dai condizionamenti che minacciano la libertà dell’essere umano. La maturazione interiore è sempre una conquista, un cammino, una lotta sostenuta innanzitutto contro se stessi. Per questo l’eroe affronta mille peripezie e ripete più volte gli stessi errori, come spesso capita nella vita: apprendere è un percorso lento e faticoso, al termine del quale si potrà celebrare il lieto fine, cioè l’ingresso in un definitivo stato di felicità.
 >> pagina 169

In un saggio intitolato Sulle fiabe, lo scrittore e filologo britannico John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) propone quattro originali funzioni o caratteri tipici della fiaba: fantasia, ristoro, evasione e consolazione. Tramite la fantasia, fabbrichiamo mondi immaginari per viaggiare al loro interno, scordandoci almeno per un po’ della vita reale, e rispondendo così al nostro bisogno innato di creare. Il ristoro guarisce i nostri occhi, liberandoci dalla noia del già noto e permettendoci di guardare con entusiasmo e freschezza a ciò che ci circonda. L’evasione, invece, riguarda la fuga da ciò che nella vita sentiamo come una prigione: per esempio il dolore o gli obblighi e i limiti imposti dalla società. Infine, la consolazione è una gioia molto intensa dovuta all’«improvviso capovolgimento» che ribalta le sorti degli eroi, facendoli trionfare proprio quando stanno per subire una sconfitta definitiva.

Scenari inaspettati

Il pittore russo Vasilij Kandinskij (1866-1944) si ispirò, agli esordi, nello stile e nei soggetti, al folclore del suo paese. In questa radura si sono dati appuntamento tutti i classici personaggi delle fiabe: l’anziano mendicante, la madre con il bambino, il pifferaio, il sacerdote, il cavaliere e la fanciulla… ci sono persino il bosco e la fortezza! Una vita riconoscibile ma variopinta, dice il titolo, che incanta e meraviglia Kandinskij come noi.

 >> pagina 170

La fiaba nel tempo

Essendo un genere letterario di tradizione antica e popolare, la fiaba è strettamente legata all’oralità. Infatti, molte di queste narrazioni, prima di venire trascritte e di entrare a far parte di una raccolta, nascono e si diffondono come testi orali, tramandati e modificati dal passaggio di bocca in bocca.

Sul luogo di origine della fiaba esistono pareri discordanti: secondo alcuni sarebbe nata in India, e da lì si sarebbe poi diffusa nel resto del mondo; secondo altri, invece, si sarebbe sviluppata contemporaneamente in culture diverse, dando vita a tradizioni entrate poi in contatto tra loro.

Le prime fiabe scritte compaiono all’interno di opere a genere misto, in cui, cioè, il testo fiabesco è incluso in testi di altro tipo, come quello epico o quello religioso (per esempio, si trovano fiabe nell’antico poema sumero di Gilgamesh, risalente al III millennio a.C., e nella Bibbia). Anche nel mondo classico latino le fiabe vengono ospitate da opere di genere composito, come il Satyricon di Petronio (27-66) o le Metamorfosi di Apuleio (125-170), entrambe scritte tra il I e il II secolo d.C.

Dalle tradizioni indiana, araba, egiziana e persiana provengono invece le novelle raccolte e trascritte tra il 900 e il 1400 nelle Mille e una notte. Un re incattivito uccide tutte le sue mogli dopo la prima notte di nozze. Tuttavia l’astuta Shahrazād elabora un piano: raccontare al re una storia sempre diversa, suscitando in lui il desiderio di ascoltarne ancora. Dopo mille e una notte, il re le risparmia la vita e la prende in moglie.

Nel XVII secolo, Giambattista Basile (1566-1632) colleziona una serie di fiabe in dialetto napoletano nel Cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de’ peccerille, conosciuto anche come Pentamerone, mentre nella Francia del Re Sole si distingue la figura di Charles Perrault (1628-1703), autore dei Racconti di Mamma Oca: tra questi compaiono le fiabe di Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Pollicino e La bella addormentata nel bosco.

È tuttavia con l’Ottocento che il genere fiabesco acquista una significativa importanza. Il Romanticismo incoraggia infatti un ritorno alle radici popolari e spontanee del sapere: a questo periodo risalgono le più famose raccolte di fiabe, dalle Fiabe per i bambini e per le famiglie ( T2, p. 178) dei fratelli tedeschi Jacob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859) Grimm alle Fiabe del danese Hans Christian Andersen (1805-1875). In Italia nasce una fiaba moderna destinata a diventare famosa in tutto il mondo, Le avventure di Pinocchio ( T3, p. 187), opera del toscano Carlo Lorenzini (1826-1890), in arte Collodi.

Anche nel Novecento le fiabe continuano ad avere un notevole successo: da un lato diventano oggetto privilegiato d’analisi impegnando folte schiere di studiosi di varie discipline, dall’antropologia alla filosofia, dalla critica letteraria fino agli studi etnografici; dall’altro, grazie all’ibridazione (per esempio nel genere fantasy) e all’avvento del cinema e della televisione, raggiungono un pubblico sempre più largo e diversificato.

Continuano, inoltre, le raccolte di repertori popolari, cruciali per la conservazione e la diffusione di culture orali altrimenti a rischio di estinzione. In Italia, per esempio, spicca l’opera compiuta da Italo Calvino (1923-1985), che nelle sue Fiabe italiane del 1956 trascrive in italiano testi dialettali provenienti da vecchie raccolte, aggiungendo qualche nota di creatività personale.

 >> pagina 171 

2. La favola

La favola viene spesso confusa con la fiaba e i due termini sono usati, impropriamente, con lo stesso significato. In realtà, la favola rappresenta un genere autonomo, nonostante condivida con la fiaba alcuni elementi, tra i quali l’ispirazione fantastica, lo sviluppo lineare e la semplicità narrativa.

Le caratteristiche

La favola è una narrazione dotata di un intento morale: si propone, cioè, di fornire un insegnamento edificante sulla natura dell’uomo, sui casi della vita e sui comportamenti più saggi e virtuosi da adottare all’interno della società e nelle relazioni con il prossimo. Anche la fiaba contiene una valenza pedagogica, ma i suoi contenuti, a differenza che nella favola, non si appellano soltanto alla riflessione razionale. Nella fiaba, infatti, tutto rimane più misterioso e allusivo, dal momento che i contenuti non hanno sempre un risvolto simbolico riconoscibile e oggettivo. Al contrario, la favola fa uso dell’allegoria, una tecnica retorica che collega a ogni personaggio o situazione un significato preciso, in modo piuttosto univoco e scontato.
Una caratteristica formale imprescindibile della favola è la brevità: il testo riduce al massimo tutti gli elementi che potrebbero rallentare l’azione, come dettagliate descrizioni, narrazioni psicologiche, ricostruzioni del contesto ecc. Tale rapidità è necessaria all’efficacia pedagogica del testo: il suo intreccio scarno ed essenziale ci colpisce con forza, imponendoci di riflettere sulla morale, che spesso è posta in chiusura sotto forma di una breve sentenza o di un proverbio, in modo da imprimersi con efficacia nella mente del lettore.
I protagonisti delle favole sono per lo più animali antropomorfi, cioè con caratteristiche umane. Ciascuno di essi personifica qualità fisiche e soprattutto morali facilmente individuabili: il leone è il possente re degli animali, e incarna, al massimo grado, la forza e il potere; l’agnello, invece, è il debole per eccellenza; il lupo è sempre avido e affamato, e così via, fino alla volpe astuta e al pavone vanitoso.
Nonostante la favola contenga una chiara valenza allegorica, essa tuttavia è improntata al più crudo realismo: nessuna evasione in un mondo fatato di eroi, ma la triste verità di ogni giorno, in cui il debole soccombe alla prevaricazione del forte, e ciascuno – in lotta con l’altro per la sopravvivenza – si arrangia con le armi di cui lo ha dotato la natura. Il mondo della favola è infatti caratterizzato dalla disuguaglianza e dalla guerra continua di tutti contro tutti, basata sulla legge del più forte. Avremo così il lupo che accampa scuse assurde per divorare l’agnello incontrato presso il fiume (“mi stai intorbidando l’acqua” o “tuo padre ha sparlato di me”); l’asino punito perché voleva dividere equamente con il leone il bottino della caccia; l’aquila affamata che si getta sui cuccioli della volpe, sua amica.
 >> pagina 172

Animali antropomorfi

Divertimento, stupore, incredulità: tante possono essere le reazioni davanti all’opera di Paola Pivi (n. 1971). Perché un asino è finito in un luogo così poco adatto a lui, come una barca in mezzo al mare? Non conosciamo la risposta, anche perché le favole – che ci hanno descritto tante volte le sue disavventure e il suo “tipico” carattere – ci suggeriscono che può essere ignorante e allo stesso tempo sapiente…

La storia del genere

A differenza della fiaba, la favola nasce come un prodotto letterario tramandato mediante la scrittura. Le prime testimonianze si trovano presso le antiche civiltà orientali (indiani, sumeri e babilonesi) e poi nella Bibbia, ma il capostipite del genere è considerato lo schiavo greco Esopo, vissuto tra il VII e il VI secolo a.C.: le favole a lui attribuite, un corpus di circa cinquecento testi ( T1, p. 174), sono state raccolte nei secoli successivi, e vengono considerate la base della tradizione favolistica occidentale.

Al suo modello si rifà il poeta latino Fedro (I secolo d.C.), che riprende direttamente i testi di Esopo, adattandoli però al nuovo contesto culturale e intensificandone l’aspetto morale: Fedro, infatti, vuole «correggere gli errori degli uomini», senza però trascurare la cura dello stile.

Dopo che l’età medievale ne aveva apprezzato le finalità morali, in epoca moderna la favola segue fortune alterne: bisogna aspettare il XVII secolo perché un importante autore francese, Jean de La Fontaine (1621-1695), ne ravvivi la tradizione, componendo una vera pietra miliare del genere, le Favole. Mentre nel Settecento la favola viene valorizzata come strumento di educazione e di diffusione delle idee, nell’Ottocento la sua semplicità moralistica annoia i Romantici, che preferiscono la fantasia creativa della fiaba.
 >> pagina 173

Nel Novecento alla favola torna ad arridere una certa fortuna: nell’ambito della letteratura italiana si possono ricordare i nomi del poeta Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, 1871-1950), autore di poesie dal tono satirico in dialetto romanesco, e di Gianni Rodari (1920-1980), che con Favole al telefono ( T5, p. 201) trasporta il genere nel mondo moderno, colorandolo con un susseguirsi di assurdità divertenti e spiazzanti. Il ragionier Bianchi, sempre in viaggio di lavoro, telefona tutte le sere alla sua bambina per raccontarle una breve favola, senza la quale non può prendere sonno: ce n’è per tutti i gusti, tra cannoni giganti che suonano come campane, gamberi ostinati, vecchi proverbi con la gamba rotta e strade che non portano da nessuna parte.
Inoltre nel Novecento, come accade per molti altri generi letterari, la favola si mescola con altre tipologie di testo, dando vita a componimenti narrativi nei quali vengono affrontati argomenti di impegno civile, con un particolare risalto alla sfera dei più nobili sentimenti umani, dall’amore per la natura alla tolleranza, dall’amicizia alla generosità: si possono citare Il piccolo principe ( T4, p. 194) del francese Antoine de Saint-Éxupéry (1900-1944), Il gabbiano Jonathan Living­ston dello statunitense Richard Bach (n. 1936), fino al più recente Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare del cileno Luis Sepúlveda (n. 1949). Un caso a parte è costituito dal romanzo satirico La fattoria degli animali dell’inglese George Orwell (1903-1950). Il fattore Jones sfrutta in modo impietoso le sue bestie, che decidono di ribellarsi, cacciando gli uomini e instaurando un regime basato sull’uguaglianza, che presto si rivelerà una crudele dittatura, sul modello di quella imposta da Stalin nell’Unione Sovietica a partire dagli anni Venti: rivive così – in un contesto letterario diverso rispetto a quello tradizionale – l’uso di animali antropomorfi che incarnano caratteristiche assolute (nella fattoria, per esempio, i maiali governano con pugno di ferro e le pecore obbediscono, abbindolate dalla propaganda).

Verifica delle conoscenze

1. Quali sono le ambientazioni e i personaggi tipici delle fiabe?
2. Che cosa si intende per “situazione di equilibrio”? Quali elementi intervengono – solitamente – a modificarla? Come evolve la struttura della fiaba?
3. In che cosa consiste l’effetto spiazzante generato dalla fiaba?
4. La fiaba nasce prima nella tradizione orale o in quella scritta?
5. In quale secolo dell’età moderna la fiaba riceve grande attenzione? Perché?
6. Spiega le differenze fondamentali tra fiaba e favola.
7. Perché i protagonisti delle favole sono molto spesso animali? Quale visione della società emerge dal mondo delle favole?
8. Come si manifesta la tendenza realistica presente nella favola?

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa