1. Conoscenza e innovazione

1. Conoscenza e innovazione

1.1 LA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA

Si sente spesso parlare della società contemporanea in termini di “società della conoscenza” (knowledge society), ma che cosa si intende con questa espressione?
Essa fu introdotta nel 1969 dall’economista austriaco, poi naturalizzato statunitense, Peter Drucker (1909-2005) per indicare come la crescita economica e le attività che producono valore fossero sempre più basate sulla conoscenza. A livello politico ed economico, questa espressione ha, però, acquisito particolare importanza solo a partire dal 2000, quando il Consiglio europeo ha adottato l’obiettivo strategico di far «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale».
La società della conoscenza fonda dunque la propria crescita e il proprio sviluppo sul sapere, la ricerca e l’innovazione. Di rimando, capacità di apprendimento e abilità nell’aggiornamento continuo delle proprie conoscenze risultano risorse fondamentali: possederle vuol dire avere maggiori opportunità di trovare un lavoro stabile e qualificato, nonché di “stare al passo” con la società. La knowledge society è quindi anche una learning society (“società dell’apprendimento”), che stimola i suoi membri ad apprendere e rielaborare nuove informazioni e nuovi saperi.
Bisogna innanzitutto tenere presente che la conoscenza è un bene anomaloNon è infatti un bene consumabile, come l’inchiostro della penna o il petrolio, ma non è neppure un bene pubblico, come l’aria o l’acqua, in quanto l’uso ripetuto e collettivo della conoscenza non ne deteriora il valore, ma, al contrario, lo aumenta, generandone di nuova. Nella società della conoscenza, quindi, i ▶ fattori di produzione non risiedono più soltanto nel lavoro e nei capitali finanziari, tecnologici e naturali, ma coinvolgono conoscenze esperte e reti di comunicazione globali. La società della conoscenza si caratterizza infatti anche per l’uso diffuso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT, Information and Communication Technologye per il suo basarsi su enormi banche dati, reti di computer interconnessi e dispositivi per la comunicazione e la condivisione delle informazioni a distanza come gli smartphone.
La produzione e la trasmissione della conoscenza sono ciò che caratterizza l’intera storia della specie umana. Definire la società contemporanea come “società della conoscenza” non vuol dire, dunque, che la conoscenza non abbia avuto un ruolo importante in tutte le società che l’hanno preceduta.
Oggi, tuttavia, informazione e conoscenza assumono una tale velocitàdiffusione e varietà di forme da essere il motore principale dell’economia, della politica e della vita sociale. Non a caso, trascorriamo sempre più tempo della nostra vita quotidiana a contatto con diversi tipi di tecnologie, tanto a fini di studio e di lavoro, quanto per diletto, divertimento e, più in generale, per essere in contatto con altre persone e tenerci aggiornati.

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1.2 I DIVERSI TIPI DI CONOSCENZA

La conoscenza assume svariate forme e sarebbe riduttivo identificarla con la sola conoscenza scientifica. Accanto alla conoscenza teorica, fondata sul ragionamento e che comprende teoremi, leggi scientifiche, procedimenti logici e regole linguistiche, ve ne sono almeno altri due tipi.
  • La conoscenza oggettivata, ossia quella trasferita in prodotti e oggetti materiali e immateriali. Il computer o lo smartphone, al pari delle automobili o dei farmaci, sono tecnologie che, per funzionare correttamente, incorporano numerose conoscenze. Allo stesso modo, gli edifici e le case che abitiamo sono il risultato materiale di un insieme di conoscenze. Anche le app, i siti Internet e i social network, pur non avendo alcuna materialità, sono forme di conoscenza oggettivata. Una conoscenza viene oggettivata nel momento in cui si traduce in una “cosa” che è possibile utilizzare senza dover necessariamente conoscere i dettagli tecnici necessari a realizzarla e a renderla operativa. In un certo senso, l’utilità di oggetti e tecnologie sta proprio in questo: provate a immaginare come sarebbe vivere in un mondo in cui per accendere la luce fosse necessario conoscere il funzionamento degli impianti elettrici. Da questo punto di vista, tutti gli oggetti e le tecnologie sono forme di conoscenza oggettivata.
  • La conoscenza pratica, cioè quella che deriva da anni di esperienza e che implica abilità corporee e legate al saper fare. È quel tipo di conoscenza che è difficile tradurre in formule e parole astratte. Un classico esempio è l’andare in bicicletta. Pensate che sarebbe possibile imparare ad andare in bicicletta studiando dai libri, senza fare alcuna pratica?
    Evidentemente no, in quanto è necessario coinvolgere tutto il corpo e non solo la mente. In particolare, è indispensabile provare in prima persona a utilizzare una bicicletta per capire come calibrare l’equilibrio, la velocità e le difficoltà legate per esempio ai diversi tipi di strade.
    Questo esempio ci permette di riflettere su come il saper fare qualcosa implichi sempre un insieme di conoscenze teoriche e pratiche, e non solo nelle attività che richiedono abilità manuali come cucinare, tagliare i capelli, disegnare, truccare e così via. Anche numerose professioni di carattere più intellettuale richiedono un periodo di “praticantato”: medici, avvocati e psicologi, per esempio, conseguita la laurea, devono trascorrere diversi anni di specializzazione sul campo prima di poter esercitare a pieno titolo la loro professione. Anche gli insegnanti, gli assistenti sociali e gli infermieri sono tenuti a svolgere numerose ore di tirocinio, per non parlare di sportivi, attori, musicisti e danzatori, che devono continuamente allenarsi ed esercitarsi. Più in generale, le aziende, quando ricercano personale, sono inclini a dare alle precedenti esperienze lavorative dei candidati uguale se non maggiore rilevanza rispetto al loro titolo di studio, poiché è attraverso il lavoro pratico che si imparano i “trucchi del mestiere”, utili a svolgere con successo una determinata attività lavorativa.
Proprio dall’intreccio tra conoscenze pratiche e intellettuali nasce il concetto di ⇒ competenza, ovvero la capacità di rendere operative le conoscenze apprese in teoria e di agire in modo efficace in relazione a un determinato compito o attività. Lo sviluppo delle competenze, a livello individuale e professionale, rappresenta quindi un aspetto chiave della società della conoscenza, perché è ciò che permette alle persone di qualificarsi e di essere apprezzate a livello sociale e lavorativo.
Il principio ispiratore della società della conoscenza è dunque quello di riuscire a coniugare tutti i processi relativi allo sviluppo della conoscenzaa cominciare dalla formazione continua dei lavoratori e dei cittadini, sino a quelli legati all’innovazione tecnologica o a nuove forme di organizzazione sociale. Nelle intenzioni della Comunità europea e di alcuni teorici della società della conoscenza, ciò dovrebbe permettere la costruzione di una società più aperta e democratica, in cui la conoscenza circoli liberamente dando la possibilità ai cittadini di esprimersi e partecipare alle diverse sfere del sociale: lavoro, politica, salute, questioni ambientali e così via. In tale ottica, la conoscenza è considerata un bene comune dal quale ripartire per assicurare nuove forme di garanzie sociali e nuovi diritti.
Da un certo punto di vista, questo è ciò che sta effettivamente accadendo: smartphone, computer, Internet e altre tecnologie digitali permettono un accesso sempre più immediato e diretto alle informazioni, nonché forme di partecipazione alla vita politica e di coordinamento e discussione tra cittadini inimmaginabili nel Novecento.

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1.3 LE DISEGUAGLIANZE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA

Numerosi sociologi hanno messo in evidenza che nella società della conoscenza sorgono nuovi problemi e motivi di disuguaglianza. Tra questi, il più evidente è il cosiddetto digital divide (“divario digitale”), che si viene a creare tra chi ha effettivamente accesso alle tecnologie digitali e chi ne rimane al di fuori | ▶ UNITÀ 8, p. 365 |Tale divario è riscontrabile fra paesi ricchi e paesi poveri e, all’interno dei paesi più ricchi, fra le diverse fasce della popolazione. Ciò significa che se per i cosiddetti “nativi digitali”, ossia i nati dagli anni Novanta in poi e cresciuti in un mondo caratterizzato dalle tecnologie digitali, non c’è niente di più ovvio che utilizzare Internet, un social network o una app per ricercare o condividere un’informazione, per le fasce più anziane della popolazione ciò non è altrettanto semplice o naturale.
Inoltre, una società che fa della conoscenza uno dei suoi pilastri portanti non è esente da contraddizioniLa più evidente riguarda il fatto che, per quanto vi sia un insieme di conoscenze esperte, di facile accesso e in rapido sviluppo, molto più consistente che in qualunque altra società passata, esso supera le capacità personali di ognuno di noi preso singolarmente. Tali conoscenze sono infatti sempre il frutto di un lavoro collettivo, che dunque eccede le possibilità di comprensione individuali e ci rende sempre e comunque dipendenti da altri. Da ciò conseguono ulteriori interrogativi: come distinguere la qualità della conoscenza resa disponibile, visto il moltiplicarsi delle fonti informative? Come socializzare le conoscenze e per quali scopi? Come stabilire gli effetti e il livello d’innovazione portati da una conoscenza?

1.4 IL RUOLO DELLA RICERCA SCIENTIFICA

Nella società della conoscenza, scienza e società stringono rapporti sempre più stretti, in diversi modi e per più ragioni.
Innanzitutto, una società che pone al suo centro la conoscenza richiede un continuo investimento nello sviluppo scientifico, poiché è grazie alla ricerca scientifica che si giunge a nuove conoscenze e si aumenta il progresso e il benessere della società. Inoltre, come abbiamo già detto, la conoscenza costituisce il principale fattore di produzione e ciò significa che la ricerca scientifica assume un ruolo sempre più rilevante e si sviluppa non solo in ambito pubblico, nelle università o negli istituti di ricerca, ma anche in ambito privato, nei dipartimenti di ricerca e sviluppo, di cui tutte le grandi imprese si dotano, o nei centri di ricerca che queste finanziano. Imprese come Google o Apple rappresentano gli esempi più immediati di come la sperimentazione di nuove conoscenze sia essenziale per lo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche da proporre al mercato. Lo stesso si può dire per le grandi aziende farmaceutiche, che per poter sviluppare i loro prodotti hanno la necessità di condurre lunghe e complesse ricerche.
Secondo le stime dell’Istat, per esempio, in Italia, nel 2016, le spese per ricerca e sviluppo provengono per il 60% circa dal settore delle imprese, per il 24% dalle università e per il 12% dalle istituzioni pubbliche.
In secondo luogo, la società è sempre più pervasa dalle tecnologie realizzate grazie alle nuove conoscenze scientifiche. Per esempio, le automobili inglobano sensori per la rilevazione della temperatura, della velocità e degli ostacoli, tanto che i test delle auto dotate di pilota automatico sono già in stadio avanzato. Anche gli smartphone e gli smartwatch possiedono ormai numerosi sensori che permettono di monitorare le nostre funzioni corporee, come il battito cardiaco o il numero di chilometri percorsi, e le “tecnologie indossabili” (wearable technologies) sembrano essere una promettente linea di sviluppo di futuri prodotti. I chip, i microprocessori alla base del funzionamento dei computer, sono ormai integrati nelle carte d’identità e nelle tessere sanitarie. Nel 2019, in India, un chirurgo ha operato al cuore cinque pazienti controllando un robot a 32 km di distanza tramite una consolle di lavoro (workstation).

