2 Pluralismo di pensiero nella Cina antica

2. Pluralismo di pensiero nella Cina antica

2.1 IL NOSTRO ALTRO?

Per la sensibilità occidentale l’Estremo Oriente, in particolare la Cina, ha da sempre rappresentato l’“altro” per eccellenza.
E ancora oggi continua a essere il termine di paragone fondamentale, diversamente da altre civiltà, che si sono estinte (quelle dell’antico Egitto e della Mesopotamia) o che non vengono considerate altrettanto autorevoli (i popoli indigeni dell’America Latina, dell’Africa e dell’Oceania).
Il confronto Occidente-Oriente ha oscillato nel tempo tra due posizioni: da una parte l’Occidente ha elaborato interpretazioni sull’Oriente volte ad affermare la propria presunta superiorità; dall’altra, l’Oriente è stato spesso esaltato come la sede di una saggezza lontana e fuori dal tempo. Queste opposte posizioni hanno un importante punto in comune: hanno spesso descritto l’Oriente in funzione e in rapporto all’Occidente, invece di cercare di comprenderlo a partire dai suoi riferimenti culturali. La rappresentazione occidentale dell’Oriente ha dunque frequentemente riflettuto le paure, i desideri e i problemi dell’Occidente stesso.
È importante essere consapevoli di questi meccanismi di comprensione, che si attivano quando ci rapportiamo alla diversità culturale e nascono dall’esigenza di riportarla a una dimensione più familiare. Per certi versi sono utili ma, allo stesso tempo, possono produrre conoscenze semplicistiche. Per questo bisogna metterli in discussione e cercare sempre di superarli, per non accontentarsi di una visione riduttiva e distorta degli altri universi culturali. Con questa consapevolezza vogliamo intraprendere lo studio dell’antica civiltà cinese e dei tratti generali delle sue concezioni educative.

2.2 LINEAMENTI STORIOGRAFICI: DAI MITICI SOVRANI ALL’EPOCA HAN

Le opere degli antichi storici cinesi – tra i quali spicca Sima Qian (145-86 a.C. ca.), autore, insieme a suo padre Sima Tan, di Memorie di uno storico – collocano le origini della civiltà cinese a cavallo tra il III e il II millennio a.C. Esse descrivono il periodo delle origini come un’epoca di grande prosperità, caratterizzata dall’invenzione della scrittura e dell’agricoltura da parte di tre sovrani mitici, ai quali seguirono cinque imperatori esemplari. Benché tali testimonianze vengano di solito considerate poco attendibili e contraddittorie, alcuni fatti, come il passaggio da una monarchia elettiva a una monarchia dinastica, sono stati confermati dalle scoperte archeologiche.
Fino al III secolo a.C. si susseguono in Cina tre dinastie: Xia (2195-1675 a.C. ca.), Shang (1600-1046 a.C. ca.) e Zhou (1045-256 a.C.). Il lungo declino della dinastia Zhou, iniziato nell’VIII secolo a.C., è riconosciuto come una delle fasi più vivaci nella storia del pensiero cinese. In questo periodo l’autorevolezza militare e politica della casa reale viene meno, mentre un gran numero di regni vassalli iniziano a combattersi per affermare la propria supremazia. In questa cornice di decadenza e instabilità sorgono tuttavia molteplici correnti di pensiero, comunemente conosciute come le Cento scuole, che cercano di ripristinare l’armonia sociale.
Tra il VI e il V secolo vive Confucio | ▶ IL PERSONAGGIO |, una personalità che secondo Bryan van Norden (▶ sinologo statunitense, n. 1962), ha avuto sulla Cina un’influenza paragonabile a quella esercitata in Occidente dal filosofo greco Socrate e da Gesù insieme. Il suo discepolo e più celebre interprete, Mencio, vive in una fase ancora più drammatica, quella degli Stati combattenti (403-221 a.C.), così chiamata per le lotte sanguinarie che contrapposero i sette Stati più potenti. All’interno del pluralismo di pensiero che caratterizza questa epoca, emerge anche un’altra corrente destinata a esercitare una lunga influenza: il taoismo.
Il taoismo è associato alla figura di ⇒ Laozi, che secondo la tradizione visse al tempo di Confucio e fu l’autore del Daodejing, il testo fondamentale della dottrina taoista. La reale esistenza di Laozi tuttavia non è certa. Sappiamo invece che il primo maestro storico del taoismo fu Zhuangzi, vissuto nel IV secolo a.C., mentre l’esistenza del Daodejing non è attestata prima del 250 a.C.
La fase degli Stati combattenti ha termine nel 221 a.C., quando lo Stato di Qin, al quale la Cina deve il suo nome, riunifica l’intero paese sotto il dominio del sovrano Qin Shi Huangdi e fonda l’Impero cinese, che durerà per due millenni, fino all’inizio del XX secolo. Il breve dominio della dinastia Qin vede l’affermazione delle dottrine legiste, secondo cui l’ordine sociale può essere raggiunto solo attraverso l’imposizione di leggi severe e la minaccia di punizioni.
Nel 206 a.C., tuttavia, subentrano gli Han, che adottano il confucianesimo come dottrina ufficiale dello Stato e restano al potere fino al 220 d.C.
Con la crisi della dinastia Han il pensiero cinese incontra il buddismoentrando così in contatto con il suo primo “altro” occidentale, l’India. «Il buddismo fu, prima dell’arrivo del cristianesimo, la prima espressione di una spiritualità universale e di una cultura straniera a introdursi in una Cina che s’era appena costituita uno spiccato senso della propria identità Han», scrive la sinologa Anne Cheng (n. 1955).
Il buddismo è sorto in India a opera di Gautama Sakyamuni (560-480 a.C. ca.), passato alla storia con il nome di Buddha, “il Risvegliato”. Intorno al 250 a.C. si sviluppa in seno al buddismo la tendenza conosciuta con il nome di Grande veicolo (mahayana), grazie alla quale la dottrina buddista, inizialmente riservata a pochi, diventa un messaggio universale e valido per tutti gli esseri viventi, ritenuti ugualmente capaci di raggiungere l’illuminazioneQuesta corrente si afferma in Cina e in tutto il mondo sinizzato (Giappone, Corea, Vietnam, Tibet), assumendo nel nuovo contesto dei caratteri specifici, anche a partire da un proficuo dialogo con il taoismo.
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IL PERSONAGGIO  Confucio

