3. I consumi, gli stili di vita e la moda

3. I consumi, gli stili di vita e la moda

3.1 LA SOCIETÀ DEI CONSUMI

La riflessione della sociologia classica, quella di Karl Marx, Max Weber e Émile Durkheim, aveva cercato di offrire una risposta ai mutamenti sociali prodotti dalla Rivoluzione industriale nella sfera del lavoro, con l’avanzare della produzione capitalista, e ai mutamenti avvenuti nell’ambito della politica, con il costituirsi degli Stati democratici.
A partire dalla seconda metà del Novecento, quale conseguenza del diffondersi del benessere economico successivo alla Seconda guerra mondiale, la sociologia iniziò a descrivere le caratteristiche di quella che è stata definita la “società dei consumi”: una società che dava importanza ai gusti e alle preferenze nell’acquisto delle merci, alla moda, al “tempo libero” quale principale ambito di espressione individuale, e con una presenza pervasiva della pubblicità commerciale. Lo spostamento del baricentro della società dalla produzione al consumo suggerisce inoltre che, differentemente dal passato, le persone costruiscono la loro identità sociale attraverso ciò che consumanoinvece che tramite ciò che producono. In altre parole, lo status sociale è ora dato non più soltanto dal proprio lavoro, com’era tipico delle società industriali, ma dal possesso di alcuni beni di consumo.
Nella società capitalista, infatti, il consumo diventa sempre più importante non solo per ragioni economiche, ma per i significati simbolici che le merci assumono nelle relazioni sociali. Il possesso di beni e oggetti trasmette infatti un messaggio sullo status socio-economico, creando e comunicando un sistema di distinzioni sociali. Pensiamo per esempio ai cosiddetti status symbol, ossia gli oggetti che simboleggiano l’alto livello sociale ed economico di chi li possiede. Anche se cambiano nel tempo, gli status symbol sono spesso espressione di ricchezza e agio economico (come appare chi, per esempio, circola con una Ferrari) e, in tal senso, delle differenze tra classi sociali. Si tratta in altri termini di beni posizionali, che sono desiderati e acquistati proprio perché permettono  i segnalare uno status sociale.
Storicamente, la sociologia – la Scuola di Francoforte in particolare – ha criticato la società dei consumi, evidenziando soprattutto due fenomeni a essa connessi:
  • il consumismo, associato alla pubblicità, che spinge le persone a comprare sempre nuove merci, e alla moda, che favorisce l’acquisto di oggetti e vestiti sempre nuovi.
  • la mercificazione, che ha invece a che vedere con il fatto che in una società basata sul consumo qualunque cosa può diventare oggetto di scambio economico, compreso il sesso, il sangue o gli organi delle persone.
A partire dalla fine degli anni Settanta, tuttavia, le scienze sociali hanno iniziato a riconoscere che le culture del consumo non sono solo la manifestazione della pressione dell’economia capitalista sulle esistenze individuali, ma diventano espressione di spazi di libertà, di auto-realizzazione e di creatività: ne sono un esempio i famosi graffiti di Banksy | ▶ IL PERSONAGGIO |.
In quegli anni studiosi appartenenti al rinomato Center for Contemporary Cultural Studies di Birmingham, in Gran Bretagna, misero in evidenza come le nuove generazioni utilizzassero prodotti di massa in modo creativo e autonomo, per generare nuove identità contrapposte ai modelli dominanti proposti dalla struttura sociale dell’epoca, cioè dando vita a delle vere e proprie “sottoculture giovanili”.

per immagini

Rappresentazione del consumismo

A Londra, nel 2011, è apparsa sul lato di un complesso di uffici in disuso del centro città un’immagine che è stata associata all’artista di strada Banksy. Questa sua opera si chiama Shop until you drop (letteralmente “Compra finché cadi”), che in inglese significa metaforicamente “fare shopping fino allo sfinimento”. Si vede infatti una donna che sta cadendo (drop) mentre tiene stretto il suo carrello della spesa colmo di oggetti. La raffigurazione di questo modo di dire inglese vuole far riflettere sul consumismo e sull’acquisto eccessivo e inutile di merci da parte della massa di consumatori. Come la maggior parte dei lavori di Banksy, anche questo stencil ha generato ampie discussioni politiche e sociali, ponendo l’inevitabile questione sui fenomeni dell’attuale società dei consumi.

IL PERSONAGGIO  Banksy

Bansky (nato, forse, nel 1974 e, forse, a Bristol, in Inghilterra) è un anonimo artista di graffiti conosciuto per la sua are antiautoritaria, spesso realizzata in luoghi pubblici. Usando la tecnica dello stencil (una maschera creata al fine di ricavare il profilo dell'immagine che si vuole riprodurre), ha sviluppato un'iconografia distintiva di immagini altamente riconoscibili, come ratti e poliziotti, che comunicano il suo messaggio libertario e satirico. Le sue opere di commento politico e sociale sono state presentate su strade, pareti e ponti di città in tutto il mondo. Si è descritto come un "vandalo di qualità", sfidando l'autorità delle istituzioni politiche e artistiche. Sebbene sempre più famoso, la sua identità rimane anonima: le sue rare interviste sono state condotte via e-mail o con risposte fornite da una voce alterata su nastro.

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3.2 CONSUMI, CLASSI SOCIALI E STILI DI VITA

Quando in sociologia si affronta il tema dell’intreccio tra consumi, stili di vita e classi sociali, vi sono due riferimenti obbligatori, uno di tipo “classico”, che ci riporta agli albori della disciplina, l’altro più contemporaneo. Vediamoli entrambi.
Nel 1899, l’economista e sociologo americano Thorstein Veblen (1857-1929), nel suo famoso libro The Theory of the Leisure Class (La teoria della classe agiata), conia l’espressione “consumo vistoso”, espressione che descrive e spiega la prassi dei consumatori di utilizzare beni di qualità superiore o in quantità maggiore di quanto effettivamente necessario in termini pratici.
ESEMPIO: il concetto di consumo vistoso può essere illustrato pensando alla differenza tra un’automobile di lusso e una economica. Entrambe forniscono il trasporto verso una destinazione, ma l’auto di lusso, oltre a possedere probabilmente un motore più potente e versatile e una serie di rifiniture e optional (sedili in pelle, sensori esterni e così via), attira l’attenzione sulla ricchezza del conducente e ne dimostra così lo status sociale.
La tesi alla base della teoria di Veblen sulla “classe agiata” è quindi contemporaneamente semplice e rivoluzionaria: chi fa parte dell’élite della società mostra la sua superiorità non attraverso la capacità di amministrare, creare o dirigere, ossia dando un contributo concreto e di qualità alla società, ma adottando consumi vistosi.
In sintonia con quanto descritto da Veblen, il sociologo francese Pierre Bourdieu | ▶ UNITÀ 5, p. 197 |, esattamente ottant’anni dopo, nel 1979, introdusse il concetto di “distinzione” per spiegare il ruolo giocato dall’appartenenza a una determinata classe sociale nelle preferenze estetiche dei consumatori. Il concetto di distinzione non è poi così diverso da quello di consumo vistoso: entrambi sono basati sull’idea che gli individui mettono in mostra i loro diversi status sociali attraverso le loro preferenze e scelte di consumo. Ma Bourdieu specifica ulteriormente il concetto introducendo i concetti di habitus e di capitale culturale. Secondo il sociologo francese, il capitale culturale è la “riserva” di conoscenza culturale ed estetica che un individuo ottiene attraverso la sua posizione sociale.
ESEMPIO: non è casuale che i figli di professionisti quali medici o avvocati – professioni che solitamente nella nostra società godono di un alto status sociale e agio economico – posseggano determinate conoscenze al di là della scuola che hanno frequentato, magari perché hanno avuto la possibilità di viaggiare sin da quando erano piccoli o semplicemente per via degli argomenti di cui hanno sentito i loro genitori discutere in casa.
Se quindi il capitale culturale è il bagaglio di conoscenza che ognuno di noi ha ereditato e assorbito senza neppure accorgersene in virtù dell’appartenenza a una determinata classe sociale, l’habitus è il mezzo attraverso il quale il capitale culturale diventa operativo. L’habitus è il prodotto dell’interiorizzazione del capitale culturale e fa sì che gusti e preferenze appaiano all’individuo come naturali e spontanei | ▶ UNITÀ 5, p. 196 |.
Le scelte estetiche e le differenze nei consumi marcano così le differenze tra gli individui e identificano alcuni gruppi sociali, facendo della distinzione il principale strumento di riproduzione delle disuguaglianze socialiLa predisposizione a determinati tipi di cibo, musica e arte viene insegnata e instillata nei bambini già in età infantile, divenendo parte del loro modo di comportarsi e di agire in modo “appropriato” rispetto alla loro posizione sociale. Per gli stessi meccanismi, anche lo sviluppo di avversioni verso gli oggetti, i gusti e i comportamenti preferiti da altre classi sociali è una modalità per distinguersi e dimostrare il proprio status. “Non si va in giro con i vestiti sporchi”, “Non si mangia con le mani”, “Non si comprano le cose usate”, “Truccarsi in modo troppo evidente è volgare” sono tutte frasi comuni orientate a sancire quelli che sono i comportamenti e le abitudini corrette per distinguersi da alcuni gruppi sociali.
Il gusto e gli stili di consumo sono dunque esempi importanti di come si creano le differenze di classe e di come si manifesti e si riproduca l’egemonia culturale delle classi superiori, influendo negativamente sulla mobilità sociale. I gusti della classe dominante tendono così a imporsi su quelli delle altre classi sociali, costringendo chi vi appartiene a conformarsi alle preferenze estetiche dominanti, salvo voler rischiare la disapprovazione sociale e l’essere catalogati come “rozzi”, “volgari” o, semplicemente, “poveri”.
La sociologia ha quindi il compito di riconoscere come, proprio attraverso i consumi, nella società contemporanea continuino a riprodursi persistenti e durature differenze e diseguaglianze. Ciò è stato particolarmente evidente a seguito della crisi economica che ha attraversato l’Europa, e in particolare l’Italia, dopo la caduta finanziaria del 2008, portando nel nostro paese una generale riconfigurazione del rapporto tra classi sociali e modelli di consumo.

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3.3 LA MODA E LE SOTTOCULTURE

Per la sociologia, la moda è un fenomeno sociale estremamente importante, che integra la cultura, l’economia e la costruzione dell’identità, soggettiva e di gruppo. La moda è sia un’idea che un ideale, ma trova espressione materialmente e visivamente in forme, stili e oggetti codificati (per colore, design o marchio).
Tuttavia, la moda non riguarda semplicemente le tendenze in fatto di musica, vestiario, acconciatura o cibo. È un fenomeno espressivo che favorisce il diffondersi delle novità e di particolari forme d’identità sociale, sollecitando tanto la produzione economica, quanto il consumo collettivo e individuale. A livello di tendenze giovanili, per esempio, negli anni Novanta andava di moda il grunge, caratterizzato da capelli lunghi, camicie a quadri in flanella, musica rock, anfibi, piercing e jeans tagliati alle ginocchia. In tempi più recenti, una delle tendenze è stata rappresentata dalla moda hipster, fatta di musica indie, biciclette, pantaloni a vita alta, barbe lunghe per gli uomini e tatuaggi.
In termini sociologici, è importante notare come in entrambi i casi quella che era la tendenza non abbia influenzato solo il vestiario, ma abbia dato impulso a interi settori di mercato, come quello dei tatuaggi, delle biciclette, dei piercing o dei barber shop oggi tanto diffusi. Inoltre, in entrambi i casi la moda ha legittimato e istituzionalizzato alcune pratiche sociali, come l’andare in bicicletta, nonché alcune forme identitarie: se negli anni Novanta poteva essere stigmatizzante avere un tatuaggio o un piercing, oggi è del tutto normale incontrare persone visibilmente tatuate o con dei piercing, tanto in strada quanto nei negozi, in banca o negli uffici pubblici.
Qualsiasi analisi della società contemporanea deve dunque fare i conti con la logica della moda e la centralità che essa ha nelle nostre esperienze quotidiane. Quale processo sociale, la moda è responsabile del posizionamento degli individui all’interno di un mondo di oggetti, luoghi, situazioni, simboli e pratiche che concorrono in vario modo a formare la realtà sociale. Così, tanto il seguire la moda quanto il mantenersi indifferenti o criticarla diventano per gli individui canali importanti attraverso i quali costruire e dimostrare la loro differente identità sociale e individualità.
Il sociologo classico Georg Simmel | ▶ UNITÀ 3, p. 100 | sottolineava come la moda non riguardasse solo gli stili di abbigliamento, ma fosse un fenomeno essenziale per riuscire a spiegare due tendenze tipiche ma contraddittorie della vita nelle società complesse: la tendenza all’imitazione degli altri e, quindi, all’omologazione, e la necessità di distinzione, e quindi l’affermazione della differenza della propria individualità dalla massa. Per Simmel, nella moda si osserva come la dimensione individuale e quella collettiva si attraggano e si respingano allo stesso tempo, permettendo un movimento dinamico tra conservatorismo e nuove forme espressive.
È in tale movimento dinamico che possono prendere forma le sottocultureCome già detto, tradizionalmente la moda è stata trainata dalle classi superiori, che dettavano lo stile dominante, emulato poi dalle classi inferiori. A partire dal secondo dopoguerra, con il formarsi di una nuova categoria sociale, quella dei teen-ager (“giovani”), e del tempo libero a disposizione come risorsa collettiva, e non solo delle classi abbienti, che non avevano necessità di lavorare, la moda diventa qualcosa di più complesso. In particolare, accade che nuovi stili e tendenze possano essere non più il risultato dell’emulazione dei consumi delle classi superiori da parte di quelle inferiori, ma anche il contrario. L’esempio più famoso è probabilmente quello dei jeans.
All’inizio del Novecento, i jeans in origine erano un capo d’abbigliamento utilizzato negli Stati Uniti dai lavoratori manuali, per via della loro resistenza. Poi, negli anni Cinquanta, entrarono a far parte dell’immaginario giovanile grazie al cinema e al rock and roll, perché indossati da famosi attori dell’epoca nei loro film (per esempio, James Dean in Gioventù bruciata o Marlon Brando nel film Il selvaggio) e da altrettanto famosi musicisti come Elvis Presley, che, anche grazie alle loro pettinature e al loro stile, diventarono icone dei giovani dell’epoca. Le aziende produttrici, a cominciare dalla Levi’s, si impegnarono a pubblicizzare il prodotto e a rimuovere così l’associazione negativa tra jeans e classe operaia, rendendoli accettabili agli occhi della borghesia e delle fasce medie dei consumatori.
I giovani statunitensi li trasformarono in un simbolo identitario e nel corso dei decenni i jeans sono così diventati prima un simbolo di ribellione giovanile e politica, poi un capo d’abbigliamento adottato da persone non più giovani, ma che volevano assomigliare ai giovani, quindi un prodotto di massa e infine un abbigliamento “classico”, utilizzato e rielaborato anche da famosi stilisti nell’ambito dell’alta moda e destinato alle classi più facoltose.
Percorsi simili hanno fatto sì che anche altri capi d’abbigliamento (come i berretti da baseball, gli anfibi o i giubbotti di pelle), nonché tatuaggi e piercing, un tempo chiari simboli di appartenenza ad alcune sottoculture, siano diventati nel tempo oggetti di tendenza.
Tutti questi esempi mostrano come la traiettoria che porta oggetti, simboli e linguaggi a divenire di moda non sia sempre così lineare e predefinita. Ciò è ancor più vero oggi: in un mondo globalizzato e iperconnesso, nuovi stili e tendenze emergono dall’intreccio di numerosi elementi diversi, non ultimi, i social media, per cui anche fenomeni locali possono acquisire visibilità, diffondersi rapidamente e divenire delle mode globali.

