3.1 Tra osservazione psicologica e concretezza educativa
L’umanista spagnolo Juan Luis Vives | ▶ L’AUTORE | mutua molta parte della sua concezione educativa da Erasmo, del quale egli si considera discepolo, ma è anche capace di offrire un contributo innovativo e del tutto personale alla storia della pedagogia. La sua opera principale è il De tradendis disciplinis (“L’insegnamento delle discipline”). In questo testo, suddiviso in cinque libri, Vives parla dell’educazione e dei suoi metodi.Nel primo libro tratta dell’origine degli studi. Per Vives pietas ed erudizione devono andare di pari passo. Infatti, egli ritiene che il fine dell’istruzione non consista solo nell’affinare le capacità razionali dell’individuo, ma anche nel progresso morale e religioso dell’uomo.
Nel secondo libro sono considerate le scuole e descrive l’idealtipo del maestro. Anche Vives, come Erasmo, predilige le scuole pubbliche ed è molto critico nei riguardi dei metodi educativi adottati nelle scuole a lui contemporanee. Egli vorrebbe scuole fondate in luoghi salubri, lontane dai centri cittadini, in modo da promuovere l’attività fisica dei ragazzi e il gioco, che ritiene utilissimi per valutare le attitudini dei singoli e promuoverne lo sviluppo armonico.
Circa la figura del maestro egli deplora il fatto che per questa professione non vi sia uno specifico percorso di preparazione e che sia esercitata per la gran parte da studenti in attesa di un’occupazione o da persone ignoranti che improvvisano il mestiere. Per Vives il maestro non solo dovrebbe avere un gradus artium, acquisito attraverso la frequenza della facoltà di lettere, ma anche un gradus docentis, attribuito al termine di un periodo di tirocinio effettuato sotto la supervisione di un insegnante esperto. Rispetto alle qualità del maestro, Vives non solo lo vuole dotto e virtuoso, ma anche dotato di un particolare acume psicologico e della capacità di modulare l’azione educativa sulla base dell’osservazione diretta dell’alunno:
Il saggio insegnante si ricorderà la differenza che intercorre tra chi inizia, chi ha già progredito e chi si trova ad un alto livello di preparazione. Non si deve chiedere al ragazzo esordiente quello che si chiede ad un giovane già da tempo addestrato alle discipline e con un’avanzata formazione morale. Niente è così intempestivo come desiderare un frutto già maturo quando gli alberi cominciano a germogliare all’inizio della primavera.
J.L. Vives, L’insegnamento delle discipline, intr., trad. e commento di V. Del Nero, Olschki, Firenze 2011, p. 97.
Egli introduce anche il concetto di valutazione collegiale, in quanto contempla la necessità del confronto tra maestri per valutare l’indole dell’alunno e i metodi migliori per educarlo:
Rimanga il ragazzo uno o due mesi nella scuola preparatoria, perché le sue doti mentali vengano esplorate. Quattro volte all’anno i maestri si riuniscano in un luogo appartato, dove possano parlare e consultarsi sulle qualità intellettive dei propri allievi e possano indirizzarli allo studio per il quale vedranno essere adatto ognuno di loro.
J.L. Vives, L’insegnamento delle discipline, cit., p. 48.
Nel terzo libro Vives approfondisce il discorso relativo all’apprendimento delle lingue. L’umanista spagnolo ritiene sia opportuno valorizzare anche l’apprendimento della lingua materna, che l’alunno dovrà possedere correttamente e imparare ad arricchire. Lo studio del latino è considerato fondamentale, per assicurare il progresso della vita culturale del singolo. Egli ritiene importante anche lo studio del greco e dell’ebraico e circa l’apprendimento delle lingue sconsiglia l’utilizzo dei manuali di grammatica medievali e suggerisce – come Erasmo – di ricorrere all’uso vivo della lingua.
Nel quarto libro Vives si sofferma sulle discipline. Circa lo studio della retorica ammonisce a evitare l’imitazione pedissequa di Cicerone e incoraggia uno studio atto a favorire un utilizzo del tutto personale delle tecniche oratorie. Per la dialettica suggerisce i testi più validi per apprenderla e si scaglia contro l’uso distorto della disciplina praticato presso la Sorbona. Alle arti del quadrivio non dedica grande attenzione, le abbraccia tutte sotto la parola mathematicae e si limita a indicare Aristotele come l’auctoritas imprescindibile in ambito scientifico, sottolineando però anche l’importanza del contatto diretto con il “libro della natura”. Tra le arti superiori, dedica grande attenzione alla medicina.
Nel quinto libro si occupa del rapporto tra studi e vita. In particolare si concentra sul valore degli studi di storia e di filosofia, che ritiene fondamentali per acquisire quella prudenza e perizia necessarie per muoversi adeguatamente nel mondo, a seconda delle persone, dei luoghi, dei tempi e delle cose affrontate.