1 Alle radici della civiltà greca

1. Alle radici della civiltà greca

1.1 ORALITÀ E SCRITTURA

Tra il XIV e il XIII secolo a.C. i  micenei impiegarono un sistema di scrittura logosillabica chiamato Lineare B. Stando alla documentazione a noi pervenuta (principalmente tavolette d’argilla custodite negli archivi palaziali), se ne servirono esclusivamente a scopo amministrativo, per registrare operazioni di tipo economico e burocratico inerenti alla gestione dei loro domini, come entrate e uscite di beni di varia natura, spostamenti di truppe, organizzazione di lavori pubblici. Ciò significa che il patrimonio culturale, la storia, le norme sociali e religiose, i modelli etici e di comportamento venivano tramandati per lo più oralmente. Dopo il tracollo della civiltà micenea, avvenuto intorno alla fine del XII secolo a.C., l’uso della scrittura non è più attestato in Grecia fino all’VIII secolo a.C., quando dall’alfabeto fenicio, un sistema di segni per lo più consonantici, fu generato l’alfabeto greco con l’aggiunta delle vocali.

I poemi omerici (ovvero l’Iliade, sulla guerra di Troia, e l’Odissea, sul ritorno di Odisseo, o Ulisse, in patria), i cui contenuti, personaggi e narrazioni risalgono a epoca micenea, ebbero dunque per lungo tempo una circolazione orale, probabilmente in canti indipendenti. Solo più tardi, verosimilmente nel VI secolo a.C., furono fissati per iscritto, per giungere a noi come opera di un cantore chiamato Omero, la cui effettiva esistenza non può essere del tutto confermata.

1.2 TRAMANDARE IL SAPERE IN UNA CIVILTÀ ESSENZIALMENTE ORALE

L’introduzione della scrittura alfabetica, nell’VIII secolo a.C., non ebbe un impatto culturale significativo sul mondo greco. Anche quando la composizione dei testi è scritta, infatti, la loro trasmissione, fino a buona parte del V secolo a.C., è ancora affidata all’oralità. In una cultura essenzialmente orale, qual è per diversi secoli quella greca, in che modo un popolo tramanda la propria memoria e le proprie conoscenze?

In questa unità ci soffermeremo sul principale canale attraverso cui i greci dell’epoca arcaica (VIII-VI secolo a.C.) trasmisero alle nuove generazioni il proprio patrimonio culturale: la poesia, in particolare l’ epica e la lirica.

Nella Grecia arcaica si sviluppò una forma di pedagogia poetica affidata agli aedi (“cantori”) e ai rapsodi (“cucitori di canti”), rispettivamente esecutori e compositori: due figure che spesso coincidevano poiché in ogni performance l’esecutore rimodulava il testo. Agli aedi e ai rapsodi si deve l’invenzione della tecnica e del linguaggio propri della poesia greca arcaica. Essi allietavano i banchetti presso le corti aristocratiche o si esibivano in luoghi pubblici in occasione di feste religiose o gare poetiche. Lo scopo di ciò non era semplicemente ricreativo, ma anche e soprattutto educativo e sociale. I poeti, infatti, erano incaricati di tramandare non una propria visione del mondo, non sentimenti intimi e personali, ma i miti della comunità cui appartenevano. Con l’accompagnamento della cetra, e a volte al ritmo della danza di un coro di giovani, essi tramandavano le gesta e la fama degli eroi e degli antenati, contribuendo a generare l’identità culturale del pubblico.

Il poeta, figura di rilievo nella società, era trattato con rispetto e veniva connotato con caratteristiche speciali. Per esempio, in un passaggio dell’Odissea il cantore Demodoco viene così descritto:

Venne l’araldo, guidando il valente cantore.

Molto la Musa lo amò, e gli diede il bene e il male:

gli tolse gli occhi, ma il dolce canto gli diede

Omero, Odissea, VIII, 62-64, trad. it. di A. Privitera, Mondadori, Milano, 1981, p. 101

Demodoco è rappresentato cieco, secondo un’antica simbologia che attribuiva ai poeti e ai profeti, proprio perché privi della facoltà visiva, il dono di una sapienza straordinaria: una capacità di vedere di gran lunga superiore a quella dell’uomo comune. Più precisamente, la poesia è un dono delle Muse, grazie alle quali l’aedo viene “posseduto” magicamente dalla capacità creativa di usare le parole, ricordare le vicende del passato e i miti. Alla base della sua opera vi è dunque l’ispirazione, descritta come un processo creativo e di memorizzazione che ha origine nella relazione con le Muse. In questo senso i poeti arcaici, anche se a volte esprimono consapevolezza della propria tecnica, si rappresentano come intermediari delle Muse presso gli ascoltatori. Sono capaci di recitare, improvvisando, e di comporre la poesia nel corso stesso dell’esecuzione, seguendo specifici schemi metrici e usando formule fisse, cioè ripetendo frequentemente espressioni, versi o porzioni di verso.

  esperienze attive

Raccontare un’esperienza Recentemente hai avuto occasione di visitare un museo o un’esposizione d’arte? Hai assistito a uno spettacolo di danza, di teatro o a un concerto di musica? Racconta questa esperienza ai tuoi compagni.

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane