4.1 «Buoni cristiani e buoni cittadini»
Uomo di ricca umanità e di straordinarie capacità organizzative, don Bosco | ▶ L’AUTORE | dà una risposta concreta alle emergenze formative e sociali causate dall’incipiente industrializzazione e urbanizzazione, dando vita a iniziative educative rivolte alla gioventù emarginata e disagiata.Il sacerdote piemontese si trova a operare nella Torino della prima metà dell’Ottocento, dove vi sono molti ragazzi abbandonati a se stessi, in balia del degrado e della devianza morale. Da qui l’idea di coniugare la formazione religiosa e morale con quella professionale e culturale, in modo da consentire ai giovani deviati di acquisire le principali regole di vita e apprendere un mestiere, in grado di favorire un positivo inserimento nella società.
Don Bosco fa parte di quella nutrita schiera di santi sociali piemontesi, che assegna al lavoro non solo un valore economico, ma anche morale e spirituale, individuando nella formazione professionale un terreno d’intervento fertile sia per favorire l’emancipazione dei ceti più umili (contadini e operai) sia per arginare il fenomeno del distacco della popolazione dalla religione e dalla Chiesa, acuito dal propagarsi delle dottrine socialiste e delle ideologie materialiste.
La preoccupazione religiosa è certamente al centro dell’intera attività educativa di don Bosco. Ma la religione a cui guarda il sacerdote piemontese è scevra da formule di devozione rigide e artificiose. Egli propone ai suoi ragazzi una religiosità schietta e sincera, che va interiorizzata nel quotidiano e che deve guidare il giovane a essere buon cristiano e buon cittadino. Si tratta, pertanto, di un’educazione religiosa in cui il “bene della religione” coincide con il “bene della società” e concorre alla formazione della persona nella sua interezza.