PAROLA D’AUTORE

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Giacomo Stella

I bambini con disturbi specifici d’apprendimento

A volte la difficoltà maggiore per quanto riguarda i disturbi specifici dell’apprendimento è riuscire a diagnosticarli tempestivamente. Quando questo non accade c’è il rischio che un bambino affronti situazioni di grande difficoltà scolastica senza che il contesto ne colga le cause reali e quindi riesca ad aiutarlo correttamente. Nel brano che segue vengono descritte le conseguenze che ne possono derivare.

Un bambino che, dopo un congruo tempo di istruzione continua non apprende, o apprende in maniera incompleta la capacità di scrivere correttamente in modo automatico è da considerarsi disortografico. Ciò significa che un bambino che, al termine della prima elementare frequentata con continuità, presenta ancora grandi difficoltà nella lettura e nella scrittura potrebbe essere dislessico o disortografico. I successivi accertamenti condotti in ambito specialistico potranno definitivamente chiarire se si tratta di un semplice ritardo di acquisizione o invece di un disturbo specifico di apprendimento che, in quanto tale, farà sentire i suoi effetti per buona parte o per tutto l’arco della scolarizzazione. Questi disturbi sono spesso preceduti da un ritardo nell’acquisizione del linguaggio verbale, ma si presentano anche in soggetti che fino al momento dell’ingresso a scuola possono non aver manifestato problemi di alcun genere. La comparsa di una difficoltà inattesa, in quanto non preannunciata da alcun segnale premonitore, genera sconcerto negli adulti e frustrazione e disorientamento nel bambino che fino a quel momento non aveva mai ricevuto messaggi di inadeguatezza o di preoccupazione per le sue prestazioni. Comincia allora una storia che, per chi incontra come noi molti di questi bambini, è purtroppo molto frequente. L’insegnante si interroga sull’impegno del bambino, sulle sue condizioni familiari, fa spesso congetture astruse o comunque non pertinenti sulle dinamiche familiari, lamenta scarso impegno, disinteresse, rifiuto, a volte problemi di comportamento in classe. In genere non è in grado di spiegarsi perché il bambino, che in mezzo ai compagni sembra non avere particolari difficoltà, mostra poi rifiuto o grande difficoltà quando gli si chiede di leggere e di scrivere. L’insegnante ritiene che il bambino si eserciti poco e lo invita a moltiplicare gli sforzi, ottenendo, nella maggior parte dei casi, un definitivo consolidamento del rifiuto. I genitori sono perplessi e spesso oscillano fra comportamenti severi e punitivi con inviti all’impegno e lunghi periodi di attesa impotente sperando che il tempo aggiusti ogni cosa. All’inizio in genere tendono a dare ragione all’insegnante e si associano all’idea che la difficoltà del loro bambino dipenda dallo scarso impegno o da un’insufficiente dose di esercizio. In questa fase il bambino è intrappolato in una morsa di incomprensione sia in famiglia che a scuola e lui stesso comincia a dubitare delle proprie capacità. In seguito il genitore attento, magari dopo lunghi tentativi di surrogare a casa il lavoro dell’insegnante con estenuanti e sofferte sedute di lavoro, riconosce le oggettive difficoltà ad apprendere la lettoscrittura, anche se non sa spiegarsene i motivi. Anche il genitore comincia a vivere come un incubo il momento dei compiti a casa, le continue rincorse, le blandizie o anche le minacce per costringere il bambino e leggere una frase o a scrivere una parola. Mentre all’inizio i testardi rifiuti a svolgere i compiti scolastici vengono considerati capricci, ben presto il genitore capisce che sono espressione di una difficoltà autentica, che provoca sofferenza e spesso si accompagna a modificazioni dell’umore e della qualità delle relazioni familiari. A quel punto il genitore tende ad assumere comunque un ruolo di difesa del bambino e, a volte in contrapposizione con la scuola, comincia a cercare presso i vari specialisti una risposta al problema.

I bambini, naturalmente, sono i più indifesi e i più incompresi. Dovendo affrontare quotidianamente il calvario delle difficoltà per un tempo lunghissimo (almeno 5-6 ore al giorno) senza la comprensione e l’aiuto di nessuno reagiscono nei modi più disparati. C’è chi si ammala, chi manifesta disturbi somatici al momento di andare a scuola, chi rifiuta testardamente le attività e chi vi si sottrae opponendosi aggressivamente alle richieste, e infine c’è chi cerca di scomparire nel gruppo dei compagni mascherando il più a lungo possibile le difficoltà con stratagemmi vari. Spesso nella prima fase il bambino è completamente smarrito perché nemmeno i genitori lo capiscono e vengono anzi vissuti come gli aguzzini che pretendono con insistenza maggiore di quella dell’insegnante di fargli svolgere l’attività tanto odiata. Costringere il bambino dislessico a leggere o a scrivere è altrettanto doloroso che far fare attività motoria ad un bambino spastico, o a fargli ingoiare ripetutamente una medicina amara. Dopo tutti questi sforzi il bambino a scuola non ottiene alcun riconoscimento, anzi, spesso viene accusato di non essersi esercitato. Mentre la scoperta della lettura e della scrittura per la maggioranza dei bambini costituisce spesso una nuova occasione di relazione con gli adulti e con i familiari, per i bambini con difficoltà di apprendimento diviene un incubo, un inferno senza uscita, un’esperienza negativa che spesso segna in modo irreversibile tutto il successivo percorso scolastico. […] Molti ragazzi o giovani adulti dislessici ricordano ancora l’accusa di non aver studiato, rivolta loro dall’insegnante dopo l’ennesimo insuccesso nelle tabelline o nel riferire la lezione come un’ingiustizia intollerabile. Il rimbrotto più tipico: “Sei il solito, non hai studiato abbastanza, non ti applichi” viene vissuto come insopportabile, ingiusto e persino beffardo quando viene rimandato a chi ha trascorso lunghi pomeriggi nel tentativo di vincere per una volta la difficoltà e non fare brutta figura davanti all’insegnante e ai compagni. Il risultato è che in molti casi i bambini raggiungono la convinzione che è inutile fare degli sforzi, perché comunque l’insegnante non ne rimarrà mai soddisfatta; ormai si sentono classificati come insufficienti ed è impossibile per loro modificare quell’etichetta. Il bambino si rassegna e si convince che lui non è capace, non è intelligente come gli altri. È dunque molto importante rimediare a questa carenza di informazione perché è grave che il professionista dell’istruzione non possegga gli strumenti per interpretare correttamente le difficoltà dei bambini con i quali deve lavorare. L’insegnante dovrebbe innanzitutto conoscere i disturbi specifici dell’apprendimento, la loro natura e soprattutto i loro modi di manifestarsi, inoltre, prima di trarre delle conclusioni, dovrebbe mettere in atto delle procedure per acquisire informazioni più precise sulla natura delle difficoltà mostrate dallo scolaro. Che fiducia avremmo noi nel pediatra al quale portiamo il nostro bambino per il mal di pancia, se questi concludesse subito che è una manifestazione di rifiuto del cibo, senza prima averlo visitato, aver accertato quali cibi ha mangiato e aver fatto tutte le indagini necessarie. L’ipotesi sulla natura psicologica delle difficoltà scolastiche di un bambino può essere presa in considerazione solo dopo che si sono escluse le possibili cause specifiche, che quindi devono essere conosciute da chi esercita la professione di insegnante.

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1. Quali possono essere le principali reazioni degli insegnanti e dei genitori se non hanno un’adeguata consapevolezza di questa problematica?

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|⇒ T2  Susanna Conserva e Matteo Lancini

Il cyberbullismo

Il bullismo è un fenomeno che si manifesta anche in rete prendendo il nome di cyberbullismo. Il bullismo online mantiene le caratteristiche di base del bullismo “offline”, con delle specificità aggiuntive che lo rendono un fenomeno a sé stante. In particolare, per diversi motivi è decisamente limitata la consapevolezza della gravità di certe azioni agite da dietro uno schermo.

La percezione della gravità di certe azioni online spesso è decisamente limitata, sia negli adolescenti, sia nei genitori che sottovalutano la portata dei rischi. Un compagno di classe che ha avuto modo di accedere al profilo di un altro compagno e pubblicare informazioni prese dalle chat private; la foto di una compagna usata a sua insaputa per creare un profilo a suo nome, un video pubblicato online in cui un gruppo di ragazzi offende e prende in giro un compagno: sono episodi che spesso i ragazzi con cui si parla descrivono come semplici scherzi di cattivo gusto, magari comportamenti sbagliati che sarebbe meglio evitare, ma difficilmente riescono a giudicarli per quello che realmente sono, ossia dei reati penali. La gravità di questi agiti viene troppo spesso sottovalutata anche a causa di alcune caratteristiche specifiche del fenomeno. Prima fra tutte la facilità con cui è possibile compiere queste azioni, stando comodamente seduti davanti al proprio pc e cliccando semplicemente sulla tastiera. In secondo luogo l’illusione di potersi nascondere, di mantenere l’anonimato attraverso l’uso di uno pseudonimo o di un profilo falso, alimenta la percezione di non essere responsabile e difficilmente rintracciabile, quindi non punibile. Da ultimo, l’assenza di contatto e di relazione diretta con la vittima genera nel bullo un distanziamento dal danno perpetrato. Non avendo di fronte a sé la persona reale con il suo corpo, il suo volto e le sue reazioni emotive, il cyberbullo non ha modo di riscontrare direttamente la sofferenza arrecata. Pertanto, l’anonimato e l’invisibilità che il mondo virtuale consentono di mantenere al cyberbullo favoriscono meccanismi di disinibizione morale, ovvero incentivano la messa in atto di condotte che probabilmente nella vita reale il soggetto non avrebbe il coraggio di agire. Nel cyberbullismo l’azione aggressiva può, inoltre, risultare amplificata e più pervasiva rispetto al bullismo tradizionale. I ragazzi che agiscono queste forme di prevaricazione è come se non cogliessero il confine tra scherzo e aggressione, come se non avessero gli elementi per valutare, per rendersi conto della prepotenza messa in atto. Manifestano un’incompetenza nel sintonizzarsi con lo stato emotivo dell’altro, tendono a sminuire gli effetti dell’umiliazione e della mortificazione arrecata. E se è vero già nel bullismo tradizionale, in rete questi aspetti sono incontrollabilmente amplificati.

L’anonimato permette inoltre a chi si è sempre sperimentato nel ruolo della vittima nel mondo reale di potersi giocare nei panni del cyberbullo esercitando la propria dose di violenza facilitato dalla sicurezza data dal nascondersi dietro lo schermo.

Il mondo virtuale è un mondo senza limiti spazio-temporali. Se un tempo la connessione a internet era un momento dedicato, limitato ad un lasso di tempo specifico, oggi i ragazzi che hanno con sé uno smartphone vivono costantemente connessi alla rete, sempre raggiungibili dalle notifiche dei social network, anche quelle più nefaste, che fanno capolino sui telefonini delle giovani vittime a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ciò rende le prevaricazioni da un lato attive ventiquattro ore su ventiquattro, senza possibilità di tregua, e dall’altro l’assenza di confini spaziali le trasforma in spettacolo visibile da un pubblico sterminato, potenzialmente i ragazzi dell’intero pianeta, annullando il valore della prossimità nelle relazioni. I concetti di sistematicità e di persistenza nel cyberbullismo risultano quindi molto amplificati per le caratteristiche stesse di Internet: una volta entrata in Rete, l’azione molesta (foto, filmato, messaggio) persiste per un tempo potenzialmente infinito, arrivando ad assumere una visibilità planetaria, senza bisogno di essere ripetuta nella realtà.

Per queste ragioni le conseguenze sulle vittime possono essere estremamente dolorose, mortificanti e lesive in termini di bassa autostima, sintomatologia ansiosa e depressiva. La vergogna e la mortificazione narcisistica possono trasformarsi in un ostacolo insormontabile. Tale ferita, data anche l’ampia visibilità del danno subito, potrebbe cioè esitare in uno scacco evolutivo ed essere quindi di ostacolo nell’affrontare i compiti di crescita.

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1. Quali elementi specifici del fenomeno del cyberbullismo rendono le azioni di bullismo online particolarmente gravose?

I colori della Psicologia - volume 2
I colori della Psicologia - volume 2
Secondo biennio del liceo delle Scienze umane