Nell’Italia dei primi dell’Ottocento emerge un interesse sempre maggiore degli uomini di cultura nei confronti della formazione della coscienza nazionale del popolo. Si fa strada l’idea per cui la grandezza di uno Stato dipende dall’educazione del popolo, che va formato al sentimento nazionale.
Vincenzo Cuoco
Uno dei primi ad assegnare un valore politico all’educazione è l’avvocato molisano Vincenzo Cuoco (1770-1823). Egli vive in un periodo segnato da eventi rilevanti per l’Europa e l’Italia: la Rivoluzione francese, l’avanzata napoleonica, la restaurazione e i primi moti insurrezionali in Italia. Durante la fase napoleonica, nel 1806, è chiamato da Gioacchino Murat a far parte della commissione incaricata di organizzare il sistema d’istruzione pubblica del Regno di Napoli. Egli redige il Rapporto al re Gioacchino Murat e il Progetto di decreto per l’ordinamento della pubblica istruzione del Regno di Napoli (1809), che diventerà poi la base per i successivi progetti di riforma d’istruzione a Napoli e in altri Stati italiani.
Nel Rapporto Cuoco afferma che l’educazione deve avere tre caratteri fondamentali:
- universalità, in quanto deve comprendere tutte le scienze e tutte le arti;
- pubblicità, perché deve coinvolgere tutti i cittadini di uno Stato, uomini e donne;
- uniformità, rispetto a metodi, programmi e orari da seguire in tutto lo Stato.
Il progetto di Cuoco prevede tre livelli d’istruzione pubblica: quello primario gratuito, diffuso in tutto il territorio e rivolto a tutti; quello medio riservato a pochi, con una specializzazione nelle scienze «più necessarie alla vita»; e uno “sublime” o universitario. La concezione pedagogica di Cuoco rispecchia l’idea, tipica dell’epoca, di separazione tra l’educazione del popolo e quella delle classi dirigenti ma ha anche il merito di anticipare quella concezione di educazione nazionale, che avrebbe nutrito di lì a poco il pensiero e l’opera di alcuni dei più importanti protagonisti del Risorgimento, a cominciare da Mazzini.
Giuseppe Mazzini
Giuseppe Mazzini (1805-72) condivide con Cuoco l’idea del problema politico come problema principalmente etico e educativo. L’“agitatore genovese”, infatti, non va ricordato solo come il fondatore della Giovine Italia e della Giovine Europa, che trascina i giovani verso imprese rischiose: egli è anche colui che crede nell’educazione popolare quale ingrediente prioritario per la costruzione di un’Italia unita, indipendente e repubblicana.
Questa prospettiva è già evidente nel programma della Giovine Italia, ma giunge a maturazione soprattutto negli anni dell’esilio in Inghilterra. A Londra Mazzini entra in contatto con molti italiani, che vivono in condizioni di miseria. Per loro nel 1841 apre una scuola serale gratuita, dove circa un centinaio di fanciulli italiani apprende a leggere e scrivere ed è anche introdotto allo studio della storia e della geografia.
Ma il contributo maggiore di Mazzini alla cultura educativa dell’epoca va rintracciato soprattutto nella forte tensione educativa di cui si nutre il suo impegno politico, nel quale si possono individuare i seguenti principi cardine:
- una religiosità laica, per cui Dio si identifica con la stessa umanità; la fiducia nella libertà e nel progresso umano deve essere vissuta come una fede religiosa, e la rivendicazione dei diritti va accompagnata da una profonda consapevolezza dei doveri dell’uomo, che è strumento del disegno divino;
- la visione organicistica della società, per cui al di sopra dell’individuo c’è la famiglia, al di sopra della famiglia la nazione e al di sopra della nazione c’è l’umanità;
- l’educazione popolare, quale elemento imprescindibile per formare quella coscienza nazionale, indispensabile per realizzare l’indipendenza dell’Italia attraverso la via dell’insurrezione popolare.
Il tema dell’educazione nazionale, così rilevante nella riflessione di Cuoco e Mazzini, sarà dominante nei dibattiti pedagogici e nelle politiche scolastiche del secondo Ottocento e dei primi del Novecento, fino a connotare anche la riforma scolastica varata dal ministro Gentile nel 1923.