T1 - Esiodo, Le Muse

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Esiodo

Le Muse

Nella Teogonia, poema che narra l’origine degli dèi, il poeta Esiodo racconta la nascita delle Muse. Le Muse sono figlie di Mnemosine (personificazione della Memoria) e Zeus. Sono nove e ognuna presiede a uno specifico aspetto dell’esecuzione poetico-musicale. La più illustre, dice Esiodo, è Calliope, la Musa della poesia epica. I versi iniziali del poema si aprono proprio con una lunga lode alle Muse, alla cui ispirazione divina il poeta deve la propria capacità di comporre versi e i contenuti stessi del suo canto. Nei versi qui proposti Esiodo celebra i doni delle Muse.

Essa1 infatti i re venerati accompagna:

quello che onorano le figlie di Zeus grande2,

e quando nasce lo guardano, fra i re nutriti da Zeus,

a lui sulla lingua versano3 dolce rugiada,

e dalla sua bocca scorrono dolci parole; le genti

tutte guardano a lui che la giustizia amministra

con retti giudizi; mentre lui parla sicuro,

subito, anche una grande contesa, placa sapientemente;

perché è per questo che i re sono saggi, perché alle genti

offese nell’assemblea danno riparazione

facilmente, con le dolci parole placandole;

quando giunge nell’assemblea come un dio lo rispettano

con dolce reverenza, ed egli splende tra i convenuti.

Tale è delle Muse il sacro dono per gli uomini.

Dalle Muse infatti e da Apollo dalle lunghe saette

sono gli aedi sulla terra e i citaristi4,

da Zeus i re; beato colui che le Muse

amano; dolce dalla sua bocca scorre la voce;

se c’è qualcuno che per gli affanni nel petto recente di lutto

dissecca nel dolore il suo cuore, se un aedo

delle Muse ministro le glorie degli uomini antichi

celebra e gli dei beati signori d’Olimpo,

subito egli scorda i dolori, né i lutti

rammenta perché presto lo distolgono i doni delle dee.

Rispondi

1. Oltre a quella poetica, quale funzione svolgono le Muse?

2. Quali doni dispensano a coloro che amano?

3. È interessante notare che da queste figure mitologiche derivano alcune parole di uso quotidiano come “museo”, letteralmente “la casa delle Muse”, o “musica”, e termini anche in altre lingue europee, per esempio musique in francese, musical in inglese e così via. Quali altre parole derivate da questa radice conosci?

 >> pagina 97 

|⇒ T2  Omero

L’amorosa cura degli eroi

Peleo, mitico re della città di Ftia (nella Grecia settentrionale), affidò a Fenice l’educazione del figlio Achille, uno degli eroi protagonisti dell’Iliade. Fenice accompagnò Achille in guerra a Troia. Nell’Iliade (libro IX), si legge un dialogo tra i due nel quale l’educatore ripercorre la loro relazione per invitare Achille a desistere dalla sua ira contro Agamennone, re di Micene, colpevole di avergli sottratto la sua schiava prediletta.

[…] non sapevi ancora la guerra crudele,

non i consigli, dove gli uomini nobilmente si affermano.

E mi mandò per questo, perché te li apprendessi1,

e buon parlatore tu fossi e operatore di opere.

[…]

Io ti ho fatto quale tu sei, Achille simile ai numi,

ché t’amavo di cuore: e tu non volevi con altri

né andare ai banchetti né mangiar nella casa,

senza ch’io ti ponessi sopra le mie ginocchia,

e ti nutrissi di carne, tagliandola, ti dessi del vino.

E tu spesso la tunica mi bagnasti sul petto,

risputandolo, il vino, nell’infanzia difficile!

Così ho sofferto per te molte cose, molto ho penato,

pensando questo, che i numi non davano vita a mio seme

nato da me; di te, Achille simile ai numi, un figlio facevo,

perché tu un giorno tenessi lontano da me l’oltraggiosa sventura.

Ma doma, Achille, il cuore magnanimo […].

Rispondi

1. Che tipo di cure e attenzioni Fenice dedica ad Achille?

2. Qual è il fine dell’educazione di Achille?

3. Che relazione si instaura tra Fenice e Achille? Come è vissuto da entrambi questo rapporto di cura amorosa?

|⇒ T3  Saffo

L’amore nel tìaso

Riportiamo alcuni frammenti poetici di Saffo. Si parla di amore e innamoramento, della vita comunitaria del tìaso, e di un momento triste, di abbandono, in cui un’amica di Saffo lascia il gruppo per andare molto probabilmente a sposarsi.

Sei giunta, ti bramavo, 

hai dato ristoro alla mia anima 

bruciante di desiderio

(Traduzione di G. Guidorizzi)


Ragazze di Creta a tempo

danzavano lievi sui piedi

attorno all’ara1 adorna

calcando dolcemente

la morbida erba fiorita.

(Traduzione di G. Guidorizzi)


Piena splendeva la luna

le fanciulle si posero

intorno all’altare.

(Traduzione di G. Guidorizzi)


Subito a me

il cuore si agita nel petto

solo che appena ti veda, e la voce

si perde sulla lingua inerte.

un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,

e ho buio negli occhi e il rombo

del sangue alle orecchie.

E tutta in sudore e tremante

come erba patita scoloro:

e morte non pare lontana

a me rapita di mente.

(Traduzione di S. Quasimodo)


Vorrei davvero essere morta.

lei mi lasciava piangendo,

e molte cose mi disse e poi questo:

“Ah, come terribilmente soffriamo,

Saffo, io contro mia voglia ti lascio!”

E io le risposi:

“Addio, e serba memoria di me,

tu sai quanto ti amavo”.

(Traduzione di G. Guidorizzi)


E tu, Dica, avvolgi attorno alle chiome amabili ghirlande d’aneto, intrecciandole

con le tue piccole dita: sono fiori belli!

Le Grazie beate ti vedranno con occhi

ancora più dolci: distolgono lo sguardo

a chi non porta ghirlande.

(Traduzione di G. Guidorizzi)

Rispondi

1. Quali sono le emozioni e i sentimenti più forti che trasmettono queste poesie?

2. Come viene descritto l’innamoramento?

3. Che tipo di esperienze comunitarie vengono descritte in questi frammenti?

 >> pagina 98 

|⇒ T4  Diogene Laerzio

La saggezza esperienziale di Talete

La saggezza di Talete, espressa in alcune sintetiche risposte sull’esperienza vissuta, ci viene raccontata dallo scrittore greco Diogene Laerzio nel libro Vite dei filosofi. Le frasi di Talete rivelano una sorta di sapienza popolare in quanto assomigliano a proverbi; sono brevi frasi che enunciano un pensiero e una verità ricavati dall’esperienza, riconosciuti nel loro valore e tramandati come sentenze di generazione in generazione.

La cosa più grande è lo spazio, ché tutto abbraccia. La cosa più veloce è la mente, ché per il tutto corre. La cosa più forte è la necessità, ché tutto domina. La cosa più saggia è il tempo, ché tutto rinviene. Era solito dire che in nulla la morte differisce dalla vita.

A chi chiedeva che cosa fosse nato prima, la notte o il giorno, “la notte” rispondeva “prima di un giorno”. Interrogato su cosa fosse difficile, rispose “Conoscere se stesso”, che cosa fosse facile, “Dar consigli a un altro”, che cosa più dolce “Ottenere quel che si desidera”, quale è il modo più facile per sopportare una disgrazia “Vedendo i nemici nel peggio”, in qual modo si possa vivere una vita ottima e giustissima “Non facendo quel che ad altri rimproveriamo”.

Rispondi

1. La cosa più difficile, per Talete, è conoscere se stessi. Descrivi i tuoi talenti a un compagno.

2. Prova a rispondere tu, con delle brevi frasi, alle domande rivolte a Talete: qual è la cosa più grande? Qual è la cosa più veloce? E così via.

 >> pagina 99 

|⇒ T5  Giamblico

L’educazione per Pitagora

Gli aspiranti eletti all’insegnamento delle dottrine di Pitagora dovevano superare un duro e complesso periodo di prova. Il periodo iniziatico era finalizzato a valutare la fermezza, l’autocontrollo e la padronanza di sé.

Pitagora, il quale si era preparato nel modo che si è detto a provvedere all’educazione dei suoi discepoli, quando dei giovani gli si rivolgevano, animati dal desiderio di andare a vivere con lui, non li accettava immediatamente, ma attendeva che fossero esaminati e giudicati. In primo luogo si informava sui rapporti che essi avevano intrattenuto con i genitori e gli altri parenti prima di accostarsi a lui, poi osservava se solevano ridere inopportunamente, tacere, parlare a sproposito, quindi quali passioni nutrissero, quali amici avessero e da quali rapporti fossero legati a essi, a che cosa dedicassero la maggior parte della giornata, per che cosa gioissero o soffrissero. In più ne considerava l’aspetto, l’andatura e il modo di muoversi con tutto il corpo: così, per mezzo di un giudizio fisiognomico fondato sui segni caratteristici della natura di ognuno, Pitagora riusciva a mettere in evidenza i tratti dell’indole spirituale (di ognuno), i quali sono di per sé invisibili. Coloro che avevano superato tale esame, egli lasciava che per tre anni fossero tenuti in nessun conto, allo scopo di valutare quanta fermezza essi avessero e quanto amore sincero del sapere e di vedere se fossero sufficientemente premuniti contro la gloria al punto da restare indifferenti agli onori. A questo punto imponeva agli aspiranti cinque anni di silenzio, per mettere alla prova la loro padronanza di sé. Perché fra tutte le prove di autocontrollo, tenere a freno la lingua era la più dura, come è dimostrato dai fondatori dei riti misterici. In questo periodo i beni di ciascuno – le sostanze personali, vale a dire – venivano messi in comune, e affidati ai sodali a ciò preposti, che prendevano il nome di politici ed erano in parte amministratori (oikonomikoi) e in parte legislatori (nomothetikoi). Quanto agli aspiranti, se sulla base della condotta di vita e in generale della buona qualità della loro indole si mostravano degni di essere messi a parte dalle dottrine, dopo il quinquennio di silenzio diventavano per sempre esoterici1 e avevano la facoltà di ascoltare Pitagora all’interno della tenda. Prima, invece, dovevano limitarsi a fruire del suo insegnamento ascoltando da fuori la tenda, senza avere alcuna possibilità di vederlo: così davano prova, in un ampio arco di tempo, della loro indole. Se poi venivano rifiutati, recuperavano, raddoppiati, i loro averi, mentre gli uditori in comune (homakooi), come venivano chiamati tutti i seguaci di Pitagora, innalzavano loro un monumento funebre, quasi fossero defunti. E se poi i discepoli incontravano i respinti li trattavano come se non fossero più loro, e proclamavano defunti quelli che essi avevano tentato di plasmare sperando che la scienza ne avrebbe fatto persone eccellenti2.
Rispondi

1. A che prove vengono sottoposti gli aspiranti discepoli di Pitagora?

2. Qual è l’esame più difficile?

3. Che cosa succede agli aspiranti discepoli se superano il periodo iniziatico?

 >> pagina 100 

|⇒ T6  Giamblico

La musica per Pitagora

Il breve brano che proponiamo mostra l’importanza dell’educazione musicale all’interno della comunità pitagorica. La musica veniva valorizzata non solo in chiave artistica ma anche terapeutica, cioè veniva usata per curare malattie fisiche e psichiche, riportando gli eccessi a una condizione di armonia.

Ritenendo che nel prendersi cura delle persone si dovesse iniziare dalla capacità di percezione – percezione visiva di belle forme e figure – uditiva di bei ritmi e melodie – Pitagora collocò al primo posto l’educazione basata sulla musica, cioè su determinati ritmi e melodie in grado di curare l’indole e gli affetti degli uomini, nonché di ricondurre all’armonico equilibrio originario le forze dell’animo; inoltre egli concepì dei mezzi per reprimere e sanare le malattie fisiche e psichiche. Ma più di tutto questo è degno di nota il fatto che egli avesse composto per i suoi discepoli le cosiddette musiche di preparazione e correzione […]. Grazie a queste riusciva facilmente a invertire, mutandole nei loro opposti, le affezioni1 dell’animo di recente origine ingeneratesi in modo inconsulto: vale a dire le manifestazioni di dolore, ira e di compassione, le gelosie e le paure assurde, le pulsioni di ogni tipo, gli appetiti, gli stati di eccitazione, di esaltazione, di depressione, di aggressività. […] Ed era l’unico, come spiegava, in grado di udire e intendere l’armonia universale e la musica consonante delle sfere e degli astri che entro queste si muovevano.

Rispondi

1. Perché è così importante per Pitagora l’educazione basata sulla musica?

2. Che cosa sono le musiche di preparazione e correzione composte da Pitagora?

3. Fai una ricerca sul ruolo della musicoterapia nel mondo contemporaneo.

 >> pagina 101 

|⇒ T7  Tirteo

Nessuno ceda al panico

I componimenti di Tirteo sono un importante documento dell’educazione etica e militare degli spartani. Secondo l’oratore Licurgo (IV a.C.), a Sparta una legge ne imponeva la lettura presso la tenda del re prima della battaglia per esortare i soldati a combattere fino al sacrificio estremo. I versi che seguono sono un’esortazione al valore militare. All’epoca di Tirteo, il modello di combattimento in uso nelle póleis è quello oplitico: l’esercito era costituito da fanti protetti da scudi e armature, e la tattica di guerra consisteva in uno scontro frontale tra schieramenti opposti.

Non vi sgomenti il numero e non cedete al panico.

Punti ciascuno avanti, con lo scudo,

odi la vita, ami le Parche1 brune della morte

come raggiante chiarità di sole.

La guerra lacrimosa annulla tutto: lo sapete,

conoscete lo slancio d’aspre lotte.

[…]

Quegli audaci che vanno fianco a fianco nella mischia

serrata, all’arma bianca2, in prima fila

muoiono in pochi e salvano il grosso che va dietro.

Quando si trema, ogni valore è spento.

E chi potrebbe dire uno per uno i guai

di colui che si macchia di vergogna?

[…]

Resista ognuno ben piantato sulle gambe al suolo,

mordendosi le labbra con i denti,

nascondendo le cosce, gli stinchi, il petto e gli omeri

entro la pancia d’uno scudo immenso;

l’asta possente stringa nella destra e l’agiti,

muova tremendo sul capo il cimiero3.

E l’azione impetuosa gli sia scuola di guerra.

Rispondi

1. Quale azione è meritevole di vergogna?

2. Che ruolo ha la morte eroica nell’educazione dei giovani spartani?

3. Come si preparavano al combattimento?

 >> pagina 102 

|⇒ T8  Plutarco

L’educazione dei giovani spartani

L’egemonia politica di Sparta si fondava unicamente sulla forza militare, perciò l’educazione di cittadini-guerrieri era il primo compito dello Stato. Nel seguente brano Plutarco riassume i principali aspetti dell’educazione marziale cui era sottoposta la gioventù spartana.

Licurgo, al contrario, non affidò i figli Spartiati a pedagoghi comprati o stipendiati, né era consentito a nessuno di allevare o educare il figlio come voleva, ma appena i fanciulli raggiungevano l’età di sette anni, egli stesso [Licurgo] li prendeva in consegna e li raggruppava tutti in drappelli: facendoli vivere insieme, sottoposti a un regolamento e a una dieta comune, li abituava a condividere il gioco e le attività serie. A capo del drappello, essi stessi mettevano quello che si distingueva per assennatezza e che si dimostrava più ardito nel combattere; gli altri tenevano gli occhi fissi su di lui, obbedivano ai suoi comandi e sopportavano le sue punizioni, così che l’educazione era un esercizio di obbedienza.

A esaminare i loro giochi erano gli anziani che, provocando spesso qualche battaglia o contesa, riuscivano a capire senza imprecisioni quanto fosse pronunciata, in ciascuno di loro, l’inclinazione naturale ad essere audace e a non fuggire nelle lotte. A leggere e scrivere imparavano soltanto nei limiti dello stretto indispensabile; il resto di tutta l’educazione era opportunamente rivolto verso l’obbedienza ai comandi, la resistenza alle fatiche, la vittoria in battaglia. Perciò, col progredire dell’età, intensificavano il loro allenamento: li rapavano a zero e li abituavano a camminare a piedi scalzi e a giocare quasi sempre nudi. All’età di dodici anni non usavano più la tunica, e ricevevano un solo mantello all’anno, avevano la pelle secca, e non conoscevano bagni e unguenti, tranne in alcuni pochi giorni all’anno, in cui potevano concedersi questo tipo di piacevolezza. Dormivano insieme, secondo la divisione in squadre e drappelli, su pagliericci che si preparavano da sé, spezzando con le mani, senza coltello, le cime delle canne che nascono lungo l’Eurota1.

Rispondi

1. Quali erano gli ideali più importanti nell’educazione spartana?

2. Che tipo di esperienze forgiavano il carattere dei giovani a Sparta?

3. Gli anziani come osservano i giovani? Che tipo di pratiche propongono e per quali finalità?

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane