3 Stili educativi nelle póleis greche

3. Stili educativi nelle póleis greche

3.1 ORDINAMENTI POLITICI E FORME DELL’EDUCAZIONE

L’VIII secolo a.C. segna convenzionalmente l’inizio dell’età arcaica. In questo periodo ebbero luogo alcune profonde trasformazioni culturali e politiche che influirono molto sui modelli educativi del tempo: la diffusione della scrittura, con l’introduzione dell’alfabeto, e la nascita della pólis (letteralmente, “città”). La pólis è una città-Stato, ovvero una città che si autoamministra, con leggi, istituzioni e moneta proprie, e che non è subordinata a un governo di ordine superiore. Studiare i differenti stili educativi delle póleis renderà evidente la stretta connessione esistente tra l’ordinamento politico di un determinato contesto, la formazione dei giovani e il percorso di studio. Come si diventava uomini e donne nelle antiche póleis? Ci soffermeremo sullo studio delle due principali città-Stato che la storia ci ha tramandato: Sparta e Atene, due póleis spesso in conflitto.

3.2 L’educazione a Sparta

Fondata da popolazioni  doriche giunte dal Nord della penisola greca intorno al 1000 a.C., la città di Sparta crebbe progressivamente attraverso la conquista graduale della Laconia (750 a.C.) e della Messenia (680-620 a.C.) e l’affermazione di un ruolo egemonico su quasi tutto il Peloponneso, formalizzatosi attorno al VI secolo con la fondazione della Lega del Peloponneso.

La difficoltà nel mantenimento di questa egemonia spiega alcuni elementi fondamentali della società spartana: la centralità dell’ideale militare e guerriero, il carattere conservatore delle leggi e il bisogno di un controllo statale sulla formazione delle nuove generazioni. Il sistema di governo spartano era oligarchico, cioè il potere si concentrava nelle mani di una minoranza che occupava anche il vertice della piramide sociale ed economica. I membri di questa élite, discendenti dei dori, si chiamavano spartiati. Seguivano i perieci, la classe dedita alle attività commerciali e artigianali, e gli iloti, coloro che vivevano in uno stato di semi-schiavitù, impiegati nella coltivazione della terra.

Le testimonianze sulla cultura educativa maschile di Sparta, chiamata agoghé, provengono per lo più da autori vissuti tra il V secolo a.C. e il II d.C. Unica eccezione i frammenti del poeta Tirteo che, scrivendo nel VII sec. a.C., epoca in cui Sparta era in piena guerra di conquista, e componendo e cantando per l’aristocrazia militare dominante, tratteggia nei suoi versi gli ideali educativi della pólis.

Pare oggi certo che le istituzioni spartane si fissarono in un lasso di tempo lungo, per acquisire una fisionomia stabile soltanto nel VI secolo a.C. Le fonti antiche, invece, le attribuiscono all’opera di un unico legislatore di nome Licurgo, la cui storicità è incerta. Gran parte delle informazioni sull’iter formativo dei giovani spartiati provengono, non a caso, da un’opera che narra la vita e le opere di questo mitico legislatore: la Vita di Licurgo, scritta dallo storico greco Plutarco (I-II secolo d.C.).

A Sparta i figli maschi restavano in casa solo fino ai sette anni, età alla quale i bambini venivano affidati alla cura di un alto magistrato detto paidonómos (letteralmente “mandriano di ragazzi”), incaricato di soprintendere alla loro educazione. I ragazzini venivano divisi in gruppi guidati dai più grandi, gli eirénes. A partire dai dodici anni ricevevano un solo indumento per tutto l’anno, dormivano in camerate, si ungevano di olio solo nei giorni di festa. Veniva loro somministrato cibo in quantità molto scarse, in modo che dovessero aguzzare l’ingegno per procurarselo. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza aveva luogo intorno ai sedici anni attraverso una serie di cerimonie di carattere iniziatico, prove di resistenza e preparazione alla vita militare. La sfida più alta era il rito chiamato kryptéia.

I capi dei giovani, di tanto in tanto, mandavano in campagna, ora in un luogo, ora in un altro, quelli che sembravano più attenti. Essi avevano con sé nient’altro che un pugnale e viveri essenziali al puro sostentamento. Di giorno si disperdevano in luoghi sconosciuti, vi si tenevano nascosti e riposavano. Di notte poi, scendevano nelle strade e sgozzavano qualunque ilota riuscissero a catturare. Spesso facevano anche incursioni nei campi, e ne uccidevano di più robusti e forti.

Plutarco, Vite 28, 3-5, in Le vite di Licurgo e di Numa, a cura di A. Meriani e R. Giannattasio Andria, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1998, p. 99

Accanto all’addestramento per la vita di soldato, completamente consacrato alla difesa della pólis, il giovane spartano veniva istruito ai rudimenti della lettura e della scrittura e riceveva una formazione musicale connessa al combattimento. Cori, flauti e il suono dell’oboe accompagnavano infatti le falangi di  opliti che si avviavano compatti verso il nemico.

A Sparta anche le donne ricevevano una formazione strettamente regolamentata, in cui avevano grande importanza la ginnastica e lo sport e sempre minore spazio la danza e il canto; le ragazze si esercitavano nel lancio del disco e del giavellotto negli spazi pubblici, partecipavano alle cerimonie religiose e alle processioni, nelle quali potevano mostrarsi anche nude. Non era prevista la loro partecipazione alle gare atletiche, ma eccellevano nelle gare equestri. Il fine dell’educazione femminile era garantire una maternità vigorosa, quindi formare donne capaci di procreare figli sani e robusti per contribuire al funzionamento dello Stato. Il travaglio del parto era simbolicamente associato al rischio del combattimento in guerra e alla sua gloria. Sulle tombe era vietato scrivere i nomi dei defunti a eccezione di quelli degli uomini morti in guerra e delle donne morte di parto.

È passata alla storia la figura esemplare di Gorgo (506-dopo il 480 a.C.), figlia del re spartano Cleomene I e moglie del re e condottiero Leonida, che incarna la morale femminile spartana. «“Perché voi spartane siete le sole a comandare sugli uomini?” “Perché noi spartane siamo le sole a generare uomini”». In queste parole, riportate da Plutarco, è condensata l’etica delle madri spartane, uniche generatrici di veri uomini, autorizzate persino a uccidere un figlio che ritornava dalla guerra senza essersi comportato da vero guerriero.

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3.3 L’educazione ad Atene

Atene sorse tra l’VIII e il VII secolo a.C. dall’accorpamento di una serie di villaggi della regione denominata Attica. Dopo una fase monarchica, il governo passò nelle mani dell’aristocrazia per poi evolvere gradualmente verso forme di amministrazione via via più democratiche. I legislatori che si succedettero nel VI secolo a.C., Solone ma soprattutto Clistene, moderarono il conflitto sociale con provvedimenti a favore dei ceti più svantaggiati, per esempio con l’abolizione della schiavitù per debiti (Solone); contribuirono inoltre all’istituzione di organi di governo che allargassero la cerchia dei cittadini coinvolti nell’amministrazione della città. Con la riforma di Clistene (509/507 a.C.) furono abolite le quattro tribù  gentilizie e la popolazione fu suddivisa in dieci tribù territoriali. Ciascuna di queste eleggeva, nell’ambito dell’assemblea popolare (ekklesía), cinquanta rappresentanti che andavano a costituire il Consiglio dei Cinquecento (Bulé), un importante organo politico con funzioni di controllo e incaricato anche di preparare le discussioni dell’assemblea popolare. Dal governo democratico erano esclusi le donne, gli stranieri e gli schiavi.

Questo ordinamento istituzionale ha forgiato un particolare modello di paidéia, in greco “formazione”, “educazione”. Ben diversa dall’educazione spartana, che era essenzialmente di tipo militare, l’antica educazione ateniese si ispirava alla kalokagathía, un ideale di virtù fondato sull’abbinamento di bellezza (kalós, “bello”) e bontà (agathós, “buono”), ossia di qualità fisiche e spirituali a cui ispirare l’educazione del cittadino.

Ad Atene il padre era libero di scegliere se educare egli stesso i propri figli o affidarli a maestri fino ai diciotto anni, quando il giovane ateniese veniva iscritto nelle liste di leva e iniziava un periodo di formazione di due anni, chiamato efebìa, finalizzato alla formazione militare e all’istruzione musicale e letteraria.

Non esisteva ad Atene una figura analoga a quella del paidonómos spartano e nelle fonti antiche non si fa riferimento ad alcun tipo di obbligo scolastico e neppure (almeno fino all’età ellenistica) all’esistenza di scuole statali. Tuttavia, l’educazione aveva luogo già a partire dalla primissima infanzia nelle case, dove madri e nutrici fornivano il primo insegnamento, fondato sull’apprendimento di storie e miti tradizionali. Raggiunta l’età della scolarizzazione, il bambino ateniese passava dalle cure della nutrice a quelle del pedagogo, uno schiavo incaricato di insegnargli le buone maniere e di garantirgli una buona educazione, accompagnandolo presso i maestri delle varie discipline. In senso etimologico, infatti, il pedagogo – da páis, “bambino”, e ághein, “guidare”, “condurre” – è “colui che accompagna i fanciulli”, anche con il compito di istruirli moralmente. Sia in Grecia sia a Roma, pur essendo in grado di aiutarli e assisterli nei compiti, egli era ben distinto dal maestro.

Poiché l’istruzione era lasciata all’iniziativa individuale, tale percorso educativo era di fatto riservato ai figli dei cittadini ricchi e agiati. La formazione comprendeva tre aree: la ginnastica, la musica e le lettere. L’educazione aveva il suo punto focale nella pratica sportiva, considerata indispensabile anche per la formazione del carattere.

All’educazione fisica era riservato l’ambiente della palestra; il paidotríbes era l’insegnante che istruiva i ragazzi in vista delle prove atletiche. La lotta era lo sport per eccellenza (il termine “palestra”, in greco paláistra, deriva non a caso da pále, che significa appunto “lotta”). Altre attività sportive erano la corsa, il lancio del disco, il giavellotto e il pugilato.

Non esisteva un edificio pubblico adibito a scuola. Esistevano invece scuole private dove il maestro di musica, il kitharistés (da kithára, “cetra”), e colui che insegnava a leggere, scrivere e far di conto, il grammatistés (da gramma, “lettera”, “segno di scrittura”), impartivano lezioni agli allievi, che portavano con sé tutto l’occorrente: stilo, tavolette per scrivere, strumenti musicali a corde e a fiato. Numerosi vasi mostrano scene di educazione alla musica, soprattutto maestri e allievi con in mano strumenti musicali, in piedi o seduti su sgabelli.

L’insegnamento della musica avveniva per esperienza diretta, senza spartiti, quindi senza l’apporto della scrittura. L’apprendimento delle lettere aveva un ruolo secondario, si basava principalmente sul canto e sulla memorizzazione di poesie liriche e di parti dei poemi omerici. L’aritmetica era molto diversa dal nostro sistema, poiché gli antichi greci ignoravano lo zero e i numeri venivano contrassegnati con le lettere dell’alfabeto.

Il compimento dei diciott’anni inaugurava il passaggio dall’adolescenza alla piena partecipazione alla vita sociale: un ragazzo entrava nella condizione di efebo e per due anni era chiamato a prestare servizio militare per rendere sicure le mura della città e le frontiere della regione.

L’educazione femminile seguiva schemi differenti da quella maschile, perché diverso era il ruolo attribuito alla donna all’interno della società e diversi erano i saperi considerati necessari. Escluse dall’agorà, la pubblica piazza, e dalle assemblee in cui si trattavano gli affari e la politica, le donne partecipavano alla vita della città principalmente attraverso i grandi rituali che vi avevano luogo. Le donne prendevano parte attivamente a circa la metà delle feste celebrate ad Atene (che erano in tutto una trentina). La città associava alle sue celebrazioni i differenti stadi della formazione femminile. In un passo della commedia di Aristofane intitolata Lisistrata (411 a.C.), le donne ateniesi ricordano le solenni cerimonie a cui hanno preso parte in corrispondenza con le diverse tappe dell’educazione ricevuta:

A sette anni ho celebrato le Arreforie, poi ho preparato il grano; a dieci sono stata orsa nelle Brauronie, deponendo la veste gialla in onore di Artemide. Infine, ormai grande e bella, sono stata canefora e ho portato la collana di fichi secchi.

Aristofane, Lisistrata, 641-645, trad. it. di G. Paduano, Rizzoli, Milano, 1981, p.129

Questi versi riassumono un percorso formativo e iniziatico scandito da tappe che preparavano le ragazze di famiglia aristocratica alla vita di donna adulta, madre e sposa. Le ragazzine più piccole venivano istruite allo svolgimento dei compiti della vita quotidiana quali la tessitura (compito delle arrèfore) e la macinatura (compito delle alètridi). Più tardi, all’età di dieci anni, prendevano parte a un rito iniziatico che aveva luogo presso il santuario di Artemide Brauronia (situato a Braurone, località della costa orientale dell’Attica), dove vivevano un “periodo di margine”: non più bambine, non ancora donne. Il rituale di cui facevano esperienza non è facilmente ricostruibile dalle scarse fonti, ma si pensa indossassero pelli di orsa e si abbandonassero per l’ultima volta alla vita da ragazzine. La tappa successiva vedeva le giovinette assumere lo status di donne adulte prendendo parte alle feste Panatenee come canèfore, recando cioè sul capo un canestro con le offerte votive per Atena.

Una volta sposata e integrata nella casa del marito, ogni moglie veniva educata dallo sposo nella scienza dell’amministrazione della casa (l’oikonomía, da cui il vocabolo “economia”). Secondo il poeta Esiodo (VIII-VII secolo a.C.), l’età giusta per contrarre matrimonio era di trent’anni per gli uomini e cinque anni dopo la pubertà per le donne. Se la tessitura e la capacità di assegnare mansioni alle schiave è un sapere che si apprende nelle fasi prematrimoniali, la nuova condizione di moglie richiede che la donna impari ad amministrare, salvaguardare e incrementare il patrimonio della nuova casa. Della vita della casa, infatti, il capo riconosciuto era la moglie.

per immagini

System of a fraud

Camminando per le strade di Atene è possibile scorgere questo murale realizzato nel 2013 dall’artista greco INO, intitolato System of a fraud. L’artista ha raffigurato Solone, ritenuto all’origine della democrazia ateniese, per richiamare un sistema istituzionale tendente alla giustizia e metterlo a confronto con il sistema corrotto della politica contemporanea. La Grecia ha infatti vissuto un’importante crisi sociale, economica e istituzionale a partire dal 2009.

per lo studio

1. Cosa si intende per pólis?

2. Su quali valori si basava l’educazione spartana?

3. Su quali discipline di apprendimento si fondava l’educazione ateniese?


  Per discutere INSIEME 

Come era la scuola che hanno frequentato i tuoi genitori? E quella dei tuoi nonni? Tramite intervista scritta o utilizzando la videocamera, chiedi loro come e cosa si studiava, che rapporto avevano con i loro insegnanti, come era arredato l’ambiente scolastico. Metti poi in evidenza ciò che ti ha maggiormente stupito in questi racconti discutendone con i compagni.

cittadini responsabili

L’arte della tessitura come modello per la gestione dei conflitti politici

Nella commedia di Aristofane intitolata Lisistrata (411 a.C.) la conoscenza per eccellenza cui venivano educate le donne, la tessitura, diventa un modello di amministrazione della città. Saper tessere non è quindi solo fonte di una conoscenza artigianale, ma propone una modalità di gestione dello spazio politico normalmente compito degli uomini. Non è un caso che fosse la scena di una commedia, il genere che rovescia l’ordine delle cose. Lisistrata racconta come le donne greche, stanche della guerra tra Atene e Sparta, propongono una astensione dai rapporti sessuali fino a che i loro mariti non avranno posto fine al conflitto. Nel seguente passaggio viene cantata una proposta per la pace.

Prima di tutto, come si fa con la lana, togliendo via con un bagno il sudiciume dalla città. Poi, stendendola su un letto, togliere di mezzo con un bastone spine e malanni. Poi cardare1 quelli che tramano in società, e spelargli bene la testa. Poi in un paniere mescolare la concordia comune e pettinarla, mettendo insieme i meteci, gli stranieri che vi sono amici, i debitori dello Stato. E le città dove abitano coloni ateniesi dovete considerarle come dei bioccoli2 caduti per terra, lontani l’uno dall’altro. Bisogna prenderli e raccoglierli insieme e farne un solo grande gomitolo, da cui tessere una tunica per il popolo.

Aristofane, Lisistrata, 574-586, trad. di G. Paduano, Rizzoli, Milano 1981, pp. 121-122

Come commenta la grecista Valeria Andò «trasferire metaforicamente i modi di lavorare della lana alla politica fornisce la soluzione dei conflitti e la ricomposizione della compagine comunitaria». La metafora della tessitura è tanto più attuale in quanto riporta all’idea di connessione e di rete che, per esempio attraverso Internet e i social media, contraddistingue il modo contemporaneo di vivere le relazioni sociali.

  Lavoriamo INSIEME

A partire dal testo di Aristofane, pensa ai principali conflitti della società in cui vivi (per esempio discriminazioni, violenze, forme di sfruttamento, questioni ecologiche e così via). In quanto cittadini, pur nel “piccolo” del proprio contesto, ognuno di noi ha la possibilità di partecipare attivamente alla loro risoluzione. Individua una specifica problematica e indica quali strategie si potrebbero adottare per contribuire alla de-escalation del conflitto.

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane