Vecchie e nuove migrazioni

VERSO L’ESAME

SECONDA PROVA SCRITTA – TEMA DI SCIENZE UMANE

Vecchie e nuove migrazioni

PRIMA PARTE

I fenomeni migratori diretti verso l’Europa rappresentano oggi una realtà complessa e articolata che richiede un’attenta considerazione e analisi da parte dei paesi di accoglienza.
Non sempre però questo avviene e si registra invece, a volte, una valutazione della situazione semplicistica e sommaria che non sembra tenere conto dei molteplici aspetti e risvolti che la costituiscono. In alcuni casi, appaiono molto carenti le capacità empatiche e di immedesimazione non solo nella condizione che l’altro (il migrante) si trova a vivere ma anche nel suo punto di vista. Luigi Ciotti ricorda come, dietro a questa difficoltà, si nasconda una perdita di memoria che, in nome della difesa della propria identità, si traduce nella difficoltà di ricordare il passato del popolo a cui si appartiene, cioè il proprio passato da emigrante. Franco Ferrarotti illustra invece la differenza tra vecchio e nuovo razzismo e spiega come spesso la tematica dell’immigrazione venga “spostata” su quella del razzismo.
Il candidato, avvalendosi anche della lettura e analisi dei documenti riportati, analizzi le dimensioni che caratterizzano la complessità del fenomeno migratorio, soffermandosi in particolare sulle motivazioni a carattere individuale che spingono il singolo a lasciare il proprio paese per spostarsi in un altro e individui ogni possibile strumento e intervento, anche di ordine pedagogico, da destinarsi in primis a chi arriva ma anche a chi accoglie, e che possa essere attuato per affrontare, a tutto campo, questo fenomeno, evitando il più possibile l’insorgere di derive razziste.

DOCUMENTO 1
Una delle paure più grandi […] è quella di perdere la nostra identità, il nostro mondo, le nostre tradizioni. Il senso della perdita traspare dalle parole, dagli atti, dai gesti anche quando non è percepito nella sua reale dimensione. Esso tocca soprattutto i più anziani, ma anche i giovani. Ed è naturale che sia così perché è l’identità che ci dà sicurezza e riferimenti solidi. Ma per sapere chi siamo dobbiamo sapere da dove veniamo, dobbiamo includere la nostra storia in una storia più grande che ci precede e che abbiamo il compito di sviluppare. Il nostro Paese soffre di una grave emorragia di memoria. […] Siamo più di ogni altra cosa un popolo di migranti. Appena unita l’Italia ha cominciato a “sparpagliarsi”. Dal 1861 ad oggi sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze. […] Ed è stato un esodo che ha toccato tutte le regioni italiane […]. C’è un dato che ti invito a non sottovalutare: gran parte della nostra emigrazione è stata clandestina. In un tempo neanche troppo remoto, i clandestini, i “messi al bando” eravamo noi. Noi, gli italiani. Anche gente del “nord”: lombardi, veneti, piemontesi, friulani. […] Negli Stati Uniti, uno dei soprannomi affibbiati agli italiani era “Wop”, cioè without passport, “senza documenti”. Anche la gran parte dei familiari, che emigrava per raggiungere chi aveva trovato lavoro all’estero, lo faceva illegalmente. Aggiungo che […] non siamo certo stati accolti “a braccia aperte”. “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, ha detto trent’anni fa lo scrittore svizzero Max Frisch, per cercare di spiegare l’ostilità dei suoi compatrioti verso gli immigrati italiani. […] Dunque se c’è un popolo che ha il dovere di ricordare è il nostro, che ha avuto una recente, imponente storia di migrazione, fatta anche di sofferenze, fatiche, umiliazioni, di “no” sbattuti in faccia. Eppure quella storia sembra dimenticata. Ciò comporta un deficit di cultura e di memoria e, contemporaneamente, ci allontana dalle nostre radici e dalla nostra identità. C’è di più. Le migrazioni di ieri, come quelle di oggi, sono state piene di difficoltà e di sofferenze. Anche le nostre. […] Questa è la nostra storia e, per mantenere la nostra identità, dobbiamo essere con essa coerenti.
Non è infatti solo una storia. È anche una cultura. Abbandonandola, dimentichiamo noi stessi, quello che siamo.

Luigi Ciotti, Lettera ad un razzista del terzo millennio, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2019, p. 44-49

 >> pagina 438 
DOCUMENTO 2
Il vecchio razzismo si basava su differenze biologiche, come il colore della pelle. Il nuovo razzismo si basa su tratti culturali. L’essenza non è cambiata, comunque. L’inferiorità degli immigrati extracomunitari, per esempio, viene comunque ritenuta una realtà fattuale che deve essere empiricamente testata e dimostrata, al di là di ogni qualificazione che attesti superiorità o inferiorità biologica, dalla loro differenza culturale. Assai convenientemente […] è stato pronunciato lo “spostamento” della questione dell’immigrazione al razzismo. Ciò sposta la questione dai problemi specifici di tipo pratico, politico-giuridico, posti dal pieno riconoscimento dei diritti civili degli immigrati come cittadini a tutti gli effetti, verso le speculazioni oziose, pseudo-filosofeggianti, parascientifiche, che hanno spinto il dibattito verso temi che hanno costituito un alibi per i ritardi, l’indolenza e le colpe delle politiche del governo centrale e locale sul fenomeno dell’immigrazione. Questo razzismo, che è basato su una presunzione di asimmetria culturale, mira ad essere “razzismo colto”. […] Le discriminazioni razziali sono sempre basate su una mentalità razzista che consiste essenzialmente nel postulare non solo l’ineguaglianza e la gerarchia tra le razze, ma anche, come un corollario logicamente inevitabile, l’ineguaglianza e la gerarchia delle culture. Così, per non riconoscere agli immigrati i diritti di cittadinanza a tutti gli effetti, si preferisce iniziare il dibattito sui “salti” culturali, comprendendo che da questa posizione è più facile contrabbandare segretamente la superiorità non-dimostrata della cultura nord-americana ed europea occidentale. In questo caso, il senso comune esemplifica tutti gli attuali stereotipi dati per scontati, e diventa un valido alleato del razzismo colto.

Franco Ferrarotti, Note preliminari su pregiudizi etnici e stereotipi culturali, in Relazioni etniche, stereotipi e pregiudizi, a cura di Marcella Delle Donne, EdUP, Roma, 1998, p. 143-144

SECONDA PARTE

Il candidato risponda a due dei seguenti quesiti:
1. Quali tipologie di occupazioni i migranti trovano nei paesi di accoglienza?
2. Illustra il modello di integrazione del melting pot.
3. Quali caratteristiche presentano oggi le migrazioni femminili?
4. Che cos’è il multiculturalismo?

  • Durata massima della prova: 6 ore.
  • È consentito l’uso del vocabolario di italiano.
  • È consentito l’uso del vocabolario bilingue (italiano-lingua del paese di provenienza) per i candidati di madrelingua non italiana.
  • Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3 ore dalla lettura del tema.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane