1 - La scuola infantile di Aporti

1. La scuola infantile di Aporti

1.1 Istituzioni educative nel periodo risorgimentale

Lungo il complesso processo spirituale, culturale, politico e sociale cui è dato il nome di “Risorgimento▶ APPROFONDIAMO| – che, iniziato alla fine del Settecento, condurrà all’unificazione politica della penisola italiana –, l’educazione popolare è considerata di fondamentale importanza per la formazione di una coscienza politica nazionale ▶ APPROFONDIAMO, p. 330 |.

Nel periodo pre-unitario i principali esperimenti nel campo delle istituzioni educative sono portati avanti nell’Italia settentrionale, da due esponenti della Chiesa: Ferrante Aporti, che si dedica all’educazione infantile, e Giovanni Bosco, che opera nel campo della formazione professionale. Aporti, che ricoprì anche incarichi di ambito scolastico, morì pochi anni prima della proclamazione del Regno d’Italia, mentre l’azione di don Bosco si protrasse nei primi decenni di vita del nuovo Stato: ben più duratura fu però l’influenza di entrambi nel mondo della scuola.

approfondiamo  IL RISORGIMENTO

Con il termine “Risorgimento” si designa quel complesso movimento culturale, politico e sociale che portò alla “rinascita italiana” attraverso il raggiungimento dell’unità della penisola.

All’indomani del Congresso di Vienna l’Italia era divisa in numerosi Stati: il Regno di Sardegna guidato dai Savoia, il Lombardo-Veneto e il Ducato di Parma e Piacenza sotto gli Asburgo, il Ducato di Modena e Reggio retto dagli Asburgo-Este, il Granducato di Toscana affidato agli Asburgo-Lorena, lo Stato pontificio sotto il controllo papale e il Regno delle due Sicilie governato dai Borbone.

L’aspirazione all’unità e alla liberazione dal dominio straniero avevano animato società segrete come la Carboneria, che avevano dato vita a moti insurrezionali agli inizi dell’Ottocento, tutti approdati a un nulla di fatto. Differenti erano anche le idee che circolavano circa la fisionomia politica dell’auspicata Italia unita. Giuseppe Mazzini guardava a un’Italia repubblicana e democratica realizzata per tramite di insurrezioni popolari. Cesare Balbo e Massimo d’Azeglio, invece, auspicavano una discesa in campo della monarchia sabauda contro l’Austria. Vincenzo Gioberti, al contrario, voleva uno Stato federale affidato al governo del papa.

Nel 1848 Carlo Alberto di Savoia dichiara guerra all’Austria. Inizia la Prima guerra d’indipendenza, che però viene soffocata nel sangue dagli austriaci. In seguito, i Savoia ricorrono alle vie diplomatiche e, grazie all’azione di Camillo Benso di Cavour, si guadagnano l’appoggio della Francia contro l’Austria. Nel 1859 si svolge la Seconda guerra d’indipendenza, a seguito della quale i Savoia annettono la Lombardia. Nel 1860 il regno sabaudo annette i territori dell’Italia centrale attraverso una serie di plebisciti in cui i cittadini sono chiamati ad approvare tale unione. Nello stesso anno la spedizione guidata da Giuseppe Garibaldi caccia i Borbone dall’Italia meridionale. Il 17 marzo 1861 è proclamata la nascita del Regno d’Italia. Vittorio Emanuele II è il primo re della nuova nazione con capitale Torino. Nel 1866 l’Italia si allea alla Prussia contro l’Austria (Terza guerra d’indipendenza) e ottiene così il Veneto. Nel 1870 l’esercito italiano entra a Roma, che nel 1871 diviene capitale.

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approfondiamo  L’EDUCAZIONE NAZIONALE SECONDO CUOCO E MAZZINI

Nell’Italia dei primi dell’Ottocento emerge un interesse sempre maggiore degli uomini di cultura nei confronti della formazione della coscienza nazionale del popolo. Si fa strada l’idea per cui la grandezza di uno Stato dipende dall’educazione del popolo, che va formato al sentimento nazionale.

Vincenzo Cuoco

Uno dei primi ad assegnare un valore politico all’educazione è l’avvocato molisano Vincenzo Cuoco (1770-1823). Egli vive in un periodo segnato da eventi rilevanti per l’Europa e l’Italia: la Rivoluzione francese, l’avanzata napoleonica, la restaurazione e i primi moti insurrezionali in Italia. Durante la fase napoleonica, nel 1806, è chiamato da Gioacchino Murat a far parte della commissione incaricata di organizzare il sistema d’istruzione pubblica del Regno di Napoli. Egli redige il Rapporto al re Gioacchino Murat e il Progetto di decreto per l’ordinamento della pubblica istruzione del Regno di Napoli (1809), che diventerà poi la base per i successivi progetti di riforma d’istruzione a Napoli e in altri Stati italiani.

Nel Rapporto Cuoco afferma che l’educazione deve avere tre caratteri fondamentali:

  • universalità, in quanto deve comprendere tutte le scienze e tutte le arti;
  • pubblicità, perché deve coinvolgere tutti i cittadini di uno Stato, uomini e donne;
  • uniformità, rispetto a metodi, programmi e orari da seguire in tutto lo Stato.

Il progetto di Cuoco prevede tre livelli d’istruzione pubblica: quello primario gratuito, diffuso in tutto il territorio e rivolto a tutti; quello medio riservato a pochi, con una specializzazione nelle scienze «più necessarie alla vita»; e uno “sublime” o universitario. La concezione pedagogica di Cuoco rispecchia l’idea, tipica dell’epoca, di separazione tra l’educazione del popolo e quella delle classi dirigenti ma ha anche il merito di anticipare quella concezione di educazione nazionale, che avrebbe nutrito di lì a poco il pensiero e l’opera di alcuni dei più importanti protagonisti del Risorgimento, a cominciare da Mazzini.

Giuseppe Mazzini

Giuseppe Mazzini (1805-72) condivide con Cuoco l’idea del problema politico come problema principalmente etico e educativo. L’“agitatore genovese”, infatti, non va ricordato solo come il fondatore della Giovine Italia e della Giovine Europa, che trascina i giovani verso imprese rischiose: egli è anche colui che crede nell’educazione popolare quale ingrediente prioritario per la costruzione di un’Italia unita, indipendente e repubblicana.

Questa prospettiva è già evidente nel programma della Giovine Italia, ma giunge a maturazione soprattutto negli anni dell’esilio in Inghilterra. A Londra Mazzini entra in contatto con molti italiani, che vivono in condizioni di miseria. Per loro nel 1841 apre una scuola serale gratuita, dove circa un centinaio di fanciulli italiani apprende a leggere e scrivere ed è anche introdotto allo studio della storia e della geografia.

Ma il contributo maggiore di Mazzini alla cultura educativa dell’epoca va rintracciato soprattutto nella forte tensione educativa di cui si nutre il suo impegno politico, nel quale si possono individuare i seguenti principi cardine:

  • una religiosità laica, per cui Dio si identifica con la stessa umanità; la fiducia nella libertà e nel progresso umano deve essere vissuta come una fede religiosa, e la rivendicazione dei diritti va accompagnata da una profonda consapevolezza dei doveri dell’uomo, che è strumento del disegno divino;
  • la visione organicistica della società, per cui al di sopra dell’individuo c’è la famiglia, al di sopra della famiglia la nazione e al di sopra della nazione c’è l’umanità;
  • l’educazione popolare, quale elemento imprescindibile per formare quella coscienza nazionale, indispensabile per realizzare l’indipendenza dell’Italia attraverso la via dell’insurrezione popolare.

Il tema dell’educazione nazionale, così rilevante nella riflessione di Cuoco e Mazzini, sarà dominante nei dibattiti pedagogici e nelle politiche scolastiche del secondo Ottocento e dei primi del Novecento, fino a connotare anche la riforma scolastica varata dal ministro Gentile nel 1923.

1.2 Ferrante Aporti: i presupposti e gli orientamenti educativi

| Promotore instancabile dell’educazione della prima infanzia, Ferrante Aporti  L’AUTORE, p. 332 | fonda la prima scuola infantile italiana a Cremona nel 1828. L’istituto è rivolto ai fanciulli di età compresa tra i 2 e i 6 anni. È a pagamento e destinato solo ai bambini maschi delle famiglie agiate. Presto Aporti avverte l’esigenza di estendere questa esperienza educativa ai bambini appartenenti alle classi sociali più povere, con l’intento di offrire loro un’autentica possibilità formativa, gestita da insegnanti preparati, fondata su un metodo e un programma accuratamente predisposti.

L’iniziativa si colloca all’interno di un momento storico che vede il fiorire dell’interesse per l’educazione dei più piccoli in tutta Europa, come mostrano le infant schools inglesi e le salles d’asile francesi  APPROFONDIAMO |. Aporti vuole proporre una scuola che educhi e che non si limiti alla semplice assistenza e all’accudimento materiale dei fanciulli. Egli, infatti, punta il dito contro il vecchio modello delle “sale di custodia” e ne evidenzia tutti i difetti in un passo della lettera scritta nel 1830 all’amico viennese Joseph Wertheimer, mostrando una sottile ironia:

Fra noi esistono già da tempo immemorabile le scuole de’ piccoli fanciulli, ma governate e dirette da donnicciuole ignoranti che limitano le cure alla semplice custodia loro, reputando buona educazione fisica il tenerli in tutte le ore di scuola seduti sopra seggiole perforate, utile erudizione intellettuale apprender loro le più sciocche cantilene delle quali non poche sono laide, ed apice di educazione morale l’insegnar loro le preci solite a recitarsi nelle pubbliche liturgie in uno storpiato latino. Ora perché tutto ciò che ha l’aria di novità incontra maggiori ostacoli nella pubblica opinione, si propone l’erezione di una scuola sui metodi di Wilderspin da lei sì bene illustrati, siccome un miglioramento delle antiche istituzioni.

F. Aporti, Scritti pedagogici e lettere, intr. di A. Gambaro, a cura di M. Sancipriano e S.S. Macchietti, La Scuola, Brescia 1976, p. 324.

Il banchiere e filantropo ebreo Wertheimer aveva tradotto l’opera Sulla educazione e sulle scuole dei piccoli fanciulli di Samuel Wilderspin e ne aveva donato una copia ad Aporti, il quale aveva preso spunto dal modello educativo dell’educatore britannico, apportandovi i dovuti aggiustamenti legati al contesto italiano di radicata cultura cattolica, per la sua scuola infantile.

Queste sono le premesse dalle quali prende le mosse il modello educativo del sacerdote italiano, che propone una scuola infantile caratterizzata da un percorso formativo armonico, in grado di accompagnare lo sviluppo fisico, intellettuale e morale-religioso dei bambini.

per immagini

Ferrante Aporti tra i bambini

Questa illustrazione, che ritrae Ferrante Aporti attorniato dai bambini, è tratta da “Letture di famiglia. Giornale settimanale di educazione civile, morale e religiosa” (anno II, 1843), un periodico pubblicato dall’editore Pemba di Torino per offrire alle classi meno agiate letture che le aiutassero a raggiungere una elevazione morale e civile. Aporti propose una scuola destinata alle classi sociali più povere che non si limitasse alla semplice assistenza ma fosse soprattutto in grado di educare.

L'AUTORE  Ferrante Aporti

Ferrante Aporti nasce a San Martino dell’Argine (Mantova) nel 1791. Si forma presso il seminario di Cremona. Ricevuta l’ordinazione sacerdotale nel 1815, approfondisce la sua formazione a Vienna. Rientrato in Italia, inizia a insegnare presso il seminario di Cremona. Nel 1821 diviene direttore delle scuole elementari maschili della città, mentre nel 1826 tiene l’insegnamento di metodica per gli aspiranti maestri elementari. Nel 1828 organizza a Cremona la prima scuola infantile per bambini provenienti da famiglie benestanti. Nel 1831 apre, sempre a Cremona, la prima scuola infantile di carità gratuita maschile e l’anno seguente fonda una scuola infantile gratuita femminile, mentre nel 1833 istituisce nel suo paese d’origine una scuola per i bambini di campagna.

Da questo momento il destino di Aporti si lega indissolubilmente all’impegno educativo nel campo dell’educazione infantile. Nel 1844 è chiamato a tenere un corso di pedagogia presso la neonata Scuola superiore di metodo normale di Torino, istituita per la formazione dei futuri professori di metodica e per l’aggiornamento dei maestri. Nel frattempo, si occupa anche di altre iniziative educative (scuole festive, educazione dei ciechi).

Compromesso con le autorità austriache per il sostegno dato alla guerra di liberazione, trova a Torino la sua patria di adozione. Nel 1848 è nominato senatore del Regno di Sardegna e successivamente ricopre diversi incarichi in ambito scolastico fino al 1858, anno della sua morte.

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approfondiamo  DALLE SALLES D’ASILE AI KINDERGARTEN

Nel corso dell’Ottocento si registra un crescente interesse per l’educazione della prima infanzia, che porta alla nascita di istituzioni ad hoc.

Già negli ultimi decenni del Settecento il pastore evangelico Jean-Frédéric Oberlin (1740-1826) realizza a Ban de la Roche (Francia orientale) una salle d’asile rivolta ai bambini dei contadini e lavoratori del posto. Qui i bambini, guidati da maestre amorevoli (conduttrici dell’infanzia) sono liberi di giocare e di compiere esperienze educative che si pongono in continuità con il contesto rurale e artigianale di loro provenienza (contatto con la natura e giardinaggio). Le salles d’asile di Oberlin si diffondono rapidamente in Francia anche se presto degenerano in semplici “sale di custodia”, istituzioni caritative, in genere gestite da privati o da enti religiosi, destinate semplicemente all’accudimento dei bambini e spesso prive delle più elementari condizioni igienico-sanitarie.

Anche in Gran Bretagna l’interesse per l’educazione dei più piccoli porta alla nascita di istituzioni dedicate appositamente a loro: le infant schools. Particolare seguito ha in questo contesto l’esperienza di Samuel Wilderspin (1791-1866) che nel 1820 fonda la scuola infantile a Spitalfields, quartiere povero nella parte est di Londra. In questa scuola i fanciulli sono educati senza ricorrere alle punizioni, facendo leva su una relazione informale tra maestro e allievi, e un grande spazio è riservato all’educazione religiosa. Wilderspin diviene il principale promotore dell’educazione infantile inglese e, grazie ai suoi scritti, influisce molto anche sulla diffusione delle scuole dell’infanzia in altri paesi europei, come mostra il caso italiano (in particolare di Aporti).

Ma è soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, grazie alla diffusione dei Kindergarten sul modello di Fröbel, che si afferma una nuova idea di scuola dell’infanzia, più aderente alla psicologia infantile.

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1.3 Il metodo aportiano

Aporti sottolinea in prima istanza la necessità di promuovere nelle scuole infantili l’educazione e istruzione fisica, attraverso l’osservazione di stampe e semplici esercizi ginnici, così come con il rispetto delle principali norme igieniche circa il vitto, l’abito e l’ambiente scolastico e familiare.

Accanto alla dimensione fisica egli ritiene che debbano essere curate anche l’educazione e l’istruzione intellettuale, che si declinano nell’apprendimento della lingua materna mediante il metodo intuitivo o dimostrativo, per cui si parte dalla nomenclatura degli oggetti più comuni raffigurati in cartelloni per arrivare, poi, alla formulazione di concetti. Per i bambini più grandi prevede anche l’insegnamento dell’alfabeto, della lettura, della scrittura e quello dei calcoli più semplici. Aporti propone, pertanto, un programma di livello elementare, che garantisca ai fanciulli provenienti dalle classi più povere, i quali spesso sono immessi molto presto nel mondo del lavoro, l’acquisizione di una preparazione di base.

A fondamento di tutta la prassi educativa Aporti pone l’educazione e l’istruzione morale e religiosa del fanciullo. La componente morale e quella religiosa sono strettamente connesse, tanto che, mentre il bambino apprende le principali preghiere in italiano (e non in latino, che allora era ancora la lingua del culto), canti religiosi ed episodi di storia sacra, matura contestualmente l’abitudine alle buone maniere, all’ordine e alla socialità.

Aporti è il primo a occuparsi in Italia dell’educazione in età prescolare. Il suo modello educativo riscuote nell’immediato ampio consenso, grazie anche all’appoggio di molti esponenti del mondo liberale, come Camillo Benso conte di Cavour e Carlo Boncompagni, e del clero più attento alle esigenze dell’educazione del popolo. Ma l’iniziativa aportiana è anche duramente osteggiata dai gruppi conservatori, che vedono in essa uno strumento pericoloso di emancipazione delle classi più povere.

A partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento le scuole di Aporti entrano in crisi. Il metodo didattico è considerato statico, i programmi troppo vasti e “colpevoli” di anticipare parte del programma della scuola elementare. Le ragioni del declino del modello aportiano vanno rintracciate soprattutto nell’inadeguatezza degli insegnanti e nella diffusione dei giardini d’infanzia di Fröbel, che appaiono sin dall’inizio più aderenti alla pedagogia infantile e che soppiantano in poco tempo le scuole infantili di Aporti.

DA ORAIN POI

L’educazione infantile in Italia nel Novecento

In Italia, agli inizi del Novecento, la riflessione sull’educazione infantile è rilanciata dalle esperienze educative promosse dalle sorelle Agazzi e da Maria Montessori.

Il cosiddetto metodo Agazzi viene messo a punto dalle sorelle Rosa (1866-1951) e Carolina Agazzi (1870-1945) nell’asilo infantile di Mompiano (Brescia), dove le sorelle arrivano nel 1895. Esse spogliano il modello fröbeliano da ogni convenzionalismo, per dare vita a una scuola materna, concepita come una piccola casa, dove i bambini svolgono attività incentrate su:

  • un giardino con animali e piante;
  • un “museo delle cianfrusaglie”, nel quale sono raccolti gli oggetti trovati dai bambini (spaghi, rocchetti, bottoni e così via), che diventano materiale didattico;
  • i contrassegni, immagini di oggetti di uso comune che hanno lo scopo di abituare i bambini all’uso di parole sempre più lunghe e complesse.

Ben diversa è l’impostazione del metodo messo a punto da Maria Montessori (1870-1952), la cui fama è legata alle Case dei bambini (la prima delle quali fu inaugurata a Roma nel 1907). La Montessori, infatti, fa della scienza, in particolare della psicologia, uno degli strumenti di rinnovamento del metodo educativo e sottolinea l’importanza della predisposizione dell’ambiente educativo, che deve essere “a misura” del bambino per favorirne lo sviluppo intellettivo e per permettere al soggetto di muoversi in esso liberamente.

Durante il ventennio fascista viene istituita l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (Onmi), che ha l’obiettivo di difendere la famiglia e di incrementare la natalità. L’Onmi si fa promotrice dei primi asili nido per i bambini fino a 3 anni, istituendone anche nelle fabbriche con più di cinquanta donne lavoratrici. La Riforma Gentile del 1923 riconosce alla scuola materna (destinata ai bambini della fascia di età 3-6 anni) un valore educativo, definendola quale grado preparatorio non obbligatorio alla scuola elementare. Ma c’è da attendere gli anni Sessanta e Settanta per un’affermazione piena di queste istituzioni.

Nel 1968 nasce la scuola materna statale, come istituzione rivolta ai bambi dai 3 ai 6 anni inserita nel sistema scolastico nazionale. Dal 1991 si adotta per definirla l’espressione di “scuola d’infanzia”.

Risale al 1971 invece la prima legge sugli asili nido, rivolti ai bambini dai 3 mesi ai 3 anni, e gestiti dai comuni.

Un particolare contributo all’evoluzione della cultura infantile si deve alla fondazione del Gruppo nazionale di lavoro nidi e infanzia, nato a Reggio Emilia nel 1980 per iniziativa di Loris Malaguzzi. L’eredità del pedagogista emiliano è stata raccolta dal Centro internazionale per la difesa e lo sviluppo dei diritti e delle potenzialità dei bambini, sorto a Reggio Emilia nel 1994, che opera sulla scorta delle iniziative educative realizzate nei nidi e nelle scuole d’infanzia di Reggio Emilia, per promuovere esperienze educative di qualità nel mondo.

per lo studio

1. Qual è l’idea di Aporti riguardo alle vecchie “sale di custodia”?

2. Che tipo di visione ha dell’educazione religiosa?

3. Per quali ragioni propone una formazione intellettuale di livello elementare nelle sue scuole?


  Per discutere INSIEME 

Esprimi un giudizio personale sul modello educativo aportiano, tenendo conto del contesto storico di riferimento, e metti a confronto la tua opinione con quella dei compagni.

I colori della Pedagogia - volume 2
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L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane