T1 - Johann Heinrich Pestalozzi, L’insegnamento materno e il linguaggio

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Johann Heinrich Pestalozzi

L’insegnamento materno e il linguaggio

Nel brano che segue, tratto dal romanzo Leonardo e Gertrude, Pestalozzi valorizza il ruolo educativo della madre, colta nell’atto di insegnare il linguaggio ai suoi figli, partendo da situazioni concrete, che permettono un’acquisizione spontanea delle parole, all’interno di contesti di vita reali.

Quanto più Gertrude s’affaticava a sviluppare per tempo nei suoi figli le abilità nel lavoro, tanto meno s’affrettava ad insegnar loro a leggere ed a scrivere, sì invece a parlare correttamente e con precisione […].

All’infuori dell’insegnamento dei suoni e delle semplici parole che ne derivano, ella non pronunciava nessuna parola dinanzi ai figli con la pura ed unilaterale intenzione d’insegnar a parlare, ancora meno con l’intenzione di far acquistare loro delle cognizioni, insegnando loro a parlare; e non si preoccupava affatto d’insegnare i nomi degli oggetti, che essi già conoscevano, come vera e propria materia di studio e di farglieli pervenire alle loro orecchie. Ella parlava con i figliuoli sopra gli oggetti da loro conosciuti solo ed esclusivamente per contribuire a far loro conoscere, anche per mezzo del linguaggio, il fatto della vita, le impressioni prodotte dalle intuizioni e le conseguenze delle loro esperienze nei riguardi di questi oggetti secondo i loro rapporti con essi1.

Guidata da questo criterio, ella, nei riguardi del linguaggio, non usava il linguaggio dell’insegnamento della madre che insegna, ella non diceva mai al suo figliuolo: «Bimbo, questa è la tua testa, questo è il tuo naso, questa è la tua mano, questo è il tuo dito» ecc. […]. Al contrario usava il linguaggio proprio di chi ha cura di altri, il linguaggio della madre amorevole e diceva spinta dal bisogno del figlio e vivendo l’atto stesso delle sue cure: «Vieni, bambino, voglio lavarti le manine; voglio pettinarti i capelli; voglio tagliarti le unghie; pulisciti il naso; non tenere curvo il capo».

Ogni parola che essa pronunciava con il suo bambino era in intimo nesso con la verità della sua vita e del suo ambiente e sotto questo riguardo era lo spirito e la vita stessi. L’insegnamento della lingua scompariva quasi nello spirito e nella vita della sua reale attività, da cui l’insegnamento procedeva ed a cui ritornava. […]

Ella donava ai figli tutto quello che essa sapeva, aveva e poteva fare. Nella sua povertà questo era assai poco, ma anche le minime e le più lievi cose che essa dava loro, erano grandi ed educative, per il modo, per l’intima forza, per l’amore, con cui essa le donava. Ogni singola parola del suo insegnamento, in quanto procedeva, per così dire, dal complesso della sua vita, intimamente fusa con la vita dei suoi figli, non compariva come una singola parola, ma come una qualche cosa che, procedendo dal complesso del suo essere e dei suoi rapporti materni, per mezzo della intima unione in cui vivevano tra loro, era insita in loro già in germe e, per così dire, in precedenza2.

Rispondi

1. In che senso Pestalozzi afferma che la madre «non si preoccupava affatto d’insegnare i nomi degli oggetti […] come […] materia di studio»?

2. Che tipo di nesso viene stabilito da Pestalozzi tra l’apprendimento del linguaggio e l’ambiente di vita reale?

3. In che senso secondo Pestalozzi il bambino che apprende il linguaggio seguendo l’insegnamento materno contiene già in sé «il germe» delle parole?

 >> pagina 319

|⇒ T2  Friedrich Wilhelm August Fröbel

Il prodotto più puro della vita infantile: il gioco

L’educazione dell’uomo rappresenta l’unica opera organica nella quale Fröbel espone i suoi principi educativi. Nel testo egli illustra anche la sua visione del gioco come attività naturale e spontanea del fanciullo, che va coltivata e favorita in ogni modo dai genitori e poi anche dagli educatori, perché attraverso essa si possono individuare i germi dell’uomo futuro. Il suo rapporto con gli altri e con il mondo, la sua dedizione al lavoro, trovano i presupposti nella vita infantile e si costruiscono in prima istanza attraverso il gioco.

Giuocare: il giuoco rappresenta il grado più alto dello sviluppo infantile, dello sviluppo umano in questo periodo; poiché esso è libera manifestazione ed attiva rappresentazione del mondo interiore, per necessità e bisogno dell’interno stesso1 […].

Il giuoco è il prodotto più puro e più spirituale dell’uomo in questa età, ed è allo stesso tempo il modello ed il ritratto di tutta la vita umana, della segreta vita naturale che vive nell’intimo di ogni uomo e di ogni cosa. Esso procura gioia, libertà, soddisfazione. Dona tranquillità in sé e fuori di sé, e pace con il mondo. In esso si trovano e da esso scaturiscono le sorgenti di ogni bene. Un bambino che giuoca con bravura, attivamente, tranquillamente e costantemente, continuando fino alla stanchezza fisica, diverrà certamente un uomo bravo, tranquillo e costante, capace di sacrificarsi al bene suo e degli altri. Il bambino che giuoca, che è tutto assorto e si addormenta giuocando, non è forse la più bella apparizione della vita infantile?2

Il giuoco in questa età […] non è solo cosa giocosa, ma è cosa di alta serietà e di profondo significato; la madre lo curi e lo alimenti ed il padre lo difenda e lo protegga. All’occhio tranquillo e penetrante di chi conosce veramente gli uomini, il giuoco, liberamente e attivamente scelto dal bambino in questa età, rivelerà la futura vita spirituale del bambino stesso.

I giuochi di questa età sono i germi di tutta la vita futura; poiché in essi tutto l’uomo si rivela, sviluppandovi le sue più elevate doti, la sua intima natura. Tutta la vita futura dell’uomo, fino al momento in cui egli la perderà, ha le sue radici in questo periodo, da esso dipende se la vita stessa sarà chiara o torbida, quieta o tumultuosa, serena o tempestosa, attiva o pigra, ricca o povera di azioni, se trascorrerà in scuri pensieri o in chiare creazioni, se considererà le cose con oscuro stupore o con chiaroveggenza, se sarà formativa o distruttrice, se apporterà concordia o discordia, guerra o pace3.

Rispondi

1. Perché per Fröbel il gioco rappresenta «il grado più alto dello sviluppo infantile»?

2. È giusto affermare che per Fröbel il gioco è il “lavoro del bambino”?

3. In che termini egli collega il gioco alla vita futura del fanciullo?

 >> pagina 320

|⇒ T3  Johann Friedrich Herbart

La virtù e la multilateralità degli interessi

Scritto per gli studenti in forma di dispensa, il Compendio delle lezioni di pedagogia offre una panoramica molto efficace della pedagogia herbartiana, grazie anche all’impostazione pratica e al carattere sintetico dell’esposizione. Nel brano che segue Herbart si sofferma sul rapporto tra virtù, fine ultimo dell’educazione, e gli interessi del soggetto, che per il pensatore tedesco rappresentano il motore primo dell’azione educativa.

Il fine ultimo dell’insegnamento sta già nel concetto di virtù. Tuttavia lo scopo prossimo, che gli si deve assegnare, per raggiungere l’obiettivo ultimo, si può rendere con l’espressione: moltilateralità dell’interesse. La parola interesse designa in generale il tipo di attività dello spirito, che l’insegnamento deve provocare; per questo non ci si può contentare del puro sapere. Infatti lo si pensa come un patrimonio, che potrebbe anche essere insufficiente, senza che l’uomo per tale motivo sia modificato. Chi invece tiene a quanto ha imparato e cerca di ampliarlo, questi se ne interessa. Siccome però questa attività dello spirito è molteplice, deve aggiungersi la specificazione, che è data dalla parola moltilateralità1.

Si può certo distinguere un interesse mediato dall’immediato. Ma l’interesse mediato porta, quanto più è dominante, all’unilateralità, quando non addirittura all’egoismo. All’egoista tutto interessa solo in quanto gli reca vantaggio o danno. L’unilaterale assomiglia all’egoista, anche se egli stesso non ne è cosciente; infatti riferisce ogni cosa alla ristretta cerchia per la qual vive e pensa. Ora in questa cerchia sta la forza del suo spirito; ciò che non lo interessa come mezzo per i suoi fini limitati, diventa per essa un peso2.

Quanto al concetto di virtù si deve ricordare che anche la moltilateralità dell’interesse immediato, quale dev’essere prodotta dall’insegnamento, è ancora ben lontana dalla virtù, ma che, al contrario, quanto più povera è l’originaria attività dello spirito, tanto meno c’è da pensare alla virtù – soprattutto nella varietà della sua possibile azione. Gli stupidi non possono essere virtuosi. I cervelli devono essere desti3. […]

Non solo l’unilateralità, ma anche la dispersione è contraria alla molteplicità. La virtù è una proprietà della persona. La moltilateralità dev’essere il fondamento della virtù; certo però l’unità della coscienza personale non ne deve soffrire. L’insegnamento deve formare la persona moltilateralmente e non agire in forma dispersiva; non lo farà in colui che con facilità domina un sapere bene ordinato in tutte le sue connessioni e lo mantiene organico come cosa propria4.

Rispondi

1. Che rapporto c’è secondo Herbart tra virtù e molteplicità di interessi?

2. In che termini distingue tra interesse mediato e interesse immediato?

3. Che cosa intende Herbart quanto afferma che «Non solo l’unilateralità, ma anche la dispersione è contraria alla molteplicità»?

I colori della Pedagogia - volume 2
I colori della Pedagogia - volume 2
L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane