3 - Vico e la conoscenza del fare

3. Vico e la conoscenza del fare

3.1 Verum ipsum factum

Pensatore solitario, rimasto sconosciuto all’Europa e anche all’Italia fino all’Ottocento, Giambattista Vico  L’AUTORE, p. 250 | reagì alle astrattezze del razionalismo cartesiano, dando vita a una filosofia nuova, lo storicismo (o filosofia della storia), basata sul principio per cui verum ipsum factum, ovvero “il vero è il fatto stesso”, l’uomo può avere conoscenza solo di ciò che fa.

Per il filosofo napoletano, l’uomo non può conoscere il mondo fisico e metafisico, perché non ha partecipato alla sua costruzione. All’uomo è dato avere conoscenza solo di ciò di cui è autore, ovvero il mondo degli uomini, delle nazioni, dei popoli. Ne deriva che alla filosofia o scienza del vero spetta il compito di individuare i principi generali del mondo umano, mentre alla filologia (intesa come ambito che comprende tutte le manifestazioni concrete e storiche dello spirito umano oltre il linguaggio, come la scrittura, la poesia, l’eloquenza, l’arte, la storia, il diritto, la politica, le religioni e ogni forma di civiltà umana) spetta il compito di descrivere i fatti come sono dati.

I corsi e ricorsi storici
Per Vico le leggi universali e necessarie della conoscenza risiedono nella mente dell’uomo, ovvero nello spirito, che è sempre uguale a se stesso in tutti gli uomini e in ogni tempo. Ne deriva che la storia, in quanto prodotto dello spirito, si presenta come un ricorrere di fatti, che pur nella varietà delle circostanze si manifesta come un perpetuo ripetersi di motivi uguali, secondo l’ordine posto dalla Provvidenza divina.

Per il filosofo la storia dei popoli ha attraversato tre età successive:

  • l’era oscura o dei giganti o età degli dèi, dominata dai sensi, per cui gli uomini vivevano in una condizione bestiale, improntata sulla ferocia e lo stupore;
  • l’era favolosa o degli eroi, dominata dalla fantasia, per cui gli uomini vivevano in città eroiche (regimi oligarchici) e si esprimevano secondo un linguaggio poetico, che procede per miti, credenze e immaginazione;
  • l’età storica o età civile o degli uomini, dominata dalla ragione, in cui gli uomini hanno il senso dei propri diritti e il linguaggio si fa razionale, ma la natura umana si fa così colta e raffinata che cede alla corruzione e al disordine. Ciò porta alla decadenza e all’inizio di un nuovo ciclo.

Queste tre età sono alla base della cosiddetta teoria dei corsi e ricorsi storici, secondo la quale quando termina il ciclo di queste tre età, inizia un secondo ciclo e così di seguito. Il disegno di questa storia ideale eterna non si presenta però come un cerchio chiuso, perché per Vico ogni ricorso include in sé anche il momento precedente, quindi la storia, mentre ritorna su se stessa, avanza e si dilata verso orizzonti di maggior respiro.

 >> pagina 250

L'AUTORE  Giambattista Vico

Giambattista Vico nasce a Napoli nel 1668 da una famiglia molto numerosa e di umili condizioni. A seguito di una brutta caduta è costretto tra il 1675 e il 1677 a un lungo periodo di convalescenza. Dotato di intelligenza molto vivace, fa rapido profitto negli studi, anche se frequenta le scuole a periodi alterni. Segue con discontinuità i corsi universitari di legge. La sua esperienza universitaria si conclude nel 1694, anno in cui i documenti lo attestano come doctor in utroque iure (“dottore in entrambi i diritti”, diritto civile e canonico).

La svolta si verifica quando (1686) ottiene l’incarico di precettore presso la famiglia di Domenico Rocca e si trasferisce per nove anni a Vatolla (Salerno). In questo periodo si accosta ai classici latini e approfondisce lo studio della filosofia, rimanendo fortemente impressionato dal pensiero di Cartesio, verso il quale si mostra però molto critico.

Tornato definitivamente a Napoli, si ingegna in vari modi per sopravvivere fino al 1699, quando arriva la cattedra di retorica presso l’università di Napoli. Nello stesso anno sposa una donna di modeste origini, Teresa Caterina Destito, dalla quale avrà otto figli. Pubblica numerose opere, tra le quali un’Autobiografia, composta su incoraggiamento dell’ecclesiastico, storico e letterato Antonio Muratori (figura di spicco del Settecento italiano), e le Orazioni inaugurali, tenute annualmente all’università tra il 1699 e il 1708. Ma il suo capolavoro è la Scienza nuova, sulla quale ritorna costantemente con aggiunte e correzioni. La prima edizione dell’opera risale al 1725, mentre la versione finale è pubblicata nel 1744, pochi mesi prima della sua morte, con il titolo di Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni. L’opera riceve un’accoglienza fredda: bisognerà attendere oltre un secolo per una sua rivalutazione.

Gli ultimi anni di Vico, nonostante i gravi problemi di salute, sono rasserenati dai successi universitari e dal riconoscimento ottenuto a livello locale, testimoniati dalla nomina a storiografo regio ottenuta nel 1735.

3.2 La pedagogia vichiana

Le idee pedagogiche di Vico sono contenute in particolare in un’orazione inaugurale pronunciata presso l’università di Napoli, intitolata De nostri temporis studiorum ratione (“Il metodo degli studi del nostro tempo”), pronunciata nel 1708, e nell’Autobiografia del pensatore napoletano.

Vico condanna l’educazione del suo tempo, che si rifà al razionalismo cartesiano. Egli ritiene che l’uomo non sia solo un essere razionale e che il fanciullo, in particolare, non lo sia affatto, ma sia invece soprattutto fantasia e sensibilità. Pertanto, egli critica lo studio prematuro della logica e dell’algebra, che inverte il naturale sviluppo umano e che

assidera tutto il più rigoglioso delle indoli giovanili, lor accieca la fantasia, spossa la memoria, infingardische l’ingegno, rallenta l’intendimento.

G. Vico, Vita dell’autore, in Opere di Giambattista Vico, precedute da un discorso di H. Michelet sul sistema dell’autore, vol. I, Tipografia della Sibilla, Napoli 1834, p. 39.

Il filosofo napoletano recupera la tradizione umanistico-letteraria ed esorta a educare prima la memoria, con lo studio delle lingue, e la fantasia, con lo studio dei poeti, degli storici e degli oratori, e solo più tardi la ragione con le scienze di carattere intellettualistico, come la matematica e la fisica e, infine, la metafisica, la morale e la teologia. Dunque, per Vico la cultura storico-letteraria è la sola in grado di preparare i fanciulli a un uso concreto e rigoroso della ragione, proprio dell’età matura.

Inoltre, Vico, convinto fautore della spontaneità della vita spirituale, sostiene il principio dell’imparare facendo, asserendo che l’educando non deve ricevere la conoscenza in modo passivo, al di fuori di sé, né cercarla in sé come dono divino, ma deve attivarsi per costruirla in modo personale attraverso la ricerca. Il verbalismo per Vico è infruttuoso e non porta ad alcuna sapienza. Il fanciullo va incoraggiato a scoprire le cose che poi dovrà giudicare. Per Vico, dunque, l’individuo deve essere educato a stretto contatto con la società, perché solo giungendo a una conoscenza piena della medesima, con le sue tradizioni, può conquistare un’autentica libertà.

Vico rivela una grande sensibilità psicologica, esortando a educare il fanciullo secondo le sue possibilità e caratteristiche, senza precorrere i tempi, nel rispetto di quel bisogno di concretezza e di contatto diretto con la realtà, che è indispensabile per il soggetto in formazione, al quale assegna un assoluto protagonismo nel processo educativo. Purtroppo, queste importanti intuizioni riusciranno ad attecchire propriamente solo in tempi recenti.

per lo studio

1. Che cosa intende Vico con l’espressione verum ipsum factum?

2. In che cosa consiste la teoria dei corsi e ricorsi storici?

3. Che ruolo assegna alla formazione umanistico-letteraria?


  Per discutere INSIEME 

Vico ritiene che il fanciullo sia essenzialmente fantasia e memoria. Qual è la tua concezione dell’infanzia? Prova a definirla insieme ai tuoi compagni.

I colori della Pedagogia - volume 2
I colori della Pedagogia - volume 2
L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane