T1 - Elena Rosci, La nuova madre

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Elena Rosci

La nuova madre

In questo brano la psicologa Elena Rosci spiega le caratteristiche peculiari delle mamme della società postmoderna, cioè del mondo contemporaneo.

Chi è dunque la nuova madre?

La nuova madre può avere un marito, un convivente o essere sola ma, se è postmoderna, deve avere un’attività professionale attraverso la quale realizza un suo progetto esistenziale oltre alla sua autonomia economica. Non ha certo un figlio per caso; ha deciso, da sola o con il partner, il momento del concepimento. La gravidanza è un evento grande e raro. Questa donna sa che probabilmente non avrà altri figli o, al massimo, tenterà l’avventura solo una seconda volta. Fin dalla gravidanza la sua idea del bambino è caratterizzata da una forte ambivalenza emotiva. Da un lato infatti prova un sentimento di protezione, un desiderio quasi struggente di accudimento, di vicinanza e di oblio del mondo esterno, dall’altro è in preda a emozioni forti, alla paura di non riuscire a essere contestualmente una madre e una persona. Nella cultura moderna l’essere madre, moglie e persona coincidono, mentre la madre postmoderna vive una frattura tra queste tre parti di sé. Il suo progetto di realizzazione personale ha già preso corpo prima della nascita dei figli e del matrimonio, né questi eventi lo annullano. Esso è infatti una parte fondamentale della sua identità personale e sociale. La madre postmoderna ha un’attività professionale costruita negli anni della scuola, durante i quali i suoi risultati sono stati spesso migliori di quelli dei compagni maschi. È una persona con amicizie proprie, abitudini e gusti personali per il tempo libero, interessi culturali, sportivi, politici o religiosi che si sono affinati nel tempo e che non si interrompono con l’ingresso nell’età adulta. Quando arriva al matrimonio, al marito non resta nulla da forgiare, ma molto da conoscere.

Rispondi

1. Perché la mamma postmoderna è diversa da quella delle epoche precedenti?
2. Com’è cambiato il rapporto tra moglie e marito nella società postmoderna?

|⇒ T2  Luigi Zoja

La figura paterna di Ettore

Nel brano che segue Zoja ripercorre la scena omerica nella quale Ettore si congeda dal piccolo Astianatte prima di affrontare Achille in un duello che segnerà la sua morte.

Ettore procede oltre. Ora è alle sue stanze. Cerca Andromaca. La casa è vuota. Chiede alle ancelle. La sposa si è allontanata con la balia e il piccolo Astianatte. Non verso le altre donne o verso il tempio di Atena. È corsa in lacrime, e sembrava pazza, alla torre che sovrasta il campo di battaglia, per vedere se anche il marito è travolto dai Greci che avanzano. Ettore rovescia ancora una volta il suo cammino. Senza prendere respiro, ripercorre le strade dal centro della città fino alle sue porte. Qui incontra la famiglia. Guarda il figlio e, in silenzio, sorride.

Ma Andromaca lo accosta piangendo e, prendendogli la mano, dice: “Infelice, proprio il tuo valore ti ucciderà. Non hai pietà del piccolo ancora in fasce, né di me, che sarò vedova tra poco, quando gli Achei, tutti insieme, ti assaliranno. Ma senza di te, meglio che anche io muoia. Niente più di dolce, se tu muori, io avrò, soltanto dolore. Io non ho più padre, non ho madre. Il padre […] e tutti i fratelli, uccisi da Achille […]. La madre da Artemide […]. Ettore, tu sei per me sposo e insieme padre, madre, fratello. Non fare il figlio orfano, me vedova.” Poi l’ultimo argomento, che cerca di adattare a un linguaggio maschile: la prudenza non è vigliaccheria, è anzi la scelta strategica opportuna. “Resta con noi sulla torre, raduna l’esercito presso il fico selvatico: lì le mura sono più deboli, lì bisogna schierarsi a difendere, senza scendere avventatamente in campo.”

L’eroe, però, non segue il codice della strategia ma quello dell’onore, che dice proprio di esporsi al nemico. E non c’è voce al mondo che possa spiegare questo bisogno di destino tragico a una moglie e a un figlio che vogliono vivere. Ora, nel confronto con la voce femminile, non si può più evitare il dolore. Scomparso il sospetto di un sottile bisogno di potere, che stava acquattato dietro le parole della madre o di Elena, scomparsa l’intenzione segretamente avversaria nella voce di donna, rimangono sincerità e malinconia, che Ettore riconosce perché sono anche le sue. Scomparsa la contrapposizione rimane l’identità.

Con l’Iliade l’epica e la letteratura stessa dell’Occidente stanno cominciando. Ma l’amore sembra quasi terminare proprio con quest’opera. Perché il dialogo fra Ettore e Andromaca annuncia malinconia e fine? Perché la sua delicatezza non sarà più superata? Ci saranno ancora grandi passioni, ma mai più un’armonia di sentimenti come questa. Omero non ci lascia solo il canone di epica, ma anche quello dell’amore che non si piega e non si discute. Lo canta per la prima volta, ma per tutti i tempi.

“Lo so. So tutto questo. Ma avrei troppa vergogna dei Troiani e delle Troiane se non fossi in battaglia. Da sempre ho imparato a esser forte […] In fondo al cuore, so anche che Troia scomparirà, e con lei Priamo e tutto il suo popolo. Ma non penso al loro dolore, e a quello del padre, della madre o dei fratelli: penso a te […] alle tue grida quando gli Achei ti strapperanno via. Quel giorno sarò già stretto dalla terra.”

Dette queste parole, Ettore tende le braccia al figlio. Ma il bambino si rifugia contro il petto della balia con un grido, spaventato dall’armatura e dall’elmo sovrastato da un’impressionante chioma. A questo punto, padre e madre sorridono. Ettore si sfila l’elmo e lo pone a terra e può abbracciare il figlio. Risvegliato dal piccolo incidente, Ettore avverte ora il pericolo di chiudersi in una malinconia dove tutto è già accaduto. Formulando un augurio per il futuro, leva il figlio in alto con le braccia e con il pensiero. Questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del padre. […]

In Ettore, la figura paterna mostra un’unilateralità singolare. Come Abramo quando alza il coltello su Isacco, ha uno sguardo pieno di rispetto verso l’alto, non verso il basso. È esemplare quando onora il padre celeste, impacciato quando è padre a sua volta. Giungendo dalla battaglia, Ettore dà prova di devozione verso Zeus, padre degli uomini e degli dei. Rifiuta l’invito della madre a libare in onore del dio, perché porta su di sé la polvere e il sangue della battaglia. Ma a questa consapevolezza del rapporto con il padre celeste, non corrisponde una consapevolezza del rapporto con il figlio terrestre: un’immagine chiara di sé come padre, quindi. È cosciente delle incrostazioni di polvere e sangue, ma dimentica di portare su di sé anche l’intera crosta difensiva, l’armatura. Ora, la corazza non lo difende dal nemico, ma dal figlio.

Come in ogni esistenza complementare, per essere padre non basta sapere cos’è il padre: bisogna conoscere il figlio e il rapporto con lui. Inaspettatamente, quest’uomo senza arroganza non riesce a chinarsi verso un bambino. Ciò significa che non sente più l’infanzia dentro di sé. La troppa consuetudine con adulti guerrieri lo rende straniero a essa.

Ettore prega per il bambino, sfidando le leggi dell’epica in suo favore:

“Zeus e voi altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: ‘È molto più forte del padre’.”

Parole rivoluzionarie. La preghiera di Ettore ha travolto l’onnipotenza immobile del mito, rendendo il bambino figlio, e il figlio speranza in qualcosa di migliore dei tempi mitici. Per dare forza a un passato che doveva essere modello irraggiungibile, l’epica ricordava sempre che gli uomini diventano più deboli con il passare delle generazioni: proprio Ettore scaglia un sasso “quale a malapena due uomini robusti dei nostri giorni saprebbero sollevare”. Ma Ettore prega gli dei perché accordino proprio il contrario: che suo figlio diventi più forte di lui. Oggi non è facile immaginare un padre altrettanto generoso. Le interpretazioni oggi prevalenti vedono nei rapporti padre-figlio una costante presenza di invidia e di gelosia omicida. Ma la mentalità moderna, nell’atto stesso in cui ha inventato un simile sospetto, ha anche cercato di negare che si tratti di una interpretazione recente, attribuendone l’origine proprio al mito greco: secondo la teoria di Freud, la rivalità omicida tra padre e figlio maschio risalirebbe al re greco Edipo. Scontando questa interpretazione, la diffidenza tra le generazioni è diventata un fatto stabile: sono proprio i padri moderni quelli a cui non è più concesso farsi sorprendere senza armatura.

Ad Astianatte è invece riuscito ciò che per i Greci era quasi impensabile: fare sperare il padre nel futuro e congiungerlo in un attimo, in un unico sentimento, alla madre. Due esseri così diversi da stentare a parlarsi, sono uniti dal figlio che non parla. La scena rompe l’austerità dell’epica con un anacronismo intimista e quasi cristiano.

A che cosa Ettore ha detto di no negli incontri con le donne? A loro o a un sentimento che anche lui possiede, ma che rifiuta come femminile? Sa superare la paura del nemico, ma ha paura di commuoversi? Che cosa significa questo eccesso di difesa in un guerriero che eccedeva invece nell’audacia?

E perché questa figura così lontana nel tempo, nell’irripetibile semplicità della sua vicenda, sa commuoverci più degli eroi di ogni epoca? Le sue parole ci arrivano immediate, come la voce di un amico, come un suono di sempre o di ieri appena.

Ettore è diventato eroe mitico perché Omero ne ha parlato. Non compariva in molti racconti, come altri eroi Greci. Anche in questo è un personaggio anomalo, non arrogante. In seguito, però, ogni epoca lo ha fatto suo.

È guerriero e padre di famiglia. Anche altri eroi epici hanno figli: ma tra questa condizione e quella del combattente non corre rapporto. Ettore è invece l’una cosa in funzione dell’altra: guerriero perché padre. Affondata nei tempi epici, la generosità paterna è una sua anomalia scandalosamente intellettuale; ed è un primo motivo per cui lo sentiamo vicino.

Rispondi

1. Che significato ha il fatto che Ettore si tolga l’elmo di fronte al piccolo Astianatte?

2. In che cosa consiste l’onore di Ettore?

I colori della Psicologia - volume 2
I colori della Psicologia - volume 2
Secondo biennio del liceo delle Scienze umane