1.2 I PADRI E LE MADRI DEL DESERTO
Antonio Abate | ▶ IL PERSONAGGIO, p. 250 |, venerato come santo dalla Chiesa cattolica, ▶ luterana e ▶ coopta, oltre a costituire il modello ispiratore di ogni monaco, è considerato il precursore del monachesimo del deserto, un movimento religioso che si diffuse tra il IV e il V secolo soprattutto in Egitto, ma anche in Palestina e in Siria. I monaci del deserto vivevano da soli o in piccoli gruppi, per lo più intrattenendo reciproche relazioni, in modo costante o sporadico. La solitudine totale o, viceversa, una vera e propria vita di comunità erano infatti scelte piuttosto rare, ma in mezzo a questi estremi potevano verificarsi diverse possibilità.
I monaci del deserto trascorrevano la maggior parte del tempo nella propria cella, accompagnando l’assidua preghiera con un lavoro manuale dal quale traevano il necessario per vivere. Di solito la
cella era un piccolo edificio quadrato in pietra, mattoni, terra battuta o argilla, formato da due o più vani, situato al centro di un cortile dotato di un orto e di un pozzo e circondato da un muro di recinzione. Tuttavia anche una grotta scavata nella roccia poteva fungere da cella. A volte la stessa cella ospitava il padre spirituale e i suoi discepoli, altre volte essi vivevano in celle poco distanti l’una dall’altra. Dal punto di vista pedagogico, infatti, un aspetto fondamentale del monachesimo del deserto era proprio il
profondo legame che si instaurava tra i discepoli e la guida spirituale, chiamato
padre (
abba) o
madre (
amma).
Questo rapporto si manifestava in molteplici modi, di cui ci offrono testimonianza soprattutto le raccolte dei detti dei padri del deserto.
- Quando qualcuno sentiva il desiderio di intraprendere la vita monastica, si rivolgeva a una persona già matura in questo cammino, che in genere lo sottoponeva all’adempimento di prove per saggiare la sua reale motivazione e la sua disponibilità all’obbedienza. Questo tirocinio comprendeva ordini che alla luce della sensibilità di oggi appaiono assurdi – come affrontare bestie feroci o restare a digiuno per giorni – e che l’iniziato, tuttavia, accoglieva con accondiscendenza per la fiducia che lo legava al padre o alla madre spirituale. D’altra parte, questi ultimi sapevano conciliare severità e amorevolezza e, soprattutto, adattavano i propri insegnamenti al livello spirituale del discepolo, com’è evidente, per esempio, nel seguente detto: «Disse ancora amma Sara: “È cosa buona fare l’elemosina anche se la si fa per piacere agli uomini, perché dal desiderio di piacere agli uomini si volge poi in cosa gradita a Dio”». Madre Sara, infatti, valorizza quanto c’è di buono, nel caso specifico l’elemosina fatta per compiacere agli uomini, nella speranza che cresca e si consolidi in una più chiara manifestazione di fede.
- Nei detti dei padri del deserto si trova con frequenza l’espressione “dimmi una parola”, con la quale ci si rivolgeva al padre o alla madre spirituale – chiamati anche “anziano” o “anziana” in virtù della loro autorevolezza – per chiedere conforto e aiuto nel percorso di fede. Non sempre la persona interpellata rispondeva verbalmente; un gesto poteva essere più eloquente delle parole, come rivela questo detto:
Abba Lot andò a visitare abba Giuseppe e gli disse: “Abba, secondo le mie possibilità io pratico un piccolo digiuno, la preghiera, la meditazione e la quiete, e secondo le mie possibilità mi conservo puro nei pensieri: che cosa mi resta ancora da fare?”.
Allora l’anziano, alzatosi in piedi, distese le mani verso il cielo e le sue dita divennero come dieci fiaccole accese; e gli disse: “Se vuoi, diventa tutto fuoco!”.
L. d’Ayala Valva, Introduzione, in I padri del deserto, I detti. Collezione sistematica, Qiqajon, Magnano, 2013, p. 7
- Il discepolo, inoltre, era tenuto a confidarsi apertamente con la guida, poiché anche se questi conosceva il suo cuore, soltanto attraverso un affidamento sincero era possibile ridimensionare e superare le tentazioni.
Come sottolinea Guidalberto Bormolini (monaco e studioso del monachesimo, n. 1967), l’argomento principale dei detti dei padri del deserto è il controllo dei pensieri e delle passioni. Questi, oltre a essere personificati – si dice che urlano all’orecchio del monaco, lo infastidiscono, lo circondano, lo mettono in pericolo – hanno una natura ambivalente: possono provocare preoccupazioni e impedire la quiete dell’anima ma, se bene indirizzati, conducono a Dio. Per esempio, l’invidia può essere convertita in una sana competitività, che spinge a migliorarsi sempre di più.
Le armi indicate contro i cattivi pensieri e le distorsioni delle passioni sono molteplici: si va dalla vera e propria lotta, in genere raccomandata a coloro che sono più forti spiritualmente, alla capacità di smascherarli, anticiparne le
conseguenze, persino prenderli in giro o trattarli con comprensione, come si racconta che fecero i padri Teodoro e Lucio di Enaton, che per cinquant’anni si presero gioco dei propri pensieri dicendo: «Dopo quest’inverno ce ne andremo di qui», ma all’arrivo dell’estate dicevano: «Ce ne andremo dopo quest’estate».
Gli storici hanno rintracciato molti punti di contatto tra le pratiche di meditazione orientale – in particolare lo yoga – e le esperienze di preghiera contemplativa dei primi monaci: l’immobilità, l’⇒ esichia, il controllo della respirazione, l’attenzione alla posizione del corpo, la recita continua di una stessa invocazione, l’astinenza dalla carne e così via.
Il fenomeno del monachesimo del deserto si esaurì soprattutto a causa delle continue incursioni dei beduini, che attaccavano le celle e massacravano i monaci, e delle ▶ dispute dottrinali che attraversavano la Chiesa. A partire dal V secolo, in Palestina, cominciarono a essere composte due grandi collezioni di detti di padri del deserto, giunte fino nostri giorni:
- la collezione alfabetico-anonima: così chiamata perché nella prima parte espone i detti dei padri più conosciuti elencati in ordine alfabetico, mentre nella seconda parte riunisce detti tramandati in forma anonima.
- la collezione sistematica: organizzata secondo un criterio tematico.
Le prime versioni di queste raccolte ebbero una grande influenza sulla letteratura monastica successiva e, in particolare, sulla Regola benedettina.