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3.4 CONSUMI ETICI E CONSUMI SOSTENIBILI

Il consumo etico affonda le sue radici nell’idea che, in una società sempre più consumistica, i cittadini/consumatori possono incidere sulla vita pubblica proprio a partire da ciò che consumano. Il consumo è, infatti, un atto politico, che sancisce i valori incorporati nella fabbricazione di un prodotto: quando acquistiamo qualcosa, stiamo in qualche modo finanziando e sostenendo tutto il processo necessario alla produzione di quel prodotto. Al pari del voto, l’atto del consumo diventa così una scelta politica: non a caso, uno degli slogan adottati dal consumo etico è: “Voti ogni volta che vai a fare la spesa”.
Scegliendo determinati prodotti rispetto ad altri, i consumatori hanno quindi la possibilità di abbracciare o rifiutare le scelte di produzione che stanno dietro, per esempio, in termini di impatto ambientale o di condizioni di lavoro, così da incentivare il perseguimento in particolare di alcuni valori.
Esercitare le scelte di acquisto in questo modo richiama l’attenzione, tanto dei consumatori quanto delle imprese, sulla dimensione etica dei processi di produzione e di consumo.
ESEMPIO: campagne di successo condotte da movimenti etici dei consumatori hanno reso popolari i cibi privi di organismi geneticamente modificati (OGM), i prodotti del commercio equo e solidale | ▶ APPROFONDIAMO | o i prodotti cosmetici non testati sugli animali. Vi sono state inoltre campagne di boicottaggio condotte contro imprese che non rispettavano i diritti dei lavoratori, come la Nike, che fa largo uso di manodopera minorile sottopagata, o che finanziavano direttamente la produzione di armi.
Il tema che più di altri orienta la sociologia dei consumi attuale riguarda tuttavia la sostenibilità ambientale. Da sempre, “consumare” è stato sinonimo di “spreco” e di “sperpero” e i primi studi sociologici della società dei consumi hanno messo in guardia proprio dalla logica dissipatrice che il consumo implica in una società capitalista. Oggi, tuttavia, la sostenibilità ambientale dei nostri consumi diventa un tema sempre più urgente, pressante e rilevante per tutti, poiché s’intreccia con altri macro-fenomeni, come il riscaldamento globale, l’esaurimento delle risorse del pianeta e l’estinzione di alcune specie animali.
La rilevanza del tema della sostenibilità dei nostri consumi emerge dal riconoscimento che le azioni delle persone e la scelta di determinati prodotti o di alcuni particolari stili di vita hanno un impatto diretto sull’ambiente, sul pianeta e in ultima analisi sulle possibilità di benessere a lungo termine della società. Qualsiasi bene o servizio ha, infatti, un “peso” sociale e ambientale in quanto, per produrlo e farlo arrivare dove viene utilizzato, sono state impiegate delle materie prime, sono stati messi in atto dei processi produttivi che hanno delle conseguenze sull’ambiente, è stata consumata dell’energia, e sono stati impiegati dei lavoratori. Preoccuparsi della sostenibilità ambientale dei prodotti vuol dire quindi cercare di ridurre al minimo questo peso, contribuendo con le proprie scelte a ridurre l’impatto ambientale e sociale della propria spesa.
La pratica del consumo etico consiste nell’abitudine di porsi delle domande circa la provenienza, le fonti energetiche, il metodo di coltivazione e le materie prime utilizzate nel ciclo produttivo delle merci che si acquistano. Non sono questi criteri di valutazione assoluti, anzi talvolta possono anche sorgere dei dilemmi: è preferibile della verdura non biologica locale o della verdura biologica che viene da lontano? È meglio un frutto di stagione locale o una banana del commercio equo e solidale?
È proprio in relazione a tali domande che acquista rilevanza la prospettiva e l’azione dei consumatori: a seconda del peso che ciascun consumatore dà ai singoli criteri, la risposta potrà essere diversa e portare a scelte diverse.

approfondiamo  IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

Il commercio equo e solidale è il risultato di una serie di accordi istituzionali finalizzati ad aiutare i produttori dei paesi in via di sviluppo a essere presenti sui mercati al pari delle grandi imprese e a raggiungere migliori condizioni commerciali. Vi sono infatti materie prime e prodotti largamente consumati nei paesi ricchi che tuttavia provengono da paesi non altrettanto ricchi: è il caso del caffè, del cacao, dello zucchero o del cioccolato, ma anche del rame e dell'oro. Il commercio equo e solidale cerca di promuovere lo sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali e garantendo i diritti dei produttori e dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo. Esso è fondato su tre presupposti fondamentali.
In primo luogo, produttori e consumatori non sono necessariamente contrapposti e, anzi, possono allearsi per ottenere condizioni più favorevoli per entrambi. In secondo luogo, le pratiche commerciali attualmente esistenti a livello globale promuovono la distribuzione ineguale della ricchezza tra le nazioni. Infine, l'acquisto di prodotti dai produttori dei paesi in via di sviluppo a un prezzo equo è un modo più efficiente di promuovere lo sviluppo sostenibile rispetto alla beneficenza e agli aiuti tradizionali dati ai paesi poveri.
Quella del consumo etico è quindi una pratica orientata a promuovere e arricchire in modo equilibrato le realtà locali, in risposta alla grande distribuzione che garantisce solo il consumatore finale, ma non il produttore o i lavoratori impiegati nel processo di produzione. In tal senso, anche il movimento Slow Food e i Gruppi di acquisto solidale si inscrivono all’interno di tale approccio.

  esperienze attive

Intervista sui consumi Intervista i membri della tua famiglia a proposito delle loro scelte di consumo, registrandole con l’ausilio del tuo smartphone o di qualunque altro tipo di audioregistratore.

Che tipo di prodotti consumano? In base a quali criteri decidono di consumare un determinato prodotto? Che importanza rivestono la marca del prodotto o le tendenze della moda nelle loro scelte? Fanno acquisti su Internet? Se sì, che cosa acquistano solitamente e che cosa non acquisterebbero mai?
Nel corso dell’intervista, chiedi sempre di fare esempi concreti tratti dalla loro vita.
Concluse le interviste, riascoltale e trascrivi le frasi e i brani d’intervista più interessanti e significativi, commentandoli brevemente. Cerca infine di individuare le principali similitudini e differenze nelle scelte di consumo dei tuoi familiari.
Alla fine confrontate in classe i vostri elaborati e discutetene insieme.

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3.5 I CONSUMI ATTRAVERSO INTERNET

In questi ultimi anni la diffusione delle tecnologie digitali sta trasformando completamente alcuni dei processi di consumo consolidatisi nei decenni precedenti. I media digitali hanno riconfigurato in modo significativo i luoghi, le pratiche e i discorsi che ruotano attorno alla nostra esperienza di consumo. Se, per esempio, il secondo Novecento è coinciso con l’affermazione dei grandi centri commerciali quali spazi simbolo di una società orientata ai consumi, negli ultimi anni Internet ha portato alla ribalta una serie di nuovi spazi virtuali: negozi online (come Amazon), piattaforme di compravendita (come eBay) o inedite aree di confronto tra consumatori (come Tripadvisor).
Le tecnologie digitali permettono l’affermarsi di nuove modalità nello scambio di beni e servizi, dando vita a forme di consumo collaborativo (o coproduzione) alquanto diverse dal “consumo ostentato” teorizzato da Veblen. Attraverso le piattaforme digitali, le persone possono scambiarsi ciò di cui non hanno più bisogno, offrire o chiedere ospitalità, condividere mezzi di trasporto privati, nonché scambiarsi beni intangibili come conoscenze e competenze specifiche.
Da un certo punto di vista, tali forme di scambio ci sono sempre state: il baratto di oggetti e l’autostop esistono da molto prima delle tecnologie digitali. Le piattaforme digitali, tuttavia, permettono un’estensione e una rapidità negli scambi prima inimmaginabili e la costruzione di rapporti orizzontali basati sulla fiducia reciproca.
Per la sociologia, questo è un dettaglio importante in quanto alla base del funzionamento di qualsiasi tipo di mercato non c’è solo il meccanismo di domanda e offerta, come postula l’economia, ma anche la relazione di fiducia che lega i soggetti che si incontrano. È questo il motivo per cui talvolta, anche se ci viene proposto un bene o un servizio a un prezzo molto conveniente, decidiamo di non acquistarlo se non ci fidiamo di chi ce lo sta proponendo. Viceversa, in altri casi accettiamo di pagarlo anche più del suo prezzo di mercato, proprio perché abbiamo molta fiducia nel fatto che chi ce lo sta proponendo sarà in grado di assicurare una qualità superiore alla media.
Attraverso la rete, le interazioni tra gli stessi consumatori acquistano una nuova portata. Social network come Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest e così via non solo diventano un nuovo veicolo per la circolazione di mode, sottoculture e identità collettive, ma prosperano proprio grazie alle interazioni tra gli utenti e alle informazioni personali che essi mettono a disposizione della piattaforma. Un famoso slogan recita “Se non lo paghi, il prodotto sei tu”, a indicare come tutto ciò che condividiamo nei nostri messaggi, nei post che pubblichiamo sui social network, o semplicemente nei “like” (anche quelli che mettiamo con noncuranza) crei un profilo delle nostre abitudini, dei nostri gusti, del nostro stile di vita e della nostra personalità. Moltiplicando ciascuno di questi parametri per due miliardi e mezzo di persone (questo all’incirca il numero degli utenti attivi mensilmente su Facebook) è quindi possibile individuare delle vere e proprie tendenze di consumo di massa, che inevitabilmente indirizzeranno le scelte del mercato. Se, per esempio, da un campione di 100.000 utenti WhatsApp dovesse risultare che il 75% preferisce le Nike bianche rispetto a quelle verdi, secondo voi quale dei due modelli sarà prodotto in quantità maggiore nell’anno successivo?
L’insieme di queste trasformazioni incide, ovviamente, anche sui meccanismi della pubblicità e del marketing, le cui declinazioni online diventano sempre più centrali per le aziende e dunque sempre più significative nella vita quotidiana dei consumatori.
In altre parole, se nel secondo Novecento i processi di consumo sono divenuti centrali nell’esperienza sociale, oggi sono le tecnologie digitali a riconfigurare la centralità, le modalità e la pervasività dei consumi nelle nostre vite quotidiane.
per lo studio

1. Quanta rilevanza hanno le mode e le novità nel tuo stile di consumo?
2. Identifica quali, fra i capi di vestiario che più ti piacciono o che più utilizzi, derivano da una sottocultura.


  Per discutere INSIEME 

Dal tuo punto di vista, è possibile coniugare la sfera del consumo con quella dell’etica? Come? Discutine assieme ai tuoi compagni portando esempi tratti dalla tua vita quotidiana.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane