T1 - Marshall McLuhan, Il medium è il messaggio

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Marshall McLuhan

Il medium è il messaggio

In questo brano, McLuhan afferma per la prima volta che la caratteristica più importante dei media non è il contenuto che essi trasmettono, ma la forma che i media stessi danno a questo contenuto. Come riassume alla fine di questo estratto, guardare al solo contenuto è un atteggiamento da “idiota tecnologico”, che non si rende conto invece della capacità delle tecnologie mediali di dare una forma particolare a questo contenuto.

In una cultura come la nostra, abituata da tempo a frazionare e dividere ogni cosa al fine di controllarla, è forse sconcertante sentirsi ricordare che, per quanto riguarda le sue conseguenze pratiche, il medium è il messaggio. Che in altre parole le conseguenze individuali e sociali di ogni medium, cioè di ogni estensione di noi stessi, derivano dalle nuove proporzioni introdotte nelle nostre questioni personali da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia.
[…] Molti erano inclini ad affermare che il significato o il messaggio della macchina non doveva risiedere nella macchina in sé stessa ma nell’uso che se ne faceva. Il “messaggio” di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani. La ferrovia non ha introdotto nella società né il movimento, né il trasporto, né la ruota, né la strada, ma ha accelerato e allargato le proporzioni di funzioni umane già esistenti creando città di tipo totalmente nuovo e nuove forme di lavoro o di svago. […]
La nostra reazione convenzionale a tutti i mediasecondo la quale ciò che conta è il modo in cui vengono usati, è l’opaca posizione dell’idiota tecnologico. Perché il “contenuto” di un medium è paragonabile a un succoso pezzo di carne con il quale un ladro cerchi di distrarre il cane da guardia dello spirito. L’effetto del medium è rafforzato e intensificato dal fatto di attribuirgli come “contenuto” un altro medium. Ma l’effetto della forma cinematografica non ha nulla a che fare con il suo contenuto programmatico.
Se il potere formativo dei media è nei media stessi, ciò solleva una quantità di problemi importanti che qui si possono solo menzionare ma meriterebbero volumi. E precisamente che i media sono materie o risorse naturali, esattamente come il carbone, il cotone o il petrolio. Tutti ammetteranno che una società la cui economia dipende da una o due materie prime importanti, quali il cotone, il grano, il legname, i pesci o il bestiame, dovrà avere un tipo di organizzazione sociale che di esse tenga conto. […].
Una società configurata dal dover fare assegnamento su poche merci, le considera uno strumento di coesione sociale, nello modo in cui la metropoli considera la stampa. Cotone e pecore, come la radio e la TV, diventano «cariche fisse» dell’intera vita psichica della comunità.

Rispondi

1. Prova a descrivere con parole tue che cosa significa che “il medium è il messaggio”.
2. Che cosa caratterizza l’“idiota tecnologico” di cui parla McLuhan?
3. Riesci a fare un esempio di questa idea riferito a un medium che utilizzi anche tu comunemente?

 >> pagina 372 

|⇒ T2  Umberto Eco

Difesa della cultura di massa

In questo brano, il semiologo e scrittore Umberto Eco discute alcune caratteristiche della cultura di massa prodotta nel corso del Novecento dai mass media. La cultura di massa è stata spesso considerata in termini negativi sia perché ritenuta meno importante ed esteticamente meno bella rispetto alla cultura delle élite colte, di cui fa parte la musica classica, la poesia o l’opera a teatro, sia perché, se prodotta dai mass media, è spesso influenzata da logiche commerciali ed economiche. Nonostante questo, Eco è stato uno dei primi studiosi, appartenente, dunque, alle élite colte, a offrire una serie di giustificazioni alla diffusione della cultura di massa.

La cultura di massa non è tipica di un regime capitalistico. Nasce in una società in cui tutta la massa di cittadini si trova a partecipare a pari diritti alla vita pubblica, ai consumi, alla fruizione delle comunicazioni; nasce inevitabilmente in qualsiasi società di tipo industriale. Ogni volta che un gruppo di potere, una associazione libera, un organismo politico o economico si trova a dover comunicare alla totalità dei cittadini di un paese, prescindendo dai vari livelli intellettuali, deve ricorrere ai modi della comunicazione di massa e subisce le regole inevitabili della “adeguazione alla media”. […] La deprecata cultura di massa non ha affatto preso il posto di una fantomatica cultura superiore; si è semplicemente diffusa presso masse enormi che un tempo non avevano accesso ai beni della cultura. […] Quindi l’uomo che fischietta Beethoven perché lo ha sentito alla radio è già un uomo che, sia pure al semplice livello della melodia, ha avvicinato Beethoven […] mentre un’esperienza del genere un tempo era riservata alle classi abbienti; tra i cui rappresentanti moltissimi probabilmente, pur sottomettendosi al rituale del concerto, fruivano la musica sinfonica allo stesso livello di superficialità. […] Alla obiezione che la cultura di massa diffonde tuttavia anche prodotti di intrattenimento che nessuno oserebbe giudicare positivi (fumetti a sfondo erotico, riprese televisive di pugilato, telequiz che rappresentano un appello agli istinti sadici del grosso pubblico) si risponde che, da quando mondo è mondo, le folle hanno amato i circenses; e appare naturale che in mutate condizioni di produzione e di diffusione i duelli di gladiatori, le lotte degli orsi et similia siano stati sostituiti da altre forme di intrattenimento deteriore, che ciascuno depreca ma che non si dovrebbero considerare un segno particolare della decadenza dei costumi. […] I mass media offrono una congerie di informazioni e di dati circa l’universo senza suggerire dei criteri di discriminazione; ma in definitiva sensibilizzano l’uomo contemporaneo nei confronti del mondo; e in realtà le masse sottoposte a questo tipo di informazione non ci paiono più sensibili e più partecipanti, nel bene e nel male, alla vita associata, che non le masse dell’antichità prone a ossequenze tradizionali nei confronti di sistemi e valori stabili e indiscutibili?[…] Infine, non è vero che i mezzi di massa siano stilisticamente e culturalmente conservatori. In quanto costituiscono un insieme di nuovi linguaggi, hanno introdotto nuovi modi di parlare, nuovi stilemi, nuovi schemi percettivi (basti pensare alla meccanica della percezione dell’immagine, alle nuove grammatiche del cinema, della ripresa diretta, del fumetto, allo stile giornalistico...): bene o male si tratta di un rinnovamento stilistico che spesso ha costanti ripercussioni sul piano delle arti cosiddette superiori, promuovendone lo sviluppo.

Rispondi

1. Qual è secondo te l’aspetto positivo più importante che l’autore evidenzia in relazione alla cultura di massa?
2. Che cosa significa che i mass media «sensibilizzano l’uomo contemporaneo nei confronti del mondo»?
3. Riesci a fare un esempio di una forma di cultura di massa che tu stesso apprezzi, spiegando perché per te è positiva?

 >> pagina 373 

|⇒ T3  Sherry Turkle

Scrivere al computer

Riportiamo di seguito un brano tratto da uno dei primi libri che descrive le trasformazioni dell’esperienza quotidiana in seguito alla diffusione dei computer e di Internet. Si tratta del libro della sociologa Sherry Turkle intitolato La vita sullo schermo, pubblicato per la prima volta nel 1995. Il volume affronta il modo in cui le persone interagiscono con i computer e le conseguenze di ciò sulle loro vite e sulle loro relazioni sociali. Nell’estratto che segue, l’autrice descrive alcune differenze tra scrivere a mano e scrivere al computer.
Mentre scrivo queste parole continuo a rimescolare il testo sullo schermo del computer. Una volta avrei dovuto tagliare e incollare, letteralmente. Oggi mi basta richiamare la funzione taglia e incolla. Una volta l’avrei considerato come “editare”. Oggi, grazie al software adatto, spostare frasi e paragrafi fa semplicemente parte dello scrivere. Questo è uno dei motivi per cui adesso trascorro molto più tempo davanti al computer di quanto ne passassi prima con i blocchi di appunti o alla macchina da scrivere. Quando mi viene voglia di scrivere ma non ci sono computer intorno, aspetto fino a quando posso raggiungerne uno.Sento proprio che devo aspettare di mettermici davanti. Perché mi riesce così difficile allontanarmi dallo schermo? Le finestre del computer mi offrono molteplici strati di materiale diverso a cui ho accesso contemporaneamente: appunti sparsi; stesure precedenti di questo libro; un elenco di idee ancora da elaborare; trascrizioni di interviste con persone che usano il computer; e le registrazioni delle mie sessioni di collegamento con sistemi telematici, bulletin board, comunità virtuali. Quando scrivo al computer questi elementi sono tutti lì, presenti, e il mio spazio di pensiero appare in qualche modo più ampio. Questa visualizzazione dinamica e stratificata mi dona il confortevole senso di star scrivendo in conversazione con il computer. Dopo anni di simili incontri avere un foglio di carta bianca davanti mi fa sentire stranamente sola.

Rispondi

1. Quali aspetti vengono messi in luce dall’autrice nella differenza tra scrivere al computer e scrivere su un foglio di carta?
2. Perché l’autrice si sente sola davanti a un foglio bianco?
3. Riesci a indentificare degli aspetti positivi nello scrivere a mano rispetto allo scrivere con la tastiera di un computer?

 >> pagina 374 

|⇒ T4  Josè van Dijck, Thomas Poell, Martijn de Waal

The rise of digital platforms

The following text is part of the introduction of the book Platform Society, in which authors point out how much digital platforms play an increasingly crucial role in contemporary society. Similarly to what Manuel Castells wrote about Internet and network society, here the authors affirm that social relationships and structures depend by the form and the logic of online platforms like Facebook.

The “sharing economy,” the “platform revolution,” the “gig economy,” “disruptive innovation”– these are just a handful of epithets used to denote the latest transformation of the Internet. The rise of digital platforms is hailed as the driver of economic progress and technological innovation. Individuals can greatly benefit from this transformation because it empowers them to set up businesses, trade goods, and exchange information online while circumventing corporate or state intermediaries.
People all over the world can use Airbnb to rent an apartment in a foreign city, check Coursera to find a course on statistics, join PatientsLikeMe to exchange information about one’s disease, hail a ride using Uber, read news through Facebook’s Instant Articles, or use Deliveroo to have food delivered to their homes. In doing so, users can avoid booking a regular hotel, registering at a university, going to a general practitioner, calling a licensed taxi business, buying a newspaper, or visiting a restaurant. The promise of platforms is that they offer personalized services and contribute to innovation and economic growth, while efficiently bypassing incumbent organizations, cumbersome regulations, and unnecessary expenses.
Some management and business scholars have touted this development the “platform revolution” and focus on the positive economic effects of a technological development they hail as “innovative disruption”. Individual citizens or consumers organize themselves through online networks, so they are less dependent on legacy institutions or companies such as publishers, news organizations, hospitals, unions, brokers, and so on. The Internet-based utopian marketplace would allow individuals to offer products or services “directly” without having to rely on “offline” intermediaries, whether state or corporate. In the early years of this development, some theorists touted the nascent growth of online platforms as the economic corollary of a “participatory culture” that started with the emergence of social media networks and Web 2.0 in the early years of the millennium. The wealth of online social networks enables connectedness, while bypassing existing social institutions; following this line of argument, connectivity automatically leads to collectivity or connectedness.
We agree that online platforms are at the core of an important development, but we think of them neither as an exclusive economic phenomenon nor as a technological construct with social corollaries. Rather, we prefer a comprehensive view of a connective world where platforms have penetrated the heart of societies – affecting institutions, economic transactions, and social and cultural practices – hence forcing governments and states to adjust their legal and democratic structures. Platforms, in our view, do not cause a revolution; instead, they are gradually infiltrating in, and converging with, the (offline, legacy) institutions and practices through which democratic societies are organized. That is why we prefer the term “platform society” – a term that emphasizes the inextricable relation between online platforms and societal structures. Platforms do not reflect the social: they produce the social structures we live in.

Answer

1. Besides Facebook, other platforms are quoted in the text. Which are these platforms? Do you already know them? If not, search them online and describe what they are about.
2. Which positive consequences and benefits are addressed in relation to the role of online platforms?
3. What does it mean that platforms produce social structures?

Reflect together

Discuss in classroom about one specific online platform that many of you use regularly. Which benefits this platform brought to your social experience? Are there also negative effects that seem be generated on society by this platform?

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane