T1 - Secondo Giacobbi, Essere anziani oggi

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Secondo Giacobbi

Essere anziani oggi

In questo brano l’autore riflette sulle conseguenze dell’allungamento della vita nella concezione della vecchiaia da parte della società.

L’inaudito protrarsi della morte e, di conseguenza, di una vecchiaia sempre più debilitata e bisognosa di assistenza costante, ha profondamente modificato lo statuto sociale e antropologico del vecchio. Spossessati, per lo più, della propria capacità di autosufficienza, spesso mentalmente degradati, molti vecchi, vecchi sempre più numerosi, si ritrovano spogliati della dignità e del rispetto sociale che un tempo era loro conferito. L’attenzione che la società post-moderna riserva loro e reclama per loro è infatti un’attenzione meramente accudente, iperprotettiva, infantilizzante. Niente a che vedere con il rispetto, persino un po’ intimorito, di un tempo, quando il vecchio era visto come uomo saggio ed esperto di vita, e grazie a questa sua “competenza” esistenziale vedeva compensato l’impoverimento di status connesso con il venir meno della capacità lavorativa. Oggi, invece, l’uomo vecchio non viene più vissuto e rappresentato come incarnazione, per dirla in termini junghiani, dell’archetipo del Senex, saggio e autorevole. Lo impedisce, certo, l’adolescenzialità ed il giovanilismo pervasivi e tirannici della società del narcisismo, che impone bellezza e giovinezza perenni; ma lo impedisce altresì la ben diversa condizione esistenziale dei vecchi di oggi, irreparabilmente decaduti nella loro protratta longevità e sempre più spesso degradati da forme varie e sempre più diffuse di demenzialità (la gerontologia rileva ad esempio una crescita esponenziale dell’Alzheimer). […]

Quanto al prelievo di risorse a favore dell’accudimento delle longevità invalidate e a discapito di altre fasce d’età ugualmente bisognose di sostegno, ricordo una scioccante dichiarazione del ministro Usa della sanità: «Noi spendiamo 14 dollari dei fondi per l’assistenza sociale a favore di ogni anziano e solo 1 dollaro per ogni bambino». Assistiamo così ad una singolare inversione dei criteri morali che hanno sinora diretto e governato le scelte dell’etica e della politica di fronte alla vita e alla morte: è come se un nuovo codice prescrivesse, per fare un esempio credo appropriato e rivelatore seppur paradossale, che, in caso di naufragio, anziché prima le donne e i bambini, si facessero scendere nelle scialuppe i vecchi, e a partire dai più longevi! […]

Sembra quindi confermato […] un aumento progressivo del periodo, ormai pluriennale, di sopravvivenza in età molto avanzata e in condizioni di degrado e perdita dell’autonomia. È possibile quindi, e non fantascientifico, immaginare che nei prossimi decenni tenderà a strutturarsi un nuovo ciclo di vita, in cui gli ultimi anni, che arriveranno sempre più comunemente oltre il secolo di vita, vedranno il soggetto umano, tranne rare eccezioni, allettato, privo di autonomia, mentalmente decaduto, necessitante di un accudimento totale.

La fetalizzazione degli individui conoscerebbe così una sua piena realizzazione anche concreta: dalla iniziale condizione fetale dei nascituri e del neonato alla condizione rifetalizzata di vegliardi destinati alla morte, in cui però il processo di morte potrà essere procrastinato anche per lunghi anni.

Profondi cambiamenti strutturali e culturali hanno dunque investito, in questi ultimi decenni, la famiglia italiana, che ormai non è più solo una famiglia “nucleare”, ma una famiglia per lo più con un solo figlio, una famiglia dunque piccola o meglio “stretta”, come preferiscono dire i sociologi; al tempo spesso, però, la famiglia italiana è “lunga”, cioè si caratterizza per il permanere in essa di legami molto forti con le famiglie di provenienza dei due coniugi, in particolare con i loro genitori. […] Ma tutto ciò altera profondamente i rapporti dei familiari con i propri anziani, e incrina la stessa relazione affettiva con essi, oltre a suscitare e alimentare dinamiche conflittuali all’interno del gruppo famiglia. Così lo stesso rapporto dei figli con il vecchio genitore si caratterizza per l’acutizzarsi e, talora, l’esasperarsi di quegli aspetti di profonda ambivalenza che da sempre accompagnano tutte le relazioni affettive più significative e impegnative. È questo un aspetto difficile da cogliere, da esplicitare e da segnalare, perché imbarazzante e abitualmente giudicato da molti […]. Oggi la vecchiaia protratta degli stessi genitori è vissuta, dobbiamo pur rilevarlo e segnalarlo, piaccia o non piaccia, come gravosa e dispendiosa, tale da imporre costi e sacrifici un tempo ignoti.

Rispondi

1. Quale previsione paradossale fa l’autore sulla società futura?

2. Che cosa intende Giacobbi con il termine “fetalizzazione”?

 >> pagina 236 

|⇒ T2  Irvin D. Yalom

La paura di invecchiare

Nel brano che segue Yalom narra il caso di una sua paziente, Bernice, che si allontana dal marito nel momento in cui inizia a vedere in lui i primi segni della vecchiaia. La donna mette in atto un meccanismo di difesa, cercando di tenere lontani i pensieri e le paure che anche lei stia invecchiando e che, presto o tardi, la propria vecchiaia terminerà, inevitabilmente, con la fine della vita.

Bernice cominciò la terapia per colpa di un problema esasperante. Sebbene con il marito Steve avesse vissuto un matrimonio amorevole per oltre vent’anni, ora provava un’inspiegabile irritazione nei suoi confronti. Sentiva che si stava ritraendo da lui, al punto da prendere in considerazione l’idea di separarsi.

Mi interrogai sulla tempistica e le chiesi quando avesse avuto inizio il cambiamento dei suoi sentimenti nei confronti di Steve. Fu precisa nella risposta: le cose avevano cominciato ad andare male quando, a settant’anni, il marito aveva improvvisamente lasciato il lavoro di agente di cambio e si era messo a gestire il portafoglio azionario personale da casa.

Bernice era perplessa per quella rabbia nei confronti del marito. Anche se Steve non era cambiato in alcun modo, adesso lei riusciva a trovare innumerevoli cose da criticare: il suo disordine, il troppo tempo trascorso davanti alla televisione, la poca cura per il proprio aspetto, lo scarso esercizio fisico. […]

Dalla nostra discussione emersero parecchie dinamiche.

In primo luogo, lei sperava di prendere le distanze da Steve per evitare di essere, per usare le sue parole, “sospinta troppo in fretta” verso la vecchiaia. In secondo luogo, non era mai stata in grado di cancellare il dolore per la morte della madre, avvenuta quando lei aveva dieci anni, e non voleva trovarsi di fronte al riaffiorare di una perdita dolorosa, come sarebbe successo quando Steve fosse morto.

Mi sembrò che Bernice stesse tentando di proteggersi dal dolore di perdere Steve diminuendo l’attaccamento nei suoi confronti. Suggerii che né la rabbia né il tirarsi indietro sembravano modi efficaci per evitare conclusioni e perdite. Riuscii a renderle perfettamente chiara la dinamica che aveva intrapreso citando Otto Rank, uno dei colleghi di Freud, che aveva affermato: “Alcuni rifiutano il prestito della vita per evitare di pagare il debito della morte”.

Questa dinamica non è insolita. Ritengo che ciascuno di noi abbia incontrato individui che si intorpidiscono ed evitano di abbracciare la vita con entusiasmo per il terrore di dover perdere troppo.

Continuai dicendo: “È come andare a fare una crociera transoceanica e rifiutarsi di fare amicizie o attività interessanti allo scopo di evitare il dolore dell’inevitabile fine della vacanza”.

“Ha colto nel segno” rispose.

“O non godersi la vista del sorgere del sole perché…”.

“Sì, sì, sì, è stato chiaro” mi interruppe ridendo.

Mentre affrontavamo la questione del cambiamento emersero diverse tematiche. Aveva paura di riaprire la ferita che l’aveva fatta soffrire all’età di dieci anni, quando era morta la madre. Dopo diverse sedute arrivò a capire l’inefficacia della propria strategia inconscia. In primo luogo non era più una bambina di dieci anni, indifesa e priva di risorse. Non solo non le sarebbe stato possibile evitare il dolore al momento della morte di Steve, ma quel dolore sarebbe stato profondamente gravato dal senso di colpa per averlo abbandonato quando lui aveva più bisogno di lei.

Nel corso dei secoli noi umani abbiamo sviluppato un’enorme varietà di metodi, alcuni consci, altri inconsci, forse equivalente al numero degli individui esistiti, per contrastare la paura della morte. Alcuni metodi funzionano, altri sono incerti e inefficaci. […] Gli adulti tormentati dall’angoscia della morte non sono tipi strani affetti da una qualche malattia esotica, ma uomini e donne le cui famiglie e la cui cultura non sono riuscite a tessere un adeguato rivestimento protettivo per sopportare il freddo gelido della mortalità. Potrebbero aver incontrato un eccesso di morte in una fase troppo precoce dell’esistenza; potrebbero non aver sperimentato un centro stabile d’amore, un interesse nei loro confronti e una sensazione di sicurezza nelle proprie case; potrebbero essere stati individui isolati che non hanno mai condiviso le loro preoccupazioni intime sulla mortalità; oppure individui ipersensibili, particolarmente consapevoli di sé, che hanno respinto il confronto dei miti religiosi che negano la morte offerti dalla loro cultura.

Rispondi

1. Quale meccanismo inconscio fa sì che Bernice voglia allontanarsi dal marito?

2. Yalom riprende le parole dello psicoanalista austriaco Otto Rank: «Alcuni rifiutano il prestito della vita per evitare di pagare il debito della morte». Ragiona sul significato di queste parole e prova a individuare quali possono essere le motivazioni che spingono l’uomo a sottrarsi ai piaceri della vita per non soffrire in vista della morte.

I colori della Psicologia - volume 2
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