1 - Pestalozzi e l’educazione popolare

1. Pestalozzi e l’educazione popolare

1.1 Le esperienze educative

In Svizzera, in questi anni al centro del dibattito pedagogico, spicca la figura di Johann Heinrich Pestalozzi  L’AUTORE, p. 294 |. Educatore e pedagogista, egli spende tutta la sua esistenza nell’occuparsi dell’educazione del popolo, intesa come formazione intellettuale, morale e professionale condotta sotto la guida di un educatore attento ai valori e alle radici socio-culturali del popolo, in questo in accordo con alcune tematiche del Romanticismo  APPROFONDIAMO, p. 296 |.

Se è vero, dunque, che l’educazione popolare rappresenta la meta verso cui Pestalozzi dirige ogni suo sforzo ed energia, va anche ricordato che le sue idee in materia non rimangono sempre uguali, ma si modificano nel corso degli anni.

Gli inizi: Neuhof e Stans
Durante la prima esperienza educativa di Neuhof Pestalozzi punta soprattutto sulla preparazione professionale connessa con l’educazione morale e la pratica della pietà religiosa. Nell’azienda agricola e nella filanda di cotone i fanciulli poveri ricevono una formazione teorica, che permette loro di acquisire un’istruzione di base, e una formazione pratica, che li prepara al mondo del lavoro. Le due componenti del piano formativo sono strettamente intrecciate, tanto che spesso le attività mnemoniche si svolgono durante gli esercizi di filatura.

Venti anni dopo, a Stans, la prospettiva è diversa. Pestalozzi ha avuto modo di sviluppare la sua riflessione pedagogica e di esplicitarla attraverso alcuni dei suoi scritti più importanti. La direzione dell’orfanotrofio di Stans, nonostante duri solo pochi mesi, gli permette di definire alcuni elementi cardine del suo metodo educativo. Egli si trova a lavorare con bambini che hanno subito forti deprivazioni affettive e per di più non può contare su collaboratori preparati. Questa situazione di partenza lo porta a stabilire che:

  • l’amore deve essere il presupposto di ogni intervento educativo;
  • tutti gli alunni vanno stimolati attraverso un metodo elementare, vicino alle modalità di apprendimento dei fanciulli stessi, ad acquisire le nozioni fondamentali del sapere;
  • gli alunni migliori devono diventare i collaboratori dell’insegnante attraverso la pratica del mutuo insegnamento, che assegna agli studenti più dotati il compito di seguire nella ripetizione delle lezioni piccoli gruppi di studenti.

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Pestalozzi e gli orfani di Stans

Il pittore svizzero Albert Anker, seguace di Pestalozzi, è l’autore di questo quadro: al riparo dalle minacciose strutture industriali che si stagliano dietro la finestra, quasi a nascondere la montagna, Pestalozzi tiene in braccio un bimbo addormentato, mentre altri gli si fanno intorno in un’atmosfera di calda intimità.

A Stans, dove si trova a lavorare con bambini che hanno vissuto esperienze traumatiche, il pedagogista svizzero giunge alla convinzione che il presupposto di ogni intervento educativo debba essere l’amore.

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L'AUTORE  Johann Heinrich Pestalozzi

Pestalozzi nasce a Zurigo nel 1746. Rimane presto orfano di padre e viene educato, insieme al fratello e alla sorella, dalla madre e dalla domestica Babeli: l’ambiente familiare, colmo di affetto, incide molto sul carattere di Johann, che sviluppa una fertile immaginazione e un animo sensibile e generoso. Sulla sua personalità influiscono anche i soggiorni in campagna presso il nonno paterno e lo zio materno medico.

Frequenta la scuola pubblica dalle elementari fino al Collegio Carolino (di livello universitario), senza però terminare gli studi di diritto. Entra presto in contatto con la Società Elvetica – istituzione di carattere culturale e filantropico dagli intenti patriottici – e si accosta alla cultura illuministica e al pensiero pedagogico e politico di Rousseau. In questo periodo conosce Anna Schulthess, che sposa nel 1769. Con lei si trasferisce nel 1770 a Birr, dove acquista una vasta estensione di terreno e dà vita a un’azienda agricola con annessa filanda, che chiama Neuhof (“Cortenuova”). È la sua prima istituzione educativa dedicata ai fanciulli poveri. L’esperienza però fallisce, soprattutto per le scarse capacità gestionali di Pestalozzi, che chiude l’istituto nel 1779.

Segue un lungo periodo di riflessione, nel corso del quale Pestalozzi scrive le sue opere più importanti. Nel 1781 esce il primo libro del romanzo pedagogico Leonardo e Gertrude (gli altri saranno pubblicati nel 1783, 1785 e nel 1787), mentre al 1797 risale lo scritto di carattere filosofico Mie indagini sopra il corso della natura umana nello svolgimento del genere umano.

Nel 1799 torna all’attività di educatore e assume la direzione dell’orfanotrofio di Stans. L’esperienza è molto breve. Subito dopo si trasferisce a Burgdorf, dove organizza una scuola indirizzata ai figli delle famiglie borghesi nel castello della città. Si apre un periodo piuttosto sereno, nel corso del quale Pestalozzi ha modo di sperimentare il suo metodo educativo e di trasferire le sue riflessioni metodologiche in numerosi scritti: Il metodo (1800), Come Gertrude istruisce i suoi figli (1801), Sillabario (1801), L’ABC dell’intuizione (1801) e il Libro delle madri (1803). Questa fase positiva della sua vita è però straziata dal dolore per la morte dell’unico figlio Jacqueli (1801), così chiamato in onore di Rousseau.

Chiusa nel 1804 l’iniziativa di Burgdorf dal governo cantonale di Berna per sospette simpatie “rivoluzionarie” di Pestalozzi, questi si trasferisce nel 1805 a Yverdon, dove fonda una struttura molto complessa, nella quale ospita classi che vanno dalle elementari alle superiori, una scuola per maestri e un convitto. L’istituto raggiunge presto fama mondiale e viene visitato da numerosi pedagogisti stranieri. Pestalozzi non interrompe la sua attività di riflessione sull’educazione popolare che confluisce in due scritti: Idee, esperienze e mezzi per promuovere un’educazione conforme alla natura umana e Educazione del popolo ed industria (1806).

La notorietà dell’istituto di Yverdon non è però esente da polemiche, accese dal rapporto parzialmente negativo redatto dal pedagogista svizzero padre Grégoire Girard (1765-1850), dopo la visita da lui compiuta nel 1809 per conto della Dieta della Confederazione svizzera. Ma la causa principale che porta nel 1824 alla chiusura della struttura va imputata ai contrasti scaturiti tra i collaboratori di Pestalozzi. Questo stato di cose conduce il pedagogista a mettere in dubbio la funzione educativa della scuola. Infatti, nelle lettere scritte tra il 1818 e il 1819 e pubblicate sotto il titolo Madre e figlio, celebra l’educazione materna.

Pestalozzi trascorre i suoi ultimi anni a Neuhof, amareggiato e solo (la moglie Anna era morta nel 1815). Qui scrive Il canto del cigno, il testamento spirituale nel quale sintetizza le sue esperienze educative e le teorie pedagogiche. Muore il 17 febbraio 1827 a Brugg.

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L’evoluzione del metodo: Burgdorf e Yverdon
Nella scuola di Burgdorf Pestalozzi parte da una condizione iniziale molto diversa: ha a disposizione collaboratori preparati e una scolaresca proveniente dal ceto medio. Questo stato di cose gli permette di consolidare il suo metodo educativo.

Per un verso gli insegnanti sono orientati a specializzarsi in specifici ambiti disciplinari e partecipano alla scrittura del testo rivolto ai genitori Libro delle madri e di quello diretto agli insegnanti ABC dell’intuizione, mentre sul fronte del programma formativo si segue il metodo elementare intuitivo o oggettivo, per cui ogni insegnamento deve partire dall’osservazione diretta del bambino ed essere incentrato sull’intuizione, che rappresenta per Pestalozzi il fondamento naturale delle esperienze conoscitive del fanciullo.

Sul piano della pratica didattica l’educatore di Zurigo organizza le attività a partire da tre gruppi di discipline, espressione diretta dei tre elementi fondamentali dell’intuizione:

  • il numero, sviluppato attraverso l’aritmetica e il calcolo;
  • la forma, insegnata attraverso la geometria, il disegno e la scrittura;
  • il nome, collegato all’apprendimento della lingua.

Ogni insegnamento deve procedere con gradualità, per cui – per esempio – la lingua viene insegnata a partire dal suono, dal canto, per poi procedere con la sillaba, la parola e la frase. Gli alunni, poi, non sono suddivisi in classi fisse, ma in gruppi che cambiano a seconda delle competenze dei ragazzi nelle varie aree disciplinari. Il percorso formativo è completato da una educazione al lavoro, che non si traduce più nella preparazione a un mestiere, ma in una forma mentis che serve ad acquisire l’idea del lavoro come valore sociale, in previsione della vita adulta.

Chiuso l’istituto di Burgdorf dalle autorità politiche, Pestalozzi si trasferisce a Yverdon, dove fonda nel 1805 una scuola-convitto a pagamento, che arriva a ospitare centocinquanta alunni di entrambi i sessi e quindici insegnanti. L’istituto raggiunge una fama europea, accoglie molti studenti stranieri e numerose sono le visite di autorevoli protagonisti del mondo culturale del tempo, come Robert Owen, Andrew Bell e Friedrich Fröbel. Si prosegue il sentiero tracciato a Burgdorf e molti collaboratori di Pestalozzi sviluppano metodi didattici efficaci, come Joseph Schmid per la matematica. Ma a fronte di questi buoni risultati si registra anche un irrigidimento delle pratiche educative. La costante preoccupazione di Pestalozzi di trovare un metodo di base per l’educazione popolare degenera in una precettistica particolareggiata e in un eccessivo mnemonismo, che entrano in conflitto con la libera espressione dell’intuizione infantile. L’educatore svizzero diviene presto consapevole della situazione, ma non riesce a introdurre i giusti correttivi.

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approfondiamo  IL ROMANTICISMO

Il movimento romantico nasce in Germania e in Inghilterra alla fine del XVIII secolo e si diffonde in Europa nei primi decenni dell’Ottocento. Le sue origini si possono rintracciare nel movimento letterario dello Sturm und Drang (“Tempesta e impeto”, dal titolo di un’opera di Friedrich Maximilian Klinger), sorto in Germania negli anni Settanta del Settecento, che assume come unica guida esistenziale e fonte di ispirazione artistica il sentimento. Esempio emblematico di questa concezione è il protagonista del romanzo di Johann Wolfgang von Goethe I dolori del giovane Werther, che può essere considerato simbolo del movimento, in quanto vive con passione assoluta un amore impossibile fino ad arrivare al suicidio.

Il termine “romanticismo” deriva dall’inglese romantic, adottato inizialmente per indicare i romanzi cavallereschi e poi associato all’idea di “pittoresco”, a ciò che è spontaneo e selvaggio e alle emozioni “sublimi” destate da determinati paesaggi, opere artistiche e letterarie o antiche rovine, davanti alle quali l’uomo percepisce la potenza della natura e il mistero delle sue creazioni.

Le tematiche principali

Sebbene il Romanticismo assuma connotazioni e sfumature diverse a seconda dei paesi e degli ambiti culturali di espressione, si possono cogliere alcuni tratti costanti, come la rivalutazione del sentimento e della fantasia, della spontaneità e della soggettività e della stessa religiosità cristiana, che sono celebrati in contrapposizione al razionalismo e intellettualismo dell’epoca precedente; così come emerge – di contro al classicismo inteso come riproposizione pedissequa dei canoni estetici del mondo classico greco e latino – l’interesse e il recupero delle civiltà medievali, dei valori di nazionalità e della cultura popolare.

Così molti romantici celebrano il Medioevo come il periodo in cui nascono le lingue e le culture nazionali, scegliendo ambientazioni medievali per i loro romanzi. È questo il caso di Walter Scott e di Victor Hugo. Altri, come i poeti inglesi Wordsworth e Coleridge, condannano la nascente società industriale, perché distrugge la natura e sostituisce alla spontaneità del mondo contadino il calcolo utilitaristico del progresso.

Ma il Romanticismo è un movimento che presenta anche molte contraddizioni, per cui non tutti gli intellettuali dell’epoca amano il popolo: anzi, non mancano esempi di intellettuali, come il poeta inglese George Byron, che lo disprezzano e vivono nel tentativo di incarnare l’ideale dell’eroe solitario, che risponde a un’ispirazione superiore, per cui fugge la mediocrità sognando mondi favolosi oppure viaggiando verso terre lontane ed esotiche.

In Italia il movimento romantico si collega al Risorgimento e appare meno legato, rispetto a quello nordico, ai temi fantastici. La letteratura e la pittura si ispirano spesso a fatti del passato per alludere al presente, come nei dipinti di Hayez.

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Gli ultimi anni
Dopo un quindicennio di attività l’istituto di Yverdon chiude i battenti, lasciando dietro di sé una scia di polemiche, che rattristano gli ultimi anni di vita di Pestalozzi. Ciononostante egli non smette di lavorare al perfezionamento del suo metodo educativo e nell’ultima sua grande opera, Canto del cigno, giunge a un ripensamento globale della sua attività educativa e pedagogica. Pestalozzi recupera l’idea della “vita che educa” e rifiuta ogni forma di irrigidimento metodologico, mettendo in evidenza che l’azione educativa deve muovere dall’individualità dell’educando raccordandosi con il contesto socio-culturale esistente. In particolare, rispetto alla formazione dei fanciulli poveri Pestalozzi ribadisce che l’intervento educativo deve sì sviluppare le disposizioni naturali del soggetto e contribuire alla sua emancipazione, ma deve anche essere condotto con adesione profonda alla vita reale, il che impone da parte del soggetto un’accettazione positiva della propria condizione sociale.

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1.2 Il pensiero pedagogico

Grande ammiratore di Rousseau, Pestalozzi concorda sul fatto che l’educazione deve partire dall’individualità del fanciullo e far leva sul suo interesse personale, ma crede anche nella funzione educativa della società e ciò lo porta a rivedere l’idea rousseauiana di educazione negativa e a rivalutare in particolare il ruolo della famiglia.

La famiglia per Pestalozzi è il luogo naturale dell’educazione morale e della prima formazione intellettuale del fanciullo, che attraverso il rapporto privilegiato con la madre inizia a conoscere il mondo circostante e le norme che lo regolano. Per l’educatore svizzero la scuola si deve rifare al modello educativo familiare e nel particolare contesto storico del momento, dominato da profonde modificazioni sociali, culturali ed economiche, legate allo scoppio della Rivoluzione francese e all’avvio della rivoluzione industriale, è spesso chiamata a supplire alle carenze educative delle famiglie rilevabili soprattutto nei ceti popolari.

Pestalozzi riconosce al genitore e all’educatore una funzione di mediazione tra fanciullo e società ineludibile, nella quale recupera il concetto di disciplina di Kant, per cui le naturali inclinazioni dell’individuo necessitano di regole esterne, in grado di favorire l’adesione a una vita morale ben inserita nel tessuto dei rapporti sociali.

Secondo l’educatore svizzero, inoltre, il percorso educativo di ciascun individuo deve garantire lo sviluppo armonico, equilibrato e continuo delle tre “forze” che costituiscono la spiritualità dell’uomo:

  • la forza del cuore, dalla quale dipende il volere, vale a dire le facoltà morali della persona;
  • la forza della mente, dalla quale deriva il sapere e dunque le facoltà conoscitive;
  • la forza del braccio, dalla quale discende il “potere”, ovvero le attività tecnico-pratiche con le quali si agisce nel mondo.

Pestalozzi assegna un primato indiscusso alla formazione morale, tanto che ritiene che in funzione di essa vadano curate anche quella intellettuale e quella pratico-professionale. Per l’educatore svizzero, infatti, l’educazione rappresenta lo strumento principale per l’elevazione di ogni uomo alla dignità di essere spirituale ed è in questa prospettiva che va sviluppata la formazione integrale del soggetto.

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Leonardo e Gertrude
Il pensiero pedagogico di Pestalozzi è racchiuso nel romanzo pedagogico-sociale Leonardo e Gertrude. La prima parte dell’opera appare anonima nel 1781, mentre quelle successive sono pubblicate tra il 1783 e il 1787. Il testo circola in tutta Europa e rende celebre il suo autore presso i maggiori intellettuali del tempo, come Herder, Goethe, Fichte, raggiungendo anche alcune corti prestigiose, come quella austriaca.

La vicenda è ambientata nell’immaginario villaggio svizzero di Bonnal, governato dal disonesto e malvagio podestà Hummel, che tiranneggia i contadini, vittime degli effetti negativi dell’introduzione nelle campagne della produzione industriale. Si oppone a questa situazione Gertrude, donna umile e coraggiosa, simbolo dell’educazione familiare, che cerca in tutti i modi di salvaguardare la sua famiglia e di promuovere il riscatto morale del villaggio.

Il marito di Gertrude, Leonardo, si sta perdendo nell’ozio e nell’alcol, così la moglie chiede aiuto al castellano del luogo, Arner, che affida a Leonardo il compito di costruire una nuova chiesa. Nonostante i diversi tentativi di sabotaggio di Hummel, il progetto viene realizzato grazie anche all’aiuto del pastore protestante Ernst, uno dei più stretti collaboratori di Arner. Hummel viene destituito dalle sue funzioni di governo e punito, e a lui succede un podestà giovane e onesto. Inizia così un percorso di rinascita per il villaggio di Bonnal, coordinato da Arner ed Ernst, simboli rispettivamente dell’autorità politica e religiosa.

Uno dei passi più importanti che vengono compiuti in questa direzione riguarda proprio l’educazione del popolo. In sostituzione del vecchio maestro del villaggio viene chiamato l’ex tenente in congedo per ferite di guerra Glüphi. A questi, maestro più per missione che per professione, è affidato l’ideale educativo di Pestalozzi. Glüphi segue il consiglio di Gertrude e propone un programma educativo che raccorda la formazione intellettuale con la preparazione al lavoro. Alla riforma della scuola del villaggio seguono interventi mirati di Arner e di Ernst, di carattere esortativo e caritativo, ma anche azioni volte a promuovere forme di autogoverno della popolazione. Il nuovo sistema impiantato a Bonnal è poi esteso a tutto lo Stato retto da Arner.

Il romanzo ha una conclusione amara, che rivela la visione pessimistica della natura umana di Pestalozzi: Arner, che tanto si è speso per il bene del “suo popolo”, raggiungendo ottimi risultati, si ammala, ma il villaggio non sembra interessarsi alle sue condizioni di salute. Una spiegazione a questo comportamento viene data da Glüphi, secondo il quale la tendenza al male degli uomini può essere contrastata solo attraverso un’azione educativa in grado di favorire l’ordinato sviluppo della persona e l’accettazione positiva della propria condizione, compresa quella della povertà, che può essere vissuta con dignità e operosità.

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Il villaggio di Neuhof

L’esperienza di Neuhof, prima istituzione educativa di Pestalozzi, comprendente anche un’azienda agricola e una filanda, è trasposta nel romanzo pedagogico Leonardo e Gertrude, ambientato in un villaggio immaginario, vessato dal corrotto podestà Hummel. Il riscatto del villaggio passa anche attraverso l’educazione del popolo, affidata al maestro Glüphi, che sceglie un programma educativo che armonizza formazione intellettuale e preparazione al lavoro.

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1.3 Il metodo educativo

| Nelle opere più mature Pestalozzi insiste sul fatto che l’educazione deve partire dalle esperienze più vicine ai fanciulli, dagli oggetti che fanno parte della loro quotidianità, in modo da stimolare un apprendimento spontaneo e rispettoso dello sviluppo naturale del soggetto, come quello che si realizza nel contesto familiare.

Nell’opera Come Gertrude istruisce i suoi figli Pestalozzi chiarisce i fondamenti del metodo elementare intuitivo. La madre rappresenta il modello a cui il metodo deve ispirarsi, perché con il suo «amore pensoso», con un amore cioè illuminato dalla ragione, offre insegnamenti efficaci che si connotano per la semplicità e per il caldo clima affettivo in cui sono acquisiti. Pertanto, il maestro che vorrà applicare correttamente il metodo intuitivo dovrà ricreare in classe l’intimità del rapporto madre-figlio.

Pestalozzi ha l’indubbio merito di valorizzare il ruolo della madre come educatrice, alla quale egli riconosce l’innata capacità di favorire lo sviluppo del figlio.

A tal proposito nell’opera Madre e figlio afferma:

Il nostro grande intento è lo sviluppo dell’anima infantile, e il nostro grande mezzo l’azione della madre. Da ciò nasce, sin dall’inizio delle nostre ricerche, un quesito importante: possiede la madre le facoltà necessarie all’assolvimento dei doveri e dei compiti che noi le assegniamo? […]

Sì! Posso dirlo: la madre ha la capacità, ha ricevuto dal Creatore stesso la capacità di divenir l’agente più energico dello sviluppo infantile. Già nel suo cuore è spontaneamente radicato il desiderio più ardente del bene del figlio […]. Tutto ciò che io domanderei ad una madre, sarebbe che ella facesse operare il suo amore con la maggior forza possibile, e tuttavia lo regolasse con la riflessione.

J.H. Pestalozzi, Madre e figlio. L’educazione dei bambini, La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 17.

Stabilito che il modello materno rappresenta la fonte ispiratrice del suo metodo, Pestalozzi si impegna a individuare delle “leggi universali” in grado di garantirne l’applicazione.

Per lui la trasmissione dei contenuti deve attenersi a tre principi chiave:

  • l’organicità, per cui l’insegnamento che precede deve essere connesso a quello che segue;
  • la gradualità, per cui si deve partire dal semplice per arrivare al complesso, dalla parte per giungere all’intero;
  • la vicinanza, per cui si deve muovere dalle realtà più familiari al fanciullo, per poi discostarsene a poco a poco.

Ovviamente questi meccanismi vanno applicati a una formazione integrale che, come già ricordato, contempla la dimensione morale (cuore), quella intellettuale (mente) e quella professionale (mano), ma attribuisce alla formazione morale un valore superiore, in quanto è quella che, insegnando l’amore di Dio e del prossimo, garantisce la pacifica convivenza tra gli uomini.

La fiducia di Pestalozzi nel suo metodo, però, sfocia nella pratica in una schematizzazione eccessiva, che porta a situazioni di verbalismo e formalismo, che egli non riesce a superare.

Al di là di questi limiti oggettivi, Pestalozzi è considerato una figura di primo piano della storia culturale europea. Egli introduce una sensibilità nuova nei riguardi dell’infanzia e dell’educazione popolare, valorizzando il ruolo della donna e della famiglia, facendo emergere l’importanza morale e sociale della formazione professionale, richiamando al concetto di educazione come diritto universale e assegnando al maestro una funzione chiave per il progresso della società.

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Il ruolo della donna nell’educazione

Questo dipinto del pittore baltico-tedesco von Reutern (1794-1865), in cui è ritratta una contadina col suo bambino, sembra riassumere il pensiero di Pestalozzi: nel suo romanzo Leonardo e Gertrude l’umile Gertrude, simbolo dell’educazione familiare, è colei che promuove il riscatto morale del villaggio. Lo sguardo pensoso della madre abbassato sul figlio dormiente esprime l’amore materno cui Pestalozzi si ispira per il suo metodo elementare intuitivo: per lui gli insegnamenti devono essere proposti con semplicità, in un clima ricco di affetto.

per lo studio

1. Come evolve l’idea di educazione popolare di Pestalozzi attraverso le sue esperienze educative?

2. Che ruolo attribuisce alla famiglia e alla madre?

3. Quali sono i capisaldi del metodo elementare intuitivo?


  Per discutere INSIEME 

Pestalozzi dedica tutta la sua vita alla “causa” dell’educazione popolare. Egli ritiene che l’educazione rappresenti lo strumento migliore per tutelare l’infanzia povera e abbandonata. Ancora oggi molti bambini sono vittime di abusi e sfruttamento. Realizza una ricerca insieme ai tuoi compagni di classe sul lavoro minorile nel mondo, giovandoti anche dei dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

I colori della Pedagogia - volume 2
I colori della Pedagogia - volume 2
L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane