T1 - Jean-Jacques Rousseau, L’educazione secondo natura

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Jean-Jacques Rousseau

L’educazione secondo natura

Il brano che segue è tratto dal primo libro dell’Emilio, nelle cui pagine iniziali è esposto il manifesto programmatico del progetto educativo rousseauiano. Il pensatore svizzero espone la sua idea di educazione, criticando la vecchia prassi di preparare i fanciulli a un futuro mestiere in base al ceto sociale di provenienza e alla volontà dei genitori. Per Rousseau il processo educativo deve preparare innanzitutto alla vita, con tutte le sue variabili e imprevisti, permettendo al soggetto di esprimere al massimo il suo potenziale di partenza.

Nell’ordine sociale, in cui tutti i ruoli sono ben distinti, ciascuno deve essere educato per la posizione che occupa. Se un individuo abbandona la posizione sociale per cui è stato educato, non è più capace di far nulla. L’educazione è utile solo nella misura in cui la scelta dei genitori è fortunata; in tutti gli altri casi, invece, diviene nociva per l’allievo, non fosse altro che per i pregiudizi che gli dà. In Egitto, dove il figlio era obbligato ad abbracciare la condizione del padre, l’educazione aveva almeno uno scopo certo; ma nella nostra società, dove restano solo i ceti sociali, mentre gli uomini passano continuamente da uno all’altro, nessuno sa se, educando il proprio figlio per la sua classe, lo sta danneggiando o meno1.

Nell’ordine naturale gli uomini sono tutti uguali, essi hanno come vocazione comune la condizione umana e colui che è ben preparato per tale condizione non può compiere male i doveri che ne derivano. Poco importa che il mio allievo sia destinato alla spada, alla chiesa o alla toga. Prima ancora della scelta dei genitori, la natura lo chiama alla vita umana.

Vivere è l’arte che voglio insegnargli [a Emilio]. Uscendo dalle mie mani, debbo ammettere che egli non sarà né magistrato, né soldato, né sacerdote: sarà innanzitutto uomo. In caso di bisogno, egli saprà essere tutto ciò che un uomo deve essere come chiunque altro e, per quanto la fortuna possa fargli cambiare condizione, si sentirà sempre al suo posto2 [...].

Il vero oggetto del nostro studio è la condizione umana. Chi sa sopportare meglio i beni e i mali di questa vita, secondo me, è il meglio educato: ne consegue che la vera educazione è costituita più da esercizi che da precetti. Noi cominciamo a istruirci nel momento in cui iniziamo a vivere; la nostra educazione comincia con noi stessi e il nostro primo precettore è la nutrice. Infatti, la parola “educazione” aveva presso gli antichi anche un altro significato che non le diamo più: significava allevamento. Educit obstetrix, dice Varrone, educat nutrix, instituit paedagogus, docet magister3. Così tra l’allevamento, l’istruzione e l’educazione vi è tanta diversità rispetto al loro fine quanta ve ne è tra la governante, il precettore e il maestro. Ma queste distinzioni vengono fraintese e il bambino, per essere ben guidato, deve seguirne una sola.

Rispondi

1. Che cosa intende Rousseau quando afferma che, essendo educato in funzione del suo ruolo, un individuo «non è più capace di far nulla» se cambia condizione?

2. Qual è l’obiettivo dichiarato del progetto educativo avanzato da Rousseau?

3. A cosa deve mirare l’iniziativa educativa per il pedagogista svizzero?

 >> pagina 253

|⇒ T2  Immanuel Kant

La disciplina

Nell’introduzione del saggio Sulla pedagogia Kant compendia i motivi principali della sua visione pedagogica. Una parte rilevante è dedicata a illustrare il concetto di disciplina, che ha un ruolo centrale nel progetto educativo kantiano. Alla disciplina, infatti, spetta il compito di frenare le inclinazioni naturali dell’educando, di farlo uscire cioè da quello stato di bestialità che impedisce il corretto sviluppo dell’uomo razionale.

Disciplina e governo trasformano l’animalità in umanità. L’animale è già, in virtù del suo istinto, tutto ciò che può essere: una ragione superiore ha provveduto per lui. L’uomo però ha bisogno della sua ragione perché non ha alcun istinto e deve da sé tracciare il piano della sua condotta. Poiché egli non è subito in grado di farlo, venendo al mondo nello stato selvaggio, necessita dell’aiuto altrui. La specie umana deve estrinsecare da se stessa, coi propri sforzi, le qualità naturali all’umanità1. […]

La disciplina impedisce all’uomo di deviare, a causa delle proprie inclinazioni animali, dalla sua finalità. Essa lo deve frenare, affinché non si getti spensieratamente e impetuosamente nei pericoli. Il governo è puramente negativo, è l’azione mediante la quale si toglie all’uomo la selvatichezza; l’istruzione invece è la parte positiva dell’educazione.

La selvatichezza è l’insubordinazione alle leggi. La disciplina sottomette l’uomo alle leggi dell’umanità e comincia a fargli sentire l’autorità delle leggi, e ciò dev’essere fatto per tempo2. Così si mandano i bambini in principio a scuola, non tanto perché vi imparino qualche cosa, quanto perché si abituino a star seduti tranquilli e ad eseguire esattamente ciò che vien loro comandato, affinché in avvenire sappiano frenare i loro sghiribizzi invece di soddisfarli subito. […]

Non vi è persona che, essendo stata trascurata e abbandonata in gioventù, non si avveda poi in età matura in che cosa sia stata manchevole la sua educazione, nella disciplina o nella cultura (si può chiamare così l’istruzione). Colui che non ha avuto istruzione è incolto; chi non è stato sottoposto a disciplina è selvaggio. La mancanza di disciplina è un male peggiore della mancanza di cultura, essendo questa acquisibile anche più tardi, mentre la mancanza di disciplina è irrimediabile poiché la selvatichezza non si sopprime3. Forse l’educazione migliorerà ed ogni generazione successiva farà un passo innanzi verso il perfezionamento dell’umanità, poiché il gran segreto della perfezione della natura umana è nell’educazione stessa. […]. È meraviglioso il pensare che la natura umana possa divenire sempre più progredita mediante l’educazione e che possa elevar quest’ultima ad una forma corrispondente alla realizzazione del progresso dell’umanità. Ciò ci dà la prospettiva di una futura felicità della specie umana4.

Rispondi

1. Che tipo di differenza c’è per Kant tra formazione e istruzione?

2. Quale funzione attribuisce Kant alla scuola?

3. Perché per Kant la mancanza di disciplina rappresenta un «male peggiore della mancanza di cultura»?

 >> pagina 254 

|⇒ T3  Giambattista Vico

I difetti dell’educazione contemporanea

Giambattista Vico critica la pratica educativa del suo tempo di anticipare lo studio della geometria e dell’algebra, proponendolo ai fanciulli prima che questi abbiano acquisito una solida formazione umanistica, che egli ritiene indispensabile per far acquisire al soggetto quella maturità di pensiero senza la quale non si possono affrontare la logica e le discipline scientifiche, se non con grave nocumento dell’allievo.

Si può facilmente intendere con che cattivo gusto, con che disordinata coltura della gioventù, oggi da taluni nel metodo di studiare si usano due perniciosissime pratiche; la prima che a fanciulli appena usciti dalla scuola della Grammatica1 si apre la Filosofia sulla Logica, che si dice di Arnaldo2, tutta ripiena di severissimi giudizi d’intorno a materie riposte di scienze superiori, e tutte lontane dal comune senso volgare, con che si vengono a convellere ne’ giovinetti quelle doti della mente giovanile3, le quali dovrebbero esser regolate, e promosse ciascuna da un’arte propria, come la memoria con lo studio delle lingue; la fantasia con la lezione de’ poeti, storici, ed oratori; l’ingegno con la geometria lineare, che in un certo modo è una pittura, la quale invigorisce la memoria col gran numero de’ suoi elementi; ingentilisce la fantasia con le sue delicate figure, come con tanti disegni descritti con sottilissime linee; e fa spedito l’ingegno in dover correre tutte, e tra tutte raccoglier quelle, che bisognano per dimostrare la grandezza che si domanda, e tutto ciò per fruttare a tempo di maturo giudizio una sapienza ben parlante, viva, ed acuta.

Ma con tali logiche i giovinetti trasportati innanzi tempo alla Critica, che è quanto dire, portati a ben giudicare innanzi di ben apprendere contro il corso naturale delle idee, che prima apprendono, poi giudicano, finalmente ragionano; ne diviene la gioventù arida e secca nello spiegarsi, e senza far mai nulla vuol giudicar di ogni cosa. Al contrario se eglino nell’età dell’ingegno ch’è la giovinezza s’impiegassero nella Topica, ch’è l’arte di ritrovare, ch’è sol privilegio degl’ingegnosi […], essi apparecchierebbero la materia per poi ben giudicare, poiché non si giudica bene, se non si è conosciuto il tutto della cosa4 […].

L’altra pratica è, che si danno a giovanetti gli elementi della scienza delle grandezze col metodo Algebrico, il quale assidera tutto il più rigoglioso delle indoli giovanili, lor accieca la fantasia, spossa la memoria, infingardisce l’ingegno, rallenta l’intendimento. Le quali quattro cose sono necessarissime per la coltura della miglior umanità; la prima per la Pittura, Scultura, Architettura, Musica, Poesia ed Eloquenza; la seconda per l’erudizione delle lingue, e dell’Istorie; la terza per le invenzioni; la quarta per la prudenza. […] Onde perché recasse alcuna utilità, e non facesse niuno di sì gran danni, l’Algebra si dovrebbe apprendere per poco tempo nel fine del corso Matematico […].

Rispondi

1. Quali sono secondo Vico le materie più adatte per formare la memoria, la fantasia, l’ingegno e l’intendimento dei giovinetti?

2. Quali sono gli ambiti del sapere che per Vico meglio esprimono queste facoltà intellettive?

3. Che tipo di danni egli riconduce allo studio anticipato della logica e dell’algebra?

I colori della Pedagogia - volume 2
I colori della Pedagogia - volume 2
L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane