3.3 L’educazione ad Atene
Atene sorse tra l’VIII e il VII secolo a.C. dall’accorpamento di una serie di villaggi della regione denominata Attica. Dopo una fase monarchica, il governo passò nelle mani dell’aristocrazia per poi evolvere gradualmente verso forme di amministrazione via via più democratiche. I legislatori che si succedettero nel VI secolo a.C., Solone ma soprattutto Clistene, moderarono il conflitto sociale con provvedimenti a favore dei ceti più svantaggiati, per esempio con l’abolizione della schiavitù per debiti (Solone); contribuirono inoltre all’istituzione di organi di governo che allargassero la cerchia dei cittadini coinvolti nell’amministrazione della città. Con la riforma di Clistene (509/507 a.C.) furono abolite le quattro tribù ▶ gentilizie e la popolazione fu suddivisa in dieci tribù territoriali. Ciascuna di queste eleggeva, nell’ambito dell’assemblea popolare (ekklesía), cinquanta rappresentanti che andavano a costituire il Consiglio dei Cinquecento (Bulé), un importante organo politico con funzioni di controllo e incaricato anche di preparare le discussioni dell’assemblea popolare. Dal governo democratico erano esclusi le donne, gli stranieri e gli schiavi.
Questo ordinamento istituzionale ha forgiato un particolare modello di paidéia, in greco “formazione”, “educazione”. Ben diversa dall’educazione spartana, che era essenzialmente di tipo militare, l’antica educazione ateniese si ispirava alla kalokagathía, un ideale di virtù fondato sull’abbinamento di bellezza (kalós, “bello”) e bontà (agathós, “buono”), ossia di qualità fisiche e spirituali a cui ispirare l’educazione del cittadino.
Ad Atene il padre era libero di scegliere se educare egli stesso i propri figli o affidarli a maestri fino ai diciotto anni, quando il giovane ateniese veniva iscritto nelle liste di leva e iniziava un periodo di formazione di due anni, chiamato efebìa, finalizzato alla formazione militare e all’istruzione musicale e letteraria.
Non esisteva ad Atene una figura analoga a quella del paidonómos spartano e nelle fonti antiche non si fa riferimento ad alcun tipo di obbligo scolastico e neppure (almeno fino all’età ellenistica) all’esistenza di scuole statali. Tuttavia, l’educazione aveva luogo già a partire dalla primissima infanzia nelle case, dove madri e nutrici fornivano il primo insegnamento, fondato sull’apprendimento di storie e miti tradizionali. Raggiunta l’età della scolarizzazione, il bambino ateniese passava dalle cure della nutrice a quelle del pedagogo, uno schiavo incaricato di insegnargli le buone maniere e di garantirgli una buona educazione, accompagnandolo presso i maestri delle varie discipline. In senso etimologico, infatti, il pedagogo – da páis, “bambino”, e ághein, “guidare”, “condurre” – è “colui che accompagna i fanciulli”, anche con il compito di istruirli moralmente. Sia in Grecia sia a Roma, pur essendo in grado di aiutarli e assisterli nei compiti, egli era ben distinto dal maestro.
Poiché l’istruzione era lasciata all’iniziativa individuale, tale percorso educativo era di fatto riservato ai figli dei cittadini ricchi e agiati. La formazione comprendeva tre aree: la ginnastica, la musica e le lettere. L’educazione aveva il suo punto focale nella pratica sportiva, considerata indispensabile anche per la formazione del carattere.
All’educazione fisica era riservato l’ambiente della palestra; il paidotríbes era l’insegnante che istruiva i ragazzi in vista delle prove atletiche. La lotta era lo sport per eccellenza (il termine “palestra”, in greco paláistra, deriva non a caso da pále, che significa appunto “lotta”). Altre attività sportive erano la corsa, il lancio del disco, il giavellotto e il pugilato.
Non esisteva un edificio pubblico adibito a scuola. Esistevano invece scuole private dove il maestro di musica, il kitharistés (da kithára, “cetra”), e colui che insegnava a leggere, scrivere e far di conto, il grammatistés (da gramma, “lettera”, “segno di scrittura”), impartivano lezioni agli allievi, che portavano con sé tutto l’occorrente: stilo, tavolette per scrivere, strumenti musicali a corde e a fiato. Numerosi vasi mostrano scene di educazione alla musica, soprattutto maestri e allievi con in mano strumenti musicali, in piedi o seduti su sgabelli.
L’insegnamento della musica avveniva per esperienza diretta, senza spartiti, quindi senza l’apporto della scrittura. L’apprendimento delle lettere aveva un ruolo secondario, si basava principalmente sul canto e sulla memorizzazione di poesie liriche e di parti dei poemi omerici. L’aritmetica era molto diversa dal nostro sistema, poiché gli antichi greci ignoravano lo zero e i numeri venivano contrassegnati con le lettere dell’alfabeto.
Il compimento dei diciott’anni inaugurava il passaggio dall’adolescenza alla piena partecipazione alla vita sociale: un ragazzo entrava nella condizione di efebo e per due anni era chiamato a prestare servizio militare per rendere sicure le mura della città e le frontiere della regione.
L’educazione femminile seguiva schemi differenti da quella maschile, perché diverso era il ruolo attribuito alla donna all’interno della società e diversi erano i saperi considerati necessari. Escluse dall’agorà, la pubblica piazza, e dalle assemblee in cui si trattavano gli affari e la politica, le donne partecipavano alla vita della città principalmente attraverso i grandi rituali che vi avevano luogo. Le donne prendevano parte attivamente a circa la metà delle feste celebrate ad Atene (che erano in tutto una trentina). La città associava alle sue celebrazioni i differenti stadi della formazione femminile. In un passo della commedia di Aristofane intitolata Lisistrata (411 a.C.), le donne ateniesi ricordano le solenni cerimonie a cui hanno preso parte in corrispondenza con le diverse tappe dell’educazione ricevuta:
A sette anni ho celebrato le Arreforie, poi ho preparato il grano; a dieci sono stata orsa nelle Brauronie, deponendo la veste gialla in onore di Artemide. Infine, ormai grande e bella, sono stata canefora e ho portato la collana di fichi secchi.
Aristofane, Lisistrata, 641-645, trad. it. di G. Paduano, Rizzoli, Milano, 1981, p.129
Questi versi riassumono un percorso formativo e iniziatico scandito da tappe che preparavano le ragazze di famiglia aristocratica alla vita di donna adulta, madre e sposa. Le ragazzine più piccole venivano istruite allo svolgimento dei compiti della vita quotidiana quali la tessitura (compito delle arrèfore) e la macinatura (compito delle alètridi). Più tardi, all’età di dieci anni, prendevano parte a un rito iniziatico che aveva luogo presso il santuario di Artemide Brauronia (situato a Braurone, località della costa orientale dell’Attica), dove vivevano un “periodo di margine”: non più bambine, non ancora donne. Il rituale di cui facevano esperienza non è facilmente ricostruibile dalle scarse fonti, ma si pensa indossassero pelli di orsa e si abbandonassero per l’ultima volta alla vita da ragazzine. La tappa successiva vedeva le giovinette assumere lo status di donne adulte prendendo parte alle feste Panatenee come canèfore, recando cioè sul capo un canestro con le offerte votive per Atena.
Una volta sposata e integrata nella casa del marito, ogni moglie veniva educata dallo sposo nella scienza dell’amministrazione della casa (l’oikonomía, da cui il vocabolo “economia”). Secondo il poeta Esiodo (VIII-VII secolo a.C.), l’età giusta per contrarre matrimonio era di trent’anni per gli uomini e cinque anni dopo la pubertà per le donne. Se la tessitura e la capacità di assegnare mansioni alle schiave è un sapere che si apprende nelle fasi prematrimoniali, la nuova condizione di moglie richiede che la donna impari ad amministrare, salvaguardare e incrementare il patrimonio della nuova casa. Della vita della casa, infatti, il capo riconosciuto era la moglie.