Il nome “Confucio” è frutto della latinizzazione dell’appellativo Kongfuzi, “maestro Kong”, usato in alternativa al più comune KongziConfucio nasce nel 551 a.C. a Zou, nel regno di Lu, attuale Shandong, e muore all’età di 72 anni. La sua famiglia è di origini aristocratiche, ma la morte del padre, avvenuta poco dopo la sua nascita, lo costringe a una giovinezza di povertà. Confucio faceva parte della classe colta degli shi, intermedia tra il popolo dei contadini e degli artigiani e la nobiltà guerriera, che durante l’età imperiale avrebbe identificato i letterati impegnati nell’esercizio di cariche amministrative. A Lu, egli ricopre diversi incarichi, fino ad assumere quello di ministro della giustizia. Intorno ai cinquant’anni, disapprovando l’operato del sovrano, intraprende una lunga e sofferta peregrinazione insieme ai suoi discepoli, con il proposito di mettersi al servizio di altri principati, ma senza grande successo. Al rientro in patria si dedica all’insegnamento e alla rielaborazione a scopo pedagogico di antichi testi, tra i quali il Libro delle Odi e il Libro dei Documenti.
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2.3 IL DAO: UNA VIA CHE SI TRACCIA CAMMINANDO

Per una comprensione in chiave pedagogica delle correnti di pensiero fiorite in Cina fin dall’antichità, è necessario prendere in considerazione il vocabolo dao (o tao). La parola ha valore sia di sostantivo: “via”, “strada”, “metodo”, sia di verbo: “camminare”, “avanzare”, ma anche “parlare”.
Associato comunemente al taoismo, il dao in realtà si riferisce a molteplici prospettive. Ognuna di esse, infatti, propone un dao, cioè un insegnamento che orienta l’esistenza. La sinologa Anne Cheng si sofferma sul carattere dinamico del dao: «la Via non è mai tracciata in precedenza, ma si traccia mano a mano che vi si cammina». L’insegnamento, dunque, ha risvolti profondamente pratici e assume direzioni diverse all’interno delle varie correnti di pensiero. In particolare, si possono rintracciare due grandi alternative, legate al taoismo e al confucianesimo. La via taoista si incentra sulla non-azione, mentre il confucianesimo si esprime attraverso l’impegno nel mondo. Non si tratta di proposte che si escludono a vicenda, ma di percorsi che si prestano a essere seguiti dalla stessa persona, rispetto ad ambiti diversi dell’esperienza. Come sottolinea la sinologa Amina Crisma, infatti, in Cina l’adesione a un’unica fede viene giudicata limitante e non è concepita se non per una ristretta cerchia di esperti.
Ma che cos’è, per il taoismo, il non agire? Per tentare di coglierne il significato, bisogna considerare il contesto in cui il testo fondamentale, il Daodejing, è stato composto. Esso risale con ogni probabilità alla fine della stagione degli Stati combattenti. In tale cornice di terrore e brutalità, il testo indica la debolezza come via per interrompere la spirale di violenza e neutralizzare l’aggressione. La non-azione, intesa come astensione da ogni azione aggressiva, diretta o intenzionale, delinea un cammino a ritroso verso uno stato di natura, visto come non aggressivo; un ritorno al dao. Nel taoismo, la parola dao, infatti, non identifica solo l’insegnamento basato sulla non-azione, ma anche l’Origine assolutageneratrice della realtà e madre di tutti gli esseri, al contempo una e molteplice.
In ragione di questa attenzione essenziale per il cosmo, il taoismo è stato spesso contrapposto al confucianesimo, considerato invece disinteressato alla sfera spirituale e incentrato solo sugli aspetti sociali dell’esistenza. Tuttavia la lettura dei Dialoghi di Confucio, come mostra il sinologo Maurizio Scarpari (n. 1950), contraddice questa interpretazione: essa chiarisce che Confucio, pur tenendo in grande considerazione le leggi che regolano l’universo, non affronta questi temi per una sorta di reverente timore, perché convinto che le parole potrebbero fraintenderli.

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  esperienze attive

Le arti marziali e la “via del debole” La proposta taoista del non-agire ha trovato applicazione nelle arti marziali. Judo, per esempio, è la pronuncia giapponese di roudao, parola che significa "via del debole" e che è contenuta nel Daodejing.

Divisi in gruppi di lavoro, fate una ricerca sulle arti marziali, mettendo in rilievo le loro origini storiche e i loro legami con il pensiero cinese.

2.4 CONOSCERE PER VIVERE: LA PEDAGOGIA CONFUCIANA

Gli insegnamenti di Confucio sono contenuti in diversi libri scritti dai discepoli dopo la sua morte, in particolare nei Dialoghi. L’opera significativamente si apre con una frase che pone al centro l’apprendimento. Confucio infatti afferma: «Studiare e mettere costantemente in pratica non è una soddisfazione?» Lo studio quindi è strettamente connesso alla pratica, non mira all’acquisizione di contenuti, ma a plasmare l’esistenza.
Una nozione centrale nella concezione confuciana è ren: variamente tradotto come “umanità”, “reciprocità”, “magnanimità”, il termine è composto dal pittogramma che indica “uomo” e dall’ideogramma che indica “due”. Esso dunque suggerisce che è possibile raggiungere la piena umanità solo all’interno della rete di relazioni in cui ciascuno è immerso.
In particolare la pietà filiale, cioè il sentimento di amore e rispetto del figlio per il padre in risposta alla sua bontà, costituisce la forma primaria di reciprocitàsulla quale si basano le altre quattro relazioni fondamentali: quella tra suddito e sovrano, tra fratello minore e fratello maggiore, tra moglie e marito, e tra amici. Non esiste quindi frattura tra la sfera della famiglia e quella politica, poiché quest’ultima è un’estensione della prima: il principe è rispetto ai suoi sudditi ciò che un padre è rispetto ai suoi figli, e la coltivazione interiore procede di pari passo con il compito di dare stabilità allo Stato.
Una parola strettamente connessa a ren è li, che indica l’insieme dei riti e delle norme di comportamento, sui quali Confucio esortava i suoi discepoli a riflettere. I riti hanno un’origine religiosa, ma nella concezione confuciana sono valorizzati soprattutto per la loro capacità di alimentare i legami sociali, mirando all’armonia. In questo senso, non si riducono a convenzioni esteriori e formali, piuttosto hanno un forte spessore etico e devono essere radicati nell’intenzione interiore.

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DA ORAIN POI

Il confucianesimo
Il confucianesimo è stato tradizionalmente considerato oppressivo nei confronti delle donne, per il suo richiamo insistente al tema dell'obbedienza della moglie verso il marito, ma soprattutto perché certi suoi sviluppi hanno teorizzato il dominio dell'uomo sulla donna. Recentemente alcune femministe hanno ribaltato questa visione valorizzando il concetto confuciano di ren, nel significato di "compassione" e "sollecitudine per gli altri", attribuito in particolare a Mencio.

per lo studio

1. Che cosa significa la parola dao?
2. Quale accezione assume nel taoismo e nel confucianesimo?
3. Che cosa esprime il ren nella concezione confuciana?


  Per discutere INSIEME 

La lettura di questo capitolo ha modificato la tua visione della Cina?
Se sì, in che senso? Discutine in classe con i compagni.

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane