FINESTRE INTERDISCIPLINARI - L’arte della dialettica

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Filosofia & Pedagogia

L’ARTE DELLA DIALETTICA

Il termine “dialettica” significa in senso generale “arte del dialogare”: è quell’abilità che consente di presentare gli argomenti giusti per dimostrare una tesi o per far emergere il proprio punto di vista rispetto a quello di un altro interlocutore. Questa arte si afferma nel V secolo a.C. nell’ambiente socratico, che predilige il metodo delle domande e risposte. In realtà il procedimento dialettico, nella versione socratica, conduce alla consapevolezza di non sapere: sarà poi Platone a collegarlo alla conoscenza vera, mentre Aristotele lo connetterà con la conoscenza probabile, con l’opinione. Queste due concezioni della dialettica caratterizzeranno anche le epoche successive.

Se Kant attribuisce alla dialettica l’accezione di conoscenza illusoria, l’idealismo tedesco invece ne recupera il concetto platonico. È soprattutto Hegel che ricorre alla dialettica per spiegare il movimento dello Spirito secondo il ritmo di tesi, antitesi e sintesi, per cui l’Idea esce fuori di sé e diventa Natura, si articola, si moltiplica, per poi tornare a sé come Spirito. Nel pensiero contemporaneo il concetto di dialettica è stato ripreso, tra gli altri, da Gadamer, che ha riproposto la dialettica come la “logica” dell’esperienza ermeneutica, che si lega a quelle che egli chiama le «pre-comprensioni» o «pregiudizi», ovvero a quelle conoscenze che sono parte del vissuto della persona e che contribuiscono alla comprensione del presente.

In ambito pedagogico

La chiave dialettica è utilizzata, per esempio, per interpretare la questione nodale del rapporto fra teoria e prassi. Infatti, sia educatori che pedagogisti sono concordi nel sostenere la necessità di un’integrazione fra teoria e prassi, poiché una teoria non connessa alle problematiche educative si traduce in vuota riflessione, così come un lavoro educativo sul campo privo di una guida teorica rischia di essere dispersivo se non dannoso.

Sul piano delle realizzazioni concrete, però, spesso si incontrano molte difficoltà nell’attuazione di questa unità fra teoria e prassi. Secondo Bruner uno degli ostacoli maggiori è rappresentato da quella che egli chiama «pedagogia popolare», ovvero da quell’insieme di teorie scientificamente superate sul bambino, sul suo sviluppo e sull’apprendimento che guidano gli educatori sprovveduti nella quotidianità dell’esperienza educativa, ponendo un “filtro” negativo nella ricezione piena e diretta di teorie pedagogiche strutturate e valide.

Una soluzione a questo scollamento fra teoria e prassi viene per esempio, per citare un importante orientamento della pedagogia contemporanea, dal problematicismo pedagogico, il cui massimo interprete nella pedagogia italiana del Novecento è stato Giovanni Maria Bertin. Secondo questa prospettiva l’astrattezza della riflessione pedagogica può essere superata attraverso il ricorso a un modello educativo aperto, problematico appunto, che consente un raccordo diretto con l’esperienza educativa, in quanto rappresenta quella struttura intermedia che da una parte guida la pratica educativa e dall’altra si presta all’analisi critica in sede di interpretazione teorica. Questa ipotesi di lavoro permette di individuare una “guida” per l’azione educativa ancorata al contesto storico-sociale in cui si opera e, nel contempo, di condurre una riflessione dialettica sui possibili modelli educativi concretamente attuabili in quella determinata situazione educativa.

I colori della Pedagogia - volume 2
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