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1.5 LA COMUNICAZIONE DELLA SCIENZA NELLA SOCIETÀ

Considerato il livello di pervasività della ricerca scientifica e delle tecnologie, la società contemporanea ha sempre più bisogno di essere informata riguardo alla scienza, alle nuove scoperte e alle applicazioni scientifiche. Se per molto tempo gli scienziati non si sono preoccupati della diffusione dei risultati delle loro ricerche e delle loro idee presso il grande pubblico, ritenendolo impreparato e poco interessato, è solo “volgarizzando” la scienza e rendendola accessibile anche ai non addetti ai lavori che si gettano le basi perché il sapere non rimanga circoscritto a pochi e si diffonda rapidamente nella società.
La comunicazione pubblica della scienza, ossia la comunicazione della scienza rivolta ai non esperti, diviene, così, una necessità tanto per gli scienziati quanto per i cittadini. I primi, infatti, al fine di dimostrare la rilevanza della loro ricerca per l’intera società, devono essere capaci di stabilire una rete sempre più fitta di relazioni e, quindi, di comunicazione, con vari tipi di pubblico non esperto. I cittadini, a loro volta, richiedono di essere informati, di comprendere meglio come orientarsi in un mondo tecnologicamente complesso nonché di poter partecipare ai processi che li coinvolgono e di potersi appropriare dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica. Infatti, come già accennato, in una società basata sulla conoscenza, ma anche democratica, la possibilità di accedere alle diverse conoscenze diviene un diritto fondamentale per tutti i cittadini.
Talvolta questa interazione tra scienza e società diviene uno scontro, nel senso che è possibile che attorno alle conoscenze scientifiche sorgano controversie di tipo sociale.
ESEMPIO: in Italia, una discussione attuale riguarda i vaccini. Da alcuni anni, infatti, vi sono genitori che, per diverse ragioni, rifiutano di vaccinare i propri figli. Le pressioni esercitate da questi cittadini sul dibattito pubblico e politico hanno fatto diventare la vaccinazione una questione di rilevanza nazionale, tanto che le leggi in proposito sono state più volte riviste. Questa situazione ha spinto diversi scienziati a prendere pubblicamente posizione a favore della vaccinazione costringendoli a spiegare con parole più semplici possibili perché sia importante vaccinarsi, come funzionano i vaccini e quali siano i rischi effettivamente connessi.
Grazie alla pluralità di modi in cui ricerca scientifica e società si intrecciano, si può dire che siamo definitivamente entrati in quella che il fisico e filosofo della scienza inglese John M. Ziman (1925-2005) ha definito nel 1998 come «era post-accademica della scienza». Se nella sua fase accademica – ossia nel periodo di prevalenza di un modello tradizionale di ricerca scientifica – gli scienziati stringevano rapporti di collaborazione soprattutto all’interno della comunità scientifica, l’era post-accademica della scienza si caratterizza per il fatto che decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza sono prese dalle comunità scientifiche in dialogo con una serie variegata di altri gruppi sociali: imprese, rappresentanti politici locali e cittadini interessati a specifiche questioni. Ecco perché, per esempio, gli enti di ricerca sono diventati estremamente attenti non solo a divulgare e comunicare i risultati delle loro ricerche, ma anche a utilizzare le conoscenze sviluppate per dare avvio a nuove imprese, come nel caso delle cosiddette start-up di tipo scientifico-tecnologico.

  INVITO ALLA VISIONE   
Stanley Kubrick, 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO, 1968

Film capolavoro della storia del cinema, è un’opera visionaria che ebbe un profondo impatto sull’arte, sul design e sull’intero immaginario collettivo. Ambientato nel futuro, tocca tematiche relative all’identità della natura umana, al suo destino, al ruolo della conoscenza e della tecnologia. Un’avventura spaziale che utilizza la tecnologia come specchio della storia dell’umanità e che offre una quantità inesauribile di spunti di riflessione e possibili letture.
Tra i protagonisti del film, c’è anche HAL 9000, un computer dotato di intelligenza artificiale: ha un occhio che gli permette di vedere come un umano e di leggere il labiale degli umani, una voce del tutto naturale e sembra in grado di provare sentimenti, al punto da ribellarsi quando si rende conto della possibilità di essere disattivato.

1.6 UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ TECNOLOGICA

Abbiamo già accennato al fatto che le tecnologie che permeano la società attuale sono perlopiù digitali, consentendo scambi di informazioni in tempo reale tra persone, tra macchine e tra persone e macchine. Ci sono diversi tipi di tecnologie digitali:
  • la tecnologia mobile, che permette agli utenti di accedere a differenti tipologie di contenuti dove e quando ne hanno bisogno: gli esempi più noti sono i telefoni cellulari e i tablet;
  • la tecnologia cloud (o cloud computing), che permette di conservare contenuti e applicazioni in una sorta di “archivio immateriale” centralizzato, mettendoli a disposizione di più dispositivi connessi in rete via Internet;
  • la tecnologia social, che comprende strumenti comunicativi e interattivi che instaurano e mantengono un contatto fra utenti. Al di là di ben noti canali come Facebook, Twitter o Whatsapp, la tecnologia social include forum online, blog e software collaborativi.
Affermare che la società attuale sia una società tecnologicamente “densa” è, innanzitutto, un dato intuitivo, che ci deriva dall’osservazione della realtà che ci circonda. Ma in sociologia non è metodologicamente corretto fermarsi a quelle che sono le intuizioni, è sempre necessario fornire dei riscontri empirici di ciò che si afferma. Proviamo quindi a vedere alcuni dati relativi all’uso e alla diffusione delle più comuni tecnologie digitali.
Un rapporto pubblicato nel 2018 dall’Ofcom (Office of Communication, l’autorità regolatrice delle società di comunicazione nel Regno Unito) permette di comparare le abitudini di utilizzo delle tecnologie di comunicazione in diversi paesi europei e non solo. Il 92% degli italiani, per esempio, possiede uno smartphone e circa metà della popolazione (53%) utilizza i social media per guardare video; il 71% dei francesi usa un computer portatile; più della metà degli inglesi utilizza servizi online per guardare film e fare acquisti; il 71% dei tedeschi ha installato un antivirus.
Ancora, il 57% degli statunitensi ha acquistato un prodotto online utilizzando lo smartphone e il 16% è stato vittima di una frode online; in Australia, il 44% della popolazione evita di utilizzare le reti wi-fi pubbliche quale misura di protezione della propria sicurezza; in Spagna, il 71% della popolazione si dice preoccupata per via degli annunci pubblicitari che appaiono sul loro computer o smartphone quando navigano in rete; in Svezia, il 75% della popolazione consulta il suo conto in banca direttamente dal telefono.
Nella loro varietà e genericità, questi numeri forniscono alcuni riscontri empirici del livello di diffusione delle tecnologie digitali e della miriade di attività in cui queste sono implicate.
Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, le stime fornite nel 2018 dall’Istat, all’interno del resoconto “Cittadini, Imprese e ICT”, evidenziano come il totale di persone che usano Internet sia notevolmente cresciuto negli ultimi otto anni, passando dal 51,5% nel 2011 al 68,5% nel 2018. I giovani risultano essere i principali utilizzatori (oltre il 93% di quelli che hanno fra i 15 e i 20 anni) ma la diffusione comincia a essere significativa anche tra i soggetti tra i 65 e i 74 anni, i quali rispetto al 2011 risultano addirittura triplicati.

Sesso, classi di età e
ripartizioni geografiche
2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018
Maschi
56,7
58,3
60,3 62,4 65,0 67,6 69,5 72,5
Femmine 46,7 47,1 49,8 52,8 55,8 59,0 61,3 64,6
Totale 51,5 52,5 54,9 57,5  60,2 63,2 65,3 68,5
6-10 38,3 40,8 45,1 44,6 43,8 48,2 53,7 59,2
11-14 78,1 76,5 80,8 80,9 80,4 82,9 86,1 85,9
15-17
89,1 88,5 89,7 91,2 92,0 91,6 93,9 95,5
18-19 88,8 88,8 90,0 93,9 92,0 93,0 92,7 93,3
20-24 85,8 86,0 85,7 89,3 90,7 91,3 92,4 93,6
25-34 77,5 79,2 80,3 83,9 85,1 87,1 89,8 91,4
35-44 69,7 69,1 73,5 76,1 80,1 84,3 85,7 87,3
45-54 56,2 58,7 61,7 66,1 70,0 75,1 77,6 81,7
55-59 42,2 45,3 48,5 52,0 60,4 62,7 68,2 71,2
60-64 28,6 31,0 36,0 41,1 45,9 52,2 56,0 60,7
65-74 13,8 16,4 19,0 21,2 25,6 28,8 30,8 39,3
75 e più 2,7 3,3 3,5 4,4 6,7 7,7 8,8 10,9
Totale 51,5 52,5 54,9 57,5 60,2 63,2 65,3 68,5
Nord-ovest 56,4 57,3 58,3 61,5 64,6 67,6 69,1 72,3
Nord-est 55,9 57,7 60,1 61,5 65,2 66,9 68,0 72,2
Centro 54,5 55,1 57,8 60,4 61,6 66,4 67,8 70,6
Sud 43,6 43,3 46,6 49,2 53,1 55,9 59,1 61,9
Isole 43,9 47,3 49,8 53,0 53,8 55,7 59,6 62,7
Totale 51,5 52,5 54,9 57,5 60,2 63,2 65,3 68,5
Persone di 6 anni e più che hanno usato Internet negli ultimi dodici mesi, divise per sesso, classe di età e territorio; anni 2011-2018, valori per cento persone con le stesse caratteristiche.

Tra le persone di 14 anni e più, si utilizza soprattutto lo smartphone per l’accesso alla rete (89,2%), seguito dal pc da tavolo (45,4%), dal laptop o da un netbook (28,3%), e dal tablet (26,1%). Indipendentemente dal dispositivo utilizzato, le attività più diffuse sul web sono quelle legate all’utilizzo di servizi di comunicazione diffusa. Più dell’85% degli internauti in età compresa tra i 14 e i 59 anni utilizza messaggeria istantanea, e nella fascia d’età 14-24 anni l’uso dei social network è altrettanto diffuso (85%).

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La digitalizzazione
I dati che abbiamo presentato fanno capire quanto i processi di ▶ digitalizzazione pervadono la società contemporanea, rendendola sempre più densamente tecnologica. Il rovescio della medaglia risiede nel fatto che la nostra società è sempre più dipendente dalle tecnologie digitali e dalle risorse necessarie a realizzarle (come il rame o il silicio) e a farle funzionare (come l’elettricità) e non riesce a immaginare un mondo senza Internet, senza smartphone e senza computer.
La sociologia contemporanea sottolinea come queste tecnologie da strumenti si trasformino in elementi veri e propri dell'ambiente – al pari degli alberi, dei palazzi o dei lampioni – fino ad arrivare a influenzare l’idea che abbiamo di noi stessi in qualità di persone (chi siamo), le nostre interazioni (e quindi il modo in cui socializziamo con gli altri) nonché la nostra concezione di che cosa sia “reale” e, dunque, le nostre possibilità di azione. In questo senso, la distinzione fra reale e virtuale appare sempre più sfumata.

1.7 L’INNOVAZIONE COME RISORSA PER LA SOCIETÀ

Già una ventina di anni fa (il 20 febbraio 1999), l’autorevole giornale inglese “The Economist” notava: «L’innovazione è diventata la religione industriale della fine del XX secolo. Le imprese la vedono come lo strumento chiave per aumentare profitti e quote di mercato. I governi si affidano a essa quando cercano di migliorare l’economia. […] Ma cosa precisamente è l’innovazione è difficile dirlo, ancora di più misurarlo».
In effetti, per quanto i processi di innovazione siano sempre stati al centro dell’interesse di diverse discipline (sociologia, economia, ingegneria), non esiste una definizione univoca di che cosa sia l’innovazione. Joseph Schumpeter (1883-1950), famoso economista austriaco, poi divenuto cittadino americano, è stato il primo a discutere in modo sistematico dell’innovazione nelle società industriali. Secondo lui, l’innovazione è la determinante principale del mutamento industriale ed è frutto della creatività delle imprese e dei singoli imprenditori. L’innovazione può avere luogo sia in imprese di ridotte dimensioni, sia in grandi imprese, e fornisce un vantaggio competitivo che tuttavia è destinato a esaurirsi nel tempo, in seguito alla reazione delle altre imprese.
ESEMPIO: quando comparvero sul mercato i primi telefoni cellulari, aziende come Nokia e Motorola divennero leader del mercato sperimentando soluzioni tecnologiche innovative per la telefonia mobile. Alcuni anni più tardi, tuttavia, Apple, che non aveva mai prodotto telefoni cellulari, grazie alla folgorante idea di Steve Jobs | ▶ IL PERSONAGGIO |, introdusse l’I-phone, dando così origine agli “smartphone”, oggetti utili non solo a comunicare a distanza, ma a connettersi a una serie di flussi informativi (a cominciare da Internet).
L’innovazione implica quindi un processo continuo di cambiamento tecnologico e di generazione di nuova conoscenza, alimentando ciò che Schumpeter ha definito come “distruzione creatrice”: il processo che permette all’economia capitalistica di continuare a trasformarsi e superare le sue crisi. Secondo Schumpeter, le innovazioni non sono solo quelle tecnologiche, ma possono riguardare «i nuovi beni di consumo, i nuovi metodi di produzione o di trasporto, i nuovi mercati, le nuove forme di organizzazione industriale create dall’impresa capitalistica». Le innovazioni possono infatti essere di diverso tipo:
  • innovazioni di prodotto, quando viene migliorato un prodotto esistente o creato un nuovo prodotto che soddisfi nuove esigenze del cliente, come nel caso già citato degli smartphone;
  • innovazioni di processo, quando viene migliorato o ideato un processo produttivo che permette di ridurre i costi o migliorare la qualità di un prodotto già esistente, come nel caso dell’introduzione della macchina a vapore nel Settecento o di altre tecnologie di automazione della produzione;
  • innovazioni logistiche, quando vi è un cambiamento nella gestione delle scorte e nella distribuzione dei prodotti, come nel caso di Amazon, il cui successo è dovuto proprio alla velocità e affidabilità delle spedizioni dei prodotti acquistati;
  • innovazioni di mercato, quando un’impresa entra in un settore di mercato in cui non operava precedentemente, come nel caso della Siemens, che prima di produrre smartphone aveva prodotto sempre e soltanto elettrodomestici.

cittadini responsabili

I rifiuti elettronici

Una delle problematiche emergenti in un mondo fatto di tecnologie riguarda il loro smaltimento.
I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, talvolta citati con l'acronimo RAEE, o rifiuti elettronici (e-waste), sono infatti particolari, carichi di sostanza non biodegradabili e tossiche per l'ambiente.
Secondo uno studio delle Nazioni Unite del 2018, in Europa ogni anno si producono quasi 15 chili di spazzatura elettronica per ogni abitante e, nel mondo, la quantità di immondizia tecnologica supera i 50 milioni di tonnellate. Oggi, anche un portachiavi può avere una connessione bluetooth e le tecnologie hanno una vita sempre più breve, tanto per via della cosiddetta "obsolescenza programmata” (ovvero dal calo delle prestazioni nel tempo, che le rende inutilizzabili) quanto dell'evoluzione tecnologica, che fa sì che vengano continuamente immesse sul mercato tecnologie con nuove funzionalità, che portano a dismettere quelle precedenti. Insomma, i rifiuti tecnologici sono destinati a crescere e riuscire a riciclarli diviene sempre più indispensabile.
Nel 2019, l'Italia ha recepito la direttiva europea secondo cui il tasso minimo di raccolta annua di tonnellate di RAEE deve arrivare almeno al 65% del peso medio delle apparecchiature immesse sul mercato. Accanto ai tradizionali centri di smistamento dei rifiuti di cui tutti i Comuni sono dotati, sono quindi state istituite anche altre misure volte a facilitare la raccolta di RAEE. La prima si chiama “uno contro uno”: quando acquistiamo qualunque tipo di prodotto elettronico, il venditore è obbligato per legge a ricevere l’oggetto che intendiamo sostituire e a occuparsi dello smaltimento, senza costi aggiuntivi per gli acquirenti. Questo vale anche per l’e-commerce e infatti quando si acquistano online oggetti come una lavatrice o un frigorifero si può selezionare l’opzione “ritiro RAEE". Inoltre, esiste il cosiddetto "uno contro zero", grazie a cui possiamo lasciare in un negozio di elettronica i vecchi prodotti, anche senza acquistare nulla. In questo caso, tuttavia, il lato lungo dell'oggetto non deve superare i 25 centimetri e quest’obbligo vale solo per i punti vendita superiori ai 400 metri quadri, ossia i megastore.

  Lavoriamo INSIEME
1. Individua il punto di raccolta RAEE più vicino alla tua casa e alla tua scuola.
2. Cerca l'infografica al seguente sito: https://developmenteducation.ie/infographic/the-digital-dump/ e commenta i dati assieme ai tuoi compagni.

IL PERSONAGGIO  Steve Jobs

Steve Jobs (1955-2011) è stato co-fondatore di Apple Computer e pioniere carismatico dell’era dei personal computer. Insieme all’amico Steve Wozniak ha il merito di aver rivoluzionato negli anni Settanta l’industria dei computer, rendendo queste macchine più piccole, intuitive e accessibili ai consumatori di tutti i giorni.
Sebbene fosse interessato all’ingegneria, abbandona gli studi universitari per lavorare presso la Atari come programmatore di videogiochi. Nel 1976, a solo 21 anni, avvia insieme a Wozniak la Apple Computer, grazie ai ricavi provenienti dalla vendita del suo furgone Volkswagen e adattando il garage della sua famiglia a sede dell’impresa. Nasce così l’Apple I, il primo personal
computer a essere commercializzato, seppure in piccole quantità. Jobs è stato uno dei primi a capire che il computer avrebbe attratto un vasto pubblico ma, nonostante il successo ottenuto con i primi personal computer, abbandona nel 1985 l’azienda da lui fondata. La Apple va incontro ad anni di crisi. Nel 1997 torna a guidare l’impresa, contribuendo a creare alcuni dei prodotti più noti del mondo dei media digitali e della comunicazione. Per esempio, nel 2001, Apple introduce l’iPod, un lettore portatile di musica in formato mp3 che sostituisce i lettori a cassetta e i compact disc, contribuendo a trasformare l’intera industria della musica. Nel 2007, porta l’azienda a entrare nel settore delle telecomunicazioni, con l’introduzione dell’iPhone, il primo smartphone disponibile sul mercato, che, al pari dell’ipod, si trasforma nel giro di pochi anni in un fenomeno di moda e di tendenza di portata globale.
Anche grazie a questi successi, Steve Jobs rappresenta una potente icona attorno alla quale si sono articolate idee e visioni relative all’innovazione nel campo delle tecnologie di consumo e al progresso tecnologico nella società. Steve Jobs personifica non solo la Apple e le sue tecnologie, ma, più in generale, l’archetipo dell’inventore e dell’imprenditore ai tempi della rivoluzione digitale.

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1.8 LE INNOVAZIONI NON SONO SEMPRE LINEARI

In un mondo sempre più digitalizzato, peraltro, anche solo un algoritmo o il formato di compressione di un file possono innescare una serie di innovazioni. Si pensi all’mp3, il formato di compressione dei file audio sviluppato nel 1995 sulla base delle ricerche del gruppo Mpeg, presso il Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni (Cselt) di Torino. Tale formato è in grado di ridurre enormemente la quantità di dati richiesti per memorizzare un suono, mantenendo comunque una riproduzione sufficientemente fedele del suono originale. Avere dei file più “leggeri” permette anche di trasmetterli più velocemente, nonché di immagazzinare una notevole quantità di suoni, senza avere bisogno di molto “spazio” nella memoria del dispositivo. L’invenzione di questo nuovo tipo di file ha permesso lo sviluppo di nuovi prodotti come gli iPod e tutti gli altri lettori mp3, la condivisione gratuita di brani musicali tra diversi utenti (il cosiddetto file sharing), la possibilità di registrare e riprodurre suoni con gli smartphone, nonché un nuovo mercato, quello della musica in formato digitale, e la creazione di un nuovo “negozio” di musica online: iTunes, attualmente leader mondiale nella vendita di dischi.
Questo esempio ci permette di comprendere come in un mondo digitalizzato, in cui i beni prodotti e consumati sono sempre più “smaterializzati”, sia sempre più difficile distinguere chiaramente tra innovazioni di prodotto, di processo, di logistica e di mercato. Ci consente inoltre di mettere a fuoco il procedere non sempre lineare delle innovazioni: quando iniziò le sue ricerche, il gruppo Mpeg stava in realtà cercando un modo di comprimere i file video, non quelli audio; il formato mp3 doveva dunque essere funzionale ad altro.
A differenza dell’economia e dell’ingegneria, la sociologia insiste molto sul carattere “aperto”, indeterminato e soprattutto etico e politico delle innovazioniNon è sufficiente, infatti, l’invenzione di un nuovo prodotto o di un nuovo processo produttivo perché questo si traduca immediatamente in una “innovazione”. Anzi, la storia abbonda di casi in cui nuove conoscenze o tecnologie non si sono concretizzate in un prodotto o si sono trasformate in qualcosa di radicalmente diverso da quella che era l’idea originaria.
ESEMPI: i post-it (foglietti di carta che si attaccano e si staccano) sono il frutto di un errore, nel senso che, nelle intenzioni dei produttori, la colla avrebbe dovuto attaccarsi in modo permanente. Modelli efficienti di auto elettriche esistono già dagli anni Ottanta, ma commercializzarli avrebbe significato mettere in crisi uno dei settori industriali più importanti a livello globale, ovvero quello del petrolio. I computer stessi vennero originariamente pensati come strumenti utili per il calcolo avanzato, non certo quali tecnologie di massa.
In questi casi come in altri, la sociologia sottolinea la pluralità di fattori che concorrono al prendere forma di un’innovazione e al suo successo. In particolare, evidenzia come lo sviluppo delle innovazioni non sia orientato solo da criteri ingegneristici, tecnici o economici, ma anche sociali | ▶ APPROFONDIAMOp. 396 |. Le norme, i valori, le credenze e gli interessi di una determinata società influenzano inevitabilmente la ricerca scientifica e lo sviluppo di nuove conoscenze, prodotti e servizi. Ciò che in un determinato periodo storico o in una data società può apparire come un’importante innovazione, in altri luoghi e in altri tempi potrebbe essere considerato inutile o pericoloso.
ESEMPI: a partire dal 2006 la Cina ha installato uno “scudo digitale” che blocca l’accesso agli indirizzi Internet considerati pericolosi dal governo, tra cui Facebook, Google, Twitter e YouTube. In Italia, la Legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita vieta l’estrazione di cellule staminali da embrioni umani, limitando così fortemente la possibilità di fare ricerca su tali cellule a fini medici e biologici. Peraltro, le possibilità offerte dalla scienza contemporanea in termini di clonazione e manipolazione del DNA pongono numerosi dilemmi etici circa i confini della scienza e il futuro del genere umano.
In tutti questi esempi, la società è sempre in primo piano e influenza la traiettoria delle innovazioni.
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L’attenzione agli utenti
Inoltre, nel suo andare alla ricerca degli elementi sociali che partecipano ai processi di innovazione, la sociologia presta anche molta attenzione agli utenti, ossia ai destinatari delle innovazioni. Un qualcosa di “nuovo” che non viene utilizzato è per definizione un fallimento.
Concentrarsi sul ruolo degli utenti significa sottolineare l’importanza che questi hanno nel decretare il successo di una innovazione e, in alcuni casi, nel contribuire attivamente allo sviluppo dell’innovazione stessa. Sempre più di frequente, infatti, le imprese coinvolgono gruppi selezionati di utenti già nelle fasi di test e di messa alla prova di nuovi prodotti, chiedendo loro di esprimersi circa pregi e difetti, così da avere un prodotto finale che rispecchi effettivamente le necessità e i desideri di chi lo utilizzerà. Non solo, diverse imprese offrono al pubblico la possibilità di contribuire a nuovi prodotti con idee e soluzioni operative.
ESEMPIO: la Lego, attraverso il suo sito Internet, invita il suo pubblico a “caricare” sulla piattaforma modelli inventati autonomamente affinché tutti gli altri utenti possano votare i vari progetti. I modelli che raggiungono la quota di 10.000 voti vengono esaminati nel dettaglio dall’azienda e, se valutati positivamente, vengono messi in produzione.
Concentrarsi sul ruolo degli utenti fa emergere tuttavia l’esistenza di persone che non vengono coinvolte dai processi di innovazione: chi per esempio rifiuta volontariamente l’innovazione, in quanto la reputa non rilevante, se non dannosa, come nel caso dell’energia nucleare, oppure chi, per ragioni di diversa natura, per esempio economica, non può avervi accesso.

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approfondiamo  L’INNOVAZIONE SOCIALE (SOCIAL INNOVATION)

Per lungo tempo, l’innovazione è stata inquadrata come fenomeno legato soprattutto al mondo dell’industria, dell’imprenditorialità e della tecnologia. Le innovazioni più importanti sono però quelle capaci di abbracciare l’intera società, dando vita a nuove pratiche sociali e contribuendo alla soluzione delle maggiori sfide contemporanee, quali, per esempio, il cambiamento climatico, la crescita delle disuguaglianze, i flussi migratori e la tutela della salute.
Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulga, autori nel 2009 del libro The Open Book of Social Innovation, disponibile anche in italiano con il titolo Il libro bianco della Social Innovation, così descrivono l’innovazione sociale: «Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa».
I processi d’innovazione possono essere definiti come “sociali”, quindi, se riescono a coinvolgere attivamente persone e organizzazioni, attraverso la creazione di nuove reti sociali, nella realizzazione di modelli di vita e di produzione più sostenibili da un punto di vista tecnologico, ambientale e umano. Qualunque tecnologia, anche solo un’applicazione per smartphone, capace di soddisfare nuovi e vecchi bisogni e di ottimizzare l’utilizzo delle risorse umane e naturali, rappresenta un’innovazione di carattere sociale. Allo stesso modo possono essere esempi di innovazione sociale le comunità di cittadini che si organizzano per migliorare i servizi presenti nel territorio in cui vivono, i progetti di riqualificazione urbana, o diverse forme di imprenditorialità “dal basso”, che si sviluppano, cioè, a partire dagli interessi dei cittadini e delle comunità. L’espressione social innovation esprime quindi un doppio significato: innovazione intesa come utilizzo di tecnologie per soddisfare bisogni sociali e innovazione come processo che coinvolge intere comunità e non singoli individui o imprese. L’innovazione, dunque, quale risultato dell’azione collettiva, che richiede accordi, condivisione e dialogo.

1.9 LA SHARING ECONOMY

La conoscenza, si è detto, è un bene collettivo che, a differenza di qualunque altro bene, ha tra le sue caratteristiche quella di generare nuova conoscenza. Per generare benessere, sviluppo e innovazione è quindi essenziale che la conoscenza venga condivisa e circoli il più possibile.
L’idea di sharing economy (“economia della collaborazione”) fa riferimento proprio a questo, ovvero a nuove modalità di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi basate su relazioni di scambio di tipo cooperativo.
A differenza degli scambi che si realizzano tra imprese e clienti, basati su relazioni di tipo asimmetrico, la sharing economy presuppone relazioni “tra pari”. In particolare, è possibile identificare le caratteristiche distintive di questo nuovo modo di fare economia e produrre valore in tre fattori:
  • creare mercati, che facilitano lo scambio di beni e servizi e che fanno emergere nuovi servizi capaci di incrementare l’attività economica;
  • affidarsi a relazioni di rete di tipo decentrato e orizzontale, invece che a gerarchie o istituzioni centralizzate;
  • mescolare sempre di più la sfera professionale e personale degli individui coinvolti e dunque tendere a sfumare i confini fra tempo di lavoro e tempo libero, nonché tra lavoro e vita privata.
La sharing economy è poi strettamente connessa alle tecnologie digitali. In particolare, è attraverso l’uso di piattaforme digitali che persone che hanno qualcosa da offrire (oggetti, competenze, un alloggio, un passaggio in macchina) entrano in contatto con chi è interessato a quanto proposto.
Abbiamo parlato delle piattaforme digitali già a proposito dei social media | ▶ UNITÀ 8, p. 348 |, sottolineando come la loro prima caratteristica risieda nel consentire alle persone di comunicare e stabilire relazioni in modo diretto, come nel caso di Facebook, Twitter o Instagram. Questa prossimità relazionale permette anche lo sviluppo di forme di produzione inedite, basate sul coinvolgimento di una pluralità di individui, come il crowdsourcing e il crowdfunding (crowd in inglese vuol dire “folla”).

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Crowdsourcing, crowdfunding e le forme di produzione collettiva in rete
Crowdsourcing (“produzione collettiva”) è un termine coniato nel 2006 dal giornalista statunitense Jeff Howe in un articolo apparso sulla rivista “Wired”, che lo definì come un nuovo modello di business reso possibile dal web e basato sul contributo dato da una rete distribuita di persone alla produzione di beni materiali o immateriali.
Come scritto da Howe, il crowdsourcing consiste nel «prendere un lavoro che tradizionalmente viene eseguito da una persona e distribuirlo a un gruppo di persone indefinito ma generalmente numeroso».
ESEMPIO: quando nel 2008 venne aperto l’App Store, il primo mercato online di applicazioni per smartphone, Apple permise agli sviluppatori amatoriali di poter mettere in vendita i propri prodotti, dal cui prezzo Apple tratteneva una percentuale. In tal modo, l’azienda riuscì ad attirare bravi sviluppatori a un costo decisamente più basso di quello che avrebbe dovuto pagare assumendo del nuovo personale.
Il crowdfunding (“finanziamento collettivo”) si riferisce invece a un gruppo di persone che mette il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. È una pratica di finanziamento “dal basso” che utilizza le tecnologie digitali per mobilitare persone e risorse. Le piattaforme di crowdfunding servono infatti a mettere in contatto chi ha un progetto da proporre con una “folla” di finanziatori, fornendo informazioni sul progetto, sulle quote di finanziamento ammesse e sul tipo di ricompensa prevista per i finanziatori in caso di successo. Tale ricompensa può essere dei tipi più vari, a seconda del progetto e della misura in cui lo si è finanziato: da una semplice cartolina di ringraziamento, sino all’oggetto che si è contribuito a realizzare o a una percentuale sui profitti ricavati dalle vendite.
In Europa il fenomeno del crowdfunding è in continua crescita e l’Italia, insieme a Francia, Spagna, Germania e Paesi Bassi, è tra i paesi più attivi. La prima piattaforma italiana di crowdfunding nacque nel 2005: si chiamava “Produzioni dal Basso” e serviva a raccogliere finanziamenti per le autoproduzioni culturali. Ma è stato dopo il 2010 che il fenomeno si è visibilmente diffuso: nel 2018, le piattaforme italiane di crowdfunding erano ormai un centinaio. Per fare qualche esempio, fra le più attive si può citare Musicraiser, che raccoglie fondi per finanziare progetti musicali, oppure School Raising, che sostiene progetti innovativi promossi e attuati nelle scuole. Cineama, infine, è una piattaforma rivolta a progetti cinematografici indipendenti che unisce crowdfunding e crowdsourcing: nata come piattaforma di crowdsourcing per la scrittura collaborativa di sceneggiature e la diffusione di film indipendenti, nel tempo ha iniziato a promuovere anche raccolte fondi per la produzione e promozione di film, documentari e cortometraggi.
Sono quindi due gli elementi che più di altri caratterizzano la sharing economy: l’ampio uso di tecnologie digitali e, anche grazie a queste, la riconfigurazione del ruolo dei consumatori all’interno dei processi economici e produttivi.

per lo studio

1. Descrivi quali e quante tecnologie digitali possedete nella tua famiglia, i principali usi per cui vengono impiegate e le competenze che tali usi richiedono.
2. Quali sono, dal tuo punto di vista, le conoscenze e le competenze più utili e necessarie per vivere nella società contemporanea?


  Per discutere INSIEME 

Scegli una piattaforma digitale (non ha importanza di che tipo) e descrivine la storia, il fine e il funzionamento. Confronta la tua scelta con quelle dei tuoi compagni e discutete delle principali similitudini e differenze che vi sono tra le diverse piattaforme.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane