2. I mass media

2. I mass media

2.1 CHE COSA SONO I MEDIA?

Finora ci siamo occupati della comunicazione diretta, faccia a faccia, e del suo ruolo nelle relazioni interpersonali; adesso ci concentreremo su un altro tipo di comunicazione, quella mediata dalle tecnologie. Essa si avvale appunto di tutte quelle tecnologie che sono state inventate dagli esseri umani nel corso della storia per semplificarla e velocizzarla. Tuttavia, prima di parlare di questi mezzi di comunicazione sempre più pervasivi e discussi, ci dedicheremo a comprendere più in generale il rapporto che i media hanno con la società, ricostruendo la loro evoluzione storica, la loro importanza nella vita sociale e alcune delle loro implicazioni sociologiche.
Definire in modo univoco che cosa siano i ▶ media e quale ruolo essi rivestano nella società non è semplice, sia perché sono tra di loro molto diversi – il telefono e la televisione, Internet e un libro di narrativa – sia perché sono diventati così onnipresenti nella vita quotidiana che è assai complicato capire l’insieme delle loro conseguenze sulla società e sui comportamenti degli individui. Anche a causa di tale complessità, il rapporto tra media e società è diventato una questione talmente importante da richiedere la specializzazione di un ramo della sociologia che va oggi sotto il nome di sociologia dei media.
Sarebbe errato pensare, però, che i media siano sempre stati considerati un tema di riflessione fondamentale; infatti, si è iniziato a discutere in modo approfondito del loro ruolo nella società solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Uno dei primi a occuparsene è stato lo studioso canadese Marshall McLuhan | ▶ L’AUTORE |, il quale ha scritto numerosi libri sull’evoluzione dei media e sulle loro implicazioni sul piano culturale. Una delle sue affermazioni più note è «il medium è il messaggio», con cui intendeva sottolineare che l’importanza dei media non può essere ridotta semplicemente alla descrizione di ciò che viene raccontato o mostrato, cioè al contenuto della comunicazione, ma si rivela già a partire dalla formaovvero dalle caratteristiche tecniche ed estetiche che li caratterizzano.
ESEMPIO: tutti noi siamo molto più colpiti quando vediamo una notizia drammatica in televisione, corredata di immagini delle vittime, delle urla dei feriti e così via, rispetto a quando leggiamo le stesse informazioni riportate in un articolo di un quotidiano. Questo per la semplice ragione che le caratteristiche del medium televisivo trasformano e amplificano alcuni aspetti dei contenuti di una notizia.
Insomma, tendiamo spesso a concentrarci sugli aspetti più ovvi della comunicazione, ovvero sui suoi contenuti, piuttosto che soffermarci a considerare come le tecnologie mediali contribuiscano a plasmare questi contenuti in un modo piuttosto che in un altro. Inoltre, poiché i media e le relative tecnologie sono in continua trasformazione, anche la comunicazione cambia costantemente e, conseguentemente, si trasformano i valori e le norme della società da cui essa prende forma.
Un’altra importante idea di McLuhan è stata quella di “villaggio globale”, elaborata ben prima dell’avvento della globalizzazione e di Internet. Con questa espressione egli intendeva sottolineare che, grazie alla diffusione dei media come la televisione, il telefono o la radio, tutte le persone del mondo sarebbero state connesse tra loro, trasformando il pianeta in un grande villaggio, dove tutti avrebbero potuto interagire, anche a grandissime distanze. Con alcuni decenni di anticipo rispetto alla diffusione di Internet, la convinzione di McLuhan era che il mondo stesse entrando in un’era elettronicain cui gli individui avrebbero avuto a disposizione una quantità infinita di informazioni proprio grazie alle tecnologie mediali. Le idee di McLuhan sulla comunicazione umana sono dunque state profetiche, prevedendo con largo anticipo il nostro presente e il ruolo che strumenti quali Internet, ancora inesistente negli anni Sessanta, avrebbero avuto sugli individui e sulla cultura a livello mondiale.
Insieme a McLuhan, uno tra i primi studiosi a concentrarsi sul ruolo dei mass media e in particolare dei loro effetti sulla cultura è stato Umberto Eco, in particolare nel libro intitolato Apocalittici e integrati (1964).
In questo testo il semiologo italiano analizza i mezzi di comunicazione di massa definendo “apocalittici” gli intellettuali che hanno espresso un rifiuto nei confronti delle trasformazioni prodotte dai mass media e “integrati” coloro che, invece, hanno salutato con un ottimismo acritico le loro conseguenze.

l’autore  Marshall McLuhan

Marshall McLuhan (1911-1980) è il primo e più importante teorico dei media e della comunicazione. Non è un sociologo, ma un professore di letteratura inglese, che insegna all’università di Toronto dal 1946 fino al 1979. Nel 1963 viene nominato direttore del Centro per la cultura e la tecnologia, dove sviluppa il suo approccio allo studio dei mezzi di comunicazione. Tra i suoi libri possiamo ricordare La sposa meccanica (1951), dedicato alla diffusione della cultura mediale e in particolare della pubblicità nella società americana; La galassia Gutenberg (1962), in cui si occupa di mettere in luce come le tecnologie della comunicazione (dalla stampa ai media elettronici) influenzino il modo in cui le persone pensano; Comprendere i media (1964), in cui sostiene che i media stessi, e non il contenuto che veicolano, dovrebbero essere al centro dello studio della comunicazione. Le sue idee sui media sono diventate molto popolari e hanno influenzato in modo profondo lo studio dei mezzi di comunicazione fino ai giorni nostri.

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2.2 IL RUOLO DEI MASS MEDIA NELLA SOCIETÀ

Se con il termine “media” si intendono tutti gli strumenti tecnologici usati per scambiare contenuti, con l’espressione mass media, o “mezzi di comunicazione di massa”, ci si riferisce, in particolare, a quelle forme di comunicazione progettate per raggiungere un vasto pubblico senza un diretto contatto faccia a faccia tra coloro che creano e coloro che ricevono i messaggi. Esempi di mass media sono i libri, i giornali, la televisione, le trasmissioni radiofoniche, i film, ma anche più recentemente i videogiochi, i brani musicali e molta parte dei contenuti di Internet.
I mass media sono caratterizzati dal fatto che, sebbene vengano prodotti da un ristretto gruppo di persone, in genere professionisti della comunicazione, raggiungono un pubblico molto vasto: questa particolare caratteristica viene definita con il termine inglese broadcasting.
ESEMPIO: la televisione si caratterizza per raggiungere milioni e milioni di persone alla volta; un cantante, attraverso i dischi, la radio e altri strumenti di riproduzione sonora, può diffondere le sue canzoni raggiungendo ascoltatori che si trovano anche dall’altra parte del mondo.
Da un punto di vista sociologico, possiamo, dunque, definire i mass media come strumenti che hanno il compito di produrre e diffondere una serie di contenuti simbolici a un pubblico variegato di spettatori e consumatori.
Ma perché i mass media sono così rilevanti per la società?
In primo luogo, essi costituiscono una forma molto importante di socializzazioneQualsiasi esposizione a uno show televisivo, a una canzone o a un’altra forma di narrazione veicolata dai media rappresenta un atto di socializzazione, poiché offre agli spettatori possibili modelli di comportamento e di rappresentazione di sé. Si può dire che buona parte di quanto le persone imparano su come funziona il mondo è veicolato proprio dai mezzi di comunicazione di massa. In altre parole, la società viene acquisita dall’individuo anche attraverso l’esposizione ai mass media, che hanno in parte sostituito la famiglia e la scuola come ambiti dove le nuove generazioni apprendono a comportarsi.
I mass media sono importanti anche per la forma che essi danno ai contenuti. Come aveva già osservato McLuhan, ogni mezzo di comunicazione ha caratteristiche peculiari proprie, che riguardano sia la forma che assume (scritta, visiva, sonora), sia le modalità attraverso cui viene fruito da parte del pubblico (seduti in teatro, a casa in salotto, in una biblioteca), sia, infine, il tipo di emozioni e di stimoli che produce negli utenti. Ci troviamo in una condizione fisica molto diversa quando, per esempio, leggiamo un libro, dovendo ricreare nella nostra mente i personaggi a partire da un testo scritto, rispetto a quando vediamo un film al cinema, dove siamo immersi in un ambiente fatto di suoni e di immagini, ma in cui rimane molto meno spazio per la nostra immaginazione.

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2.3 IL RAPPORTO ASIMMETRICO DEI MEDIA UNIDIREZIONALI

Come abbiamo già osservato, una delle caratteristiche principali che accomuna i mezzi di comunicazione di massa, come la televisione e la radio, è che la comunicazione avviene prevalentemente in una sola direzione (broadcasting). A differenza di quando discutiamo con un amico, di persona o anche al telefono, quando guardiamo la televisione o ascoltiamo la radio non possiamo instaurare una vera e propria interazione con chi trasmette i contenuti, poiché questi non si modificano in relazione alle nostre reazioni. In altre parole, mancano le caratteristiche tipiche dell’interazione.
Allo stesso tempo, l’emittente televisiva non conosce direttamente il proprio pubblico, per cui non può adattare i contenuti che propone in base alle reazioni che essi producono sugli spettatori. Così, quando un presentatore televisivo fa una battuta umoristica che non viene compresa dal pubblico, egli non è in grado di modificare la battuta successiva tenendo conto delle reazioni degli spettatori, come succede invece negli spettacoli dal vivo. D’altra parte oggi, con la diffusione di Internet e dei social network (come Twitter, Facebook o Instagram), il pubblico è spesso in grado di esprimere in tempo reale il proprio parere: pensiamo anche, per esempio, a quei programmi televisivi, come il Festival di Sanremo o i reality show, in cui viene chiesto agli spettatori di dare un voto alle canzoni o al comportamento dei concorrenti. Ma questo non invalida l’osservazione generale che i mezzi di comunicazione di massa non permettono una vera interazione con il proprio pubblico.
Si può dunque affermare che la comunicazione veicolata dai mass media è caratterizzata da un rapporto asimmetrico tra emittente di un contenuto e il pubblico.
Un’altra delle caratteristiche dei mezzi di comunicazione di massa è, dunque, una netta separazione tra i produttori dei contenuti simbolici e quello dei fruitori o consumatori di questi contenuti. Infatti, a differenza della comunicazione che avviene tra individui, nel mondo delle comunicazioni di massa è possibile identificare i produttori di contenuti, che sono in generale professionisti della comunicazione: autori, scrittori, artisti e così via. Dall’altro lato del processo di comunicazione troviamo invece i pubbliciche non partecipano direttamente alla creazione dei contenuti e che hanno il ruolo di consumare (o fruire) i contenuti che sono creati dai professionisti.

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2.4 DAL LIBRO STAMPATO CON CARATTERI MOBILI ALLA TELEVISIONE

Sebbene i mass media siano associati alla società contemporanea, la loro evoluzione storica è invece molto più lunga e ci riporta indietro nel tempo fino all’invenzione, a metà del XV secolo, di una delle più longeve tecnologie mediali: il libro stampato, un oggetto molto antico ma ancora attuale.
Il libro stampato con “▶ caratteri mobili” fu, infatti, messo a punto dal tedesco Johannes Gutenberg nel 1455 assemblando alcune tecnologie allora già esistenti. Fino ad allora i libri non venivano stampati in tante copie, ma erano scritti a mano, copia per copia, da lavoratori specializzati: gli amanuensi. Questi erano soprattutto religiosi che vivevano in monasteri, dediti alla conservazione dei codici e dei libri ritenuti degni dalla Chiesa. L’idea rivoluzionaria di Gutenberg comportò la possibilità di riprodurre in modo molto veloce centinaia di libri tutti uguali e dal costo più contenuto. L’operazione di stampa si è successivamente diffusa dando il proprio nome al ramo dei media che include, oltre ai libri, i giornali, le riviste e altre forme minori (per esempio, i volantini pubblicitari).
Le conseguenze dell’invenzione della stampa nella società sono state incalcolabili. Intanto, la produzione e la trasmissione della conoscenza uscivano dal chiuso dei monasteri e, quindi, vecchie e nuove idee potevano diffondersi al di fuori dello stretto controllo ecclesiastico. Non a caso, uno dei primi libri stampati a caratteri mobili fu la Bibbia, tradotta per la prima volta in volgare da Martin Lutero, colui che guidò la riforma protestante in opposizione al cattolicesimo della Chiesa di Roma.

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I giornali
Un mezzo di comunicazione di massa molto importante, strettamente legato all’invenzione della stampa, è rappresentato dai giornali di informazione, ancora molto diffusi in formato cartaceo, nonostante ne esistano le versioni in digitale. La definitiva affermazione dei giornali si ebbe nel corso del XVII secolo, prima in Europa e poi negli Stati Uniti. Ma fu solo nel XIX secolo che essi divennero comuni, stampati tutti i giorni con nuove notizie di attualità, tanto da prendere il nome di “quotidiani”. Grazie al fatto che riportavano notizie su ciò che succedeva in una particolare città o nel mondo, i giornali divennero parte integrante della vita sociale e politica e iniziarono a esercitare la loro influenza nella formazione dell’opinione pubblica, cioè su quello che i cittadini pensavano delle vicende pubbliche, per esempio in relazione alle scelte politiche dei governi o rispetto ad altri avvenimenti di pubblico rilievo. Tuttavia, è bene ricordare che, fino alla metà del Novecento, i giornali non solo rimanevano relativamente costosi, ma potevano essere letti solo da una minoranza di persone colte e privilegiate: quella ristretta parte della società che sapeva leggere e scrivere.
È attraverso i giornali che, alla fine del XIX secolo, nacquero le prime forme di pubblicità. Esse non solo incisero sulla circolazione dei quotidiani, perché permisero di abbassare il costo di acquisto, ma ebbero un ruolo importante nella nascita della società dei consumi, stimolando anche il diffondersi della moda e aprendo la strada alla pubblicità pervasiva dei giorni nostri. Oggigiorno i quotidiani, pur continuando a essere molto diffusi, rivestono sicuramente un ruolo secondario rispetto alla televisione e a Internet.
La radio
Se fino agli inizi del Novecento i giornali erano in pratica l’unico mezzo di informazione disponibile, con l’avvento della radio e poi della televisione il panorama dei media si diversificò, innescando una concorrenza tra i diversi tipi di mezzi di comunicazione. A differenza dei giornali, la radio forniva informazioni quasi immediatamente disponibili, mentre con la televisione, a partire dagli anni Cinquanta, le notizie divennero ancora più coinvolgenti perché arricchite dalle immagini.
L’invenzione della radio fu il frutto di una serie di esperimenti tecnologici effettuati alla fine dell’Ottocento, incentrati sulla possibilità di trasmettere informazioni attraverso l’aria tramite le onde elettromagnetiche. Il primo a riuscire a inviare messaggi ▶ via etere fu Guglielmo Marconi (1874-1937), che nel 1895 trasmise un segnale in ▶ codice Morse a circa due chilometri di distanza dalla villa di famiglia alle porte di Bologna. Marconi continuò a perfezionare la sua straordinaria invenzione, che fu ribattezzata “telegrafo senza fili”, con cui riuscì nel dicembre del 1901 a trasmettere il primo segnale radiotelegrafico dall’Europa al Canada, attraverso l’oceano.
Agli inizi del Novecento vari innovatori si applicarono per sviluppare le potenzialità del segnale radio e il canadese Reginald Fessenden (1866-1932) riuscì a tramettere non solo segnali in codice Morse ma anche musiche e parole, dando vita alla radio moderna così come la conosciamo oggi.
A partire dagli anni Venti e Trenta del Novecento le trasmissioni radiofoniche iniziarono a diffondersi e a essere seguite da un numero crescente di ascoltatori, trasformando questo mezzo di comunicazione in uno strumento di massa. Anche la radio produsse importanti trasformazioni a livello sociale. In particolare, negli anni Trenta, fu utilizzata dai regimi politici totalitari per propagandare le proprie idee politiche non solo tra le classi acculturate, ma anche tra le popolazioni rurali analfabete. Successivamente, la radio ebbe un ruolo fondamentale durante la Seconda guerra mondiale sia per organizzare la resistenza al fascismo e al nazismo attraverso trasmissioni in codice, sia per informare le popolazioni di quanto taciuto dai regimi totalitari. Con la pace, la radio si diffuse in modo capillare in tutte le case e oggi, nonostante la schiacciante concorrenza della televisione e di Internet, è rimasta un medium discretamente utilizzato, soprattutto in particolari contesti come, per esempio, in auto.

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La televisione
Se la radio è stata uno strumento fondamentale durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale, il mezzo di comunicazione che più di altri si è identificato con lo sviluppo della società italiana moderna è stato la televisione. Sebbene, come la radio, fosse stata realizzata già prima della Seconda guerra mondiale, la televisione ebbe una diffusione nella società italiana più lenta ma poi divenne il nuovo strumento di massa del ▶ boom economico italiano. In Italia le trasmissioni televisive vennero inaugurate ufficialmente nel 1954 dall’ente pubblico della Rai in concessione esclusiva. La sua diffusione fu all’inizio condizionata dal costo degli apparecchi, ma dopo due anni iniziò un duraturo successo che la caratterizza ancora oggi.
A differenza della situazione odierna, dove in ogni casa vi sono più televisori, negli anni Cinquanta si assisteva alle trasmissioni televisive prevalentemente in forma collettiva, all’interno di bar, parrocchie o in altri luoghi di ritrovo: insomma, la televisione nacque come un mezzo che permetteva di stare insieme. Ma già negli anni Sessanta, ogni famiglia riuscì ad acquistare un apparecchio televisivo, che divenne, dunque, uno dei simboli del raggiunto benessere della società italiana, come la lavatrice o l’automobile utilitaria.
Nei suoi primi anni di vita la televisione svolse un ruolo molto importante per la società italiana. In primo luogo, negli anni Cinquanta, quando la maggior parte delle persone parlava prevalentemente il dialetto, le prime trasmissioni televisive contribuirono in modo determinante a familiarizzare la popolazione con la lingua italiana, sia nell’uso della sintassi sia soprattutto nella pronuncia. Considerato che la maggioranza degli italiani aveva a mala pena completato la scuola elementare, i programmi televisivi contribuirono a educare e formare molte persone. Per esempio, la trasmissione Telescuola, iniziata nel 1958, era rivolta ai ragazzi impossibilitati a frequentare la scuola obbligatoria.
Inoltre, la televisione contribuì a introdurre nella società italiana forme culturali moderne, profondamente diverse rispetto a quelle del contesto nazionale, spesso provenienti dal mondo statunitense. Nel 1955, per esempio, la Rai introdusse i primi quiz a premi, in cui i concorrenti potevano vincere grandi somme di denaro, un format mutuato direttamente da un programma televisivo statunitense e che in Italia era condotto da un presentatore italo-americano, Mike Bongiorno. Nel 1957 la Rai introdusse anche le prime forme di spot televisivi, attraverso la trasmissione Carosello, costituita da cortometraggi che raccontavano brevi storie in cui compariva un prodotto commerciale reclamizzato.
Nel corso dei decenni successivi il ruolo della televisione nella società italiana è profondamente cambiato. All’inizio degli anni Ottanta, l’apertura del sistema televisivo ai canali commerciali introdusse grandi trasformazioni nei contenuti e nei linguaggi televisivi. Questo nuovo modello televisivo non era più basato su un approccio autorevole e paternalistico, per cui il conduttore rappresentava un’autorità morale rivolta principalmente all’intero nucleo familiare. Si proponeva, invece, una televisione con il compito di introdurre, nel tradizionale contesto familiare, nuove mode e nuovi linguaggispesso influenzati dalla cultura del commercio e della pubblicità. In questo modo si affermavano in Italia due modelli differenti di televisione: da un lato quello della TV pubblica, rappresentata dai canali della Rai, finanziati dallo Stato e ancora in buona parte legati a una concezione di servizio pubblico dei mezzi di comunicazione; e dall’altro il modello della TV privata, finanziata attraverso la pubblicità e per questo più incline a proporre trasmissioni di intrattenimento capaci di attirare inserzionisti e telespettatori.
Sulla base di questa “neotelevisione”, a partire dagli anni Novanta sono nati molti nuovi format di successo, come quello dei reality show, che non hanno certo l’obiettivo di presentare modelli ideali di comportamento positivo (come la prima televisione), ma piuttosto di dare spazio a emozioni, conflitti, drammi personali e, in genere, di mettere in scena persone apparentemente comuni, in cui gli spettatori possano facilmente riconoscersi. A causa di ciò, queste trasmissioni televisive sono spesso oggetto della critica di studiosi e commentatori, non solo perché presentano contenuti superficiali e basati solo sulla logica dell’intrattenimento, ma perché tendono a presentare come realtà universale modelli di comportamento molto particolari e parziali. È il caso di reality come il Grande Fratello, che rappresenta come ordinari e comuni i comportamenti di giovani che invece agiscono in base alla necessità di essere votati dal pubblico da casa e avere successo nel mondo dello ▶ show business.

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Sociologia & Storia

RADIO LONDRA

Radio Londra è il nome che venne dato alle trasmissioni sul territorio italiano organizzate dalla British Broadcasting Corporation (BBC) a partire dal settembre 1938 e rivolte alle popolazioni che si trovavano allora sotto il dominio fascista e poi sotto l’occupazione dell’esercito tedesco. Prima e durante la Seconda guerra mondiale la propaganda di guerra di entrambi gli schieramenti utilizzò moltissimo il mezzo radiofonico, poiché esso permetteva di raggiungere a distanza, in modo immediato, grandi fette della popolazione, comprese quelle che non sapevano leggere.
All’entrata dell’Italia in guerra, gli alleati utilizzarono Radio Londra per trasmettere messaggi utili a organizzare la resistenza al regime nazi-fascista. Questi messaggi erano cifrati e indirizzati a determinati destinatari, che aspettavano di ricevere particolari parole d’ordine per intraprendere operazioni militari, sabotaggi e incursioni. Alcuni di questi messaggi erano, ovviamente, curiosi e sono rimasti impressi nella memoria collettiva degli italiani, come, per esempio, “La gallina ha fatto l’uovo” o “La vacca non dà latte” che si riferivano al paracadutare di viveri, armi e uomini, a spostamenti di unità o ad altre operazioni belliche. Nel 1945, il messaggio che dette inizio all’insurrezione partigiana in Italia fu “Aldo dice ventisei per uno”. Oltre ai messaggi cifrati, Radio Londra trasmetteva anche notizie non censurate sull’andamento della guerra, rivelando avvenimenti che erano invece tenuti nascosti dalle fonti ufficiali del governo fascista. Radio Londra acquisì una grande credibilità anche grazie al fatto che non proponeva solo la propaganda delle vittorie degli alleati, ma raccontava anche le sconfitte subite. Le trasmissioni di Radio Londra furono un mezzo straordinario con cui portare avanti la battaglia dei partigiani per la liberazione del territorio italiano dagli invasori. È, dunque, attraverso la ricostruzione di queste trasmissioni che possiamo comprendere, oggi, come la radio poté influenzare gli sviluppi di una fase particolarmente drammatica della storia italiana.

  INVITO ALL’ASCOLTO   
The Buggles, VIDEO KILLED THE RADIO STAR

Video Killed the Radio Star è la canzone d’esordio dal gruppo britannico The Buggles, pubblicata come singolo il 7 settembre 1979 da Island Records e inclusa nel loro primo album The Age of Plastic. La canzone fa esplicito riferimento alle preoccupazioni nei confronti delle trasformazioni dei media alla fine degli anni Ottanta e delle loro conseguenze sul mondo dell’arte e della musica. Durante l’epoca d’oro delle trasmissioni radiofoniche la maggior parte delle persone faceva affidamento prevalentemente sulla radio per scoprire nuove canzoni.
Tuttavia, quando nel corso degli anni Settanta la televisione si affermò come principale medium familiare e iniziarono a circolare i primi rudimentali videoclip, la radio iniziò a perdere la propria centralità nel mondo della musica. Così, ironicamente, quando MTV – il primo canale TV esclusivamente dedicato alla musica – iniziò le trasmissioni nel 1981, mandò in onda come primo video proprio questa profetica canzone dei Buggles.

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2.5 I MEDIA COME INDUSTRIA CULTURALE

Una caratteristica peculiare dei mezzi di comunicazione di massa è la loro tendenza alla mercificazione dei contenuti simbolici; ciò significa che i loro prodotti diventano in primo luogo merci con un valore economico che vengono acquistate e vendute. Uno show televisivo, un libro o un film sono infatti realizzati da aziende che non hanno come obiettivo primario quello di educare, ma di vendere i loro prodotti a un pubblico o a un inserzionista pubblicitario: le logiche con cui vengono creati nuovi contenuti sono guidate in primo luogo dal produrre un profitto economico.
Nella società moderna la cultura e i contenuti mediali sono acquisiti dalla maggior parte degli individui attraverso uno scambio commerciale. In altre parole, solitamente, quando abbiamo accesso a un prodotto mediale, ciò non avviene gratuitamente: o paghiamo un costo oppure inserzionisti pubblicitari pagano al posto nostro, ricevendo in cambio la nostra attenzione nei confronti dei loro prodotti pubblicizzati attraverso un’inserzione, uno spot o l’esibizione di un marchio. Così, se per assistere a un concerto dobbiamo pagare un biglietto oppure per leggere un libro dobbiamo acquistarlo, quando guardiamo una trasmissione alla televisione o ascoltiamo un programma in radio non paghiamo alcun costo (tranne in parte per le trasmissioni televisive della Rai soggette a un canone), ma in cambio dobbiamo guardare e ascoltare gli spot pubblicitari che vengono trasmessi. In questo modo stiamo comprando i contenuti che consumiamo non attraverso uno scambio economico, ma mettendo a disposizione la nostra attenzione come consumatori e possibili acquirenti di certi prodotti.
Il ruolo delle logiche commerciali che guidano i media ha anche ripercussioni sui contenuti.
ESEMPIO: il conduttore di una trasmissione televisiva non viene scelto solo perché è più simpatico o esteticamente piacevole, ma perché si ritiene che possa incrementare il numero degli spettatori, attirare più pubblicità e così aumentare il valore economico di una trasmissione.
Inoltre, gli spettacoli televisivi, i film e la musica che consumiamo all’apparenza possono sembrare tutti diversi, ma in realtà spesso aderiscono a una medesima struttura, che è quella ritenuta più attrattiva per gli utenti da parte dei produttori. Questo si può constatare facilmente nelle canzoni di musica pop, che spesso seguono esattamente la stessa progressione di accordi, che risuona nelle orecchie degli ascoltatori e aiuta a farle piacere a un numero più ampio di persone.

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La critica ai media come industria culturale
L’influenza dei meccanismi economici sul ruolo dei media fu per la prima volta criticata dai sociologi Theodor Adorno e Max Horkheimer | ▶ UNITÀ 4, p. 138 |, che a metà del Novecento descrissero l’emergere dell’industria culturale, utilizzando questa espressione proprio per sottolineare il fatto che anche l’intrattenimento e i contenuti culturali erano orientati al profitto economico. L’idea dei due studiosi è che nella società capitalistica, dove tutto si compra e si vende, la cultura popolare non è più l’espressione diretta dei costumi di un popolo, ma il prodotto commerciale di un’industria specializzata, che produce contenuti standardizzati destinati a una massa di persone alla ricerca soprattutto di intrattenimento e di divertimento. Inoltre, per Adorno e Horkheimer i meccanismi dell’industria culturale non sono solo guidati da logiche di profitto, ma trasformano cittadini attivi e consapevoli in meri consumatori passivi. Attraverso la produzione di massa della cultura, i prodotti dei media diventano tutti simili tra loro e c’è il rischio di far scomparire qualsiasi forma di diversità, oltre allo spirito critico che dovrebbe accompagnare le persone nella fruizione dei contenuti.
Il concetto di industria culturale per descrivere i media si è poi ampiamente diffuso in sociologia e negli studi sulla comunicazione perché ritenuto adatto a descrivere il ruolo delle grandi industrie mediali nel trasformare la cultura popolare. Tuttavia, è importante sottolineare che alcuni studiosi dei media successivi a Adorno e Horkheimer hanno messo in luce che gli spettatori hanno ampi margini per reinterpretare e mettere in discussione ciò che viene loro proposto, nonché gli strumenti per sviluppare letture critiche di quello che vedono e sentono. Se, dunque, l’industria culturale propone spesso contenuti standardizzati e di dubbia qualità, non è detto che questo meccanismo produca automaticamente spettatori passivi che si adeguano a ciò a cui assistono.

2.6 GLI EFFETTI DEI MEDIA

Come abbiamo osservato, fin dall’invenzione del libro a stampa i mezzi di comunicazione hanno esercitato una profonda influenza nel contesto sociale. Ma come possiamo sintetizzare gli effetti dei media sulla società? Si tratta di una questione spesso dibattuta non solo dalla sociologia, ma anche da altre discipline, oltre che nelle discussioni pubbliche. Sebbene, infatti, tutti siano d’accordo nell’affermare che i media influenzano la società, vi sono comunque differenti prospettive per inquadrare questo problema, riassumibili in due punti di vista: quello che sostiene gli effetti “diretti” e quello che crede agli effetti “limitati e cumulativi”.
I sostenitori degli effetti diretti dei media sui comportamenti delle persone sono coloro che credono che assistere a un determinato contenuto mediatico modifichi in modo più o meno diretto l’opinione o il modo di comportarsi dell’utente. Per questo, per esempio, nel corso della storia, i governi hanno spesso proceduto a censurare libri, film e giornali che presentavano critiche e accuse nei loro confronti, una pratica tipica dei regimi totalitari. Questa prospettiva anima anche molti critici che nel corso dei decenni hanno accusato i film, la musica o i fumetti che presentano contenuti violenti di traviare le nuove generazioni, incitandole all’uso della violenza.
Dall’altra parte ci sono invece coloro che ritengono che, sebbene i media abbiano una forte influenza sulle persone, essa sia comunque limitata e sia il risultato di un processo o effetto cumulativo, ovvero del costante ripetersi di contenuti e idee nel corso del tempo. Ciò che influenza le persone non è dunque il singolo messaggio, ma il reiterarsi costante di alcuni tipi di messaggi e, più in generale, la sistematica proposta da parte dei media di idee e di comportamenti che, piano piano, si diffondono nella società. Per esempio, nel caso della pubblicità, se guardare un singolo spot televisivo non trasforma automaticamente i comportamenti d’acquisto degli spettatori, la costante riproposizione di una marca li incentiva a scegliere quella piuttosto di un’altra sconosciuta.
La sociologia tende, nella maggior parte dei casi, a riconoscersi in questa seconda posizione, che mette in evidenza la capacità dei media di proporre nel corso del medio periodo comportamenti e modelli di azione che si diffondono nella società, piuttosto che far cambiare in modo repentino opinioni o atteggiamenti.
ESEMPIO: se pensiamo agli effetti di una trasmissione televisiva che si occupa di politica, è difficile pensare che sia sufficiente guardare un dibattito politico per cambiare opinione su chi votare; il pubblico ha il più delle volte una preferenza politica già abbastanza chiara e, comunque, in genere basa la propria opinione non solo su ciò che ascolta nei media, ma anche sulle discussioni con amici, parenti e conoscenti. Allo stesso modo, pensando alla comunicazione commerciale di una pubblicità, è difficile pensare che, quando osserviamo uno spot pubblicitario in televisione, corriamo subito ad acquistare il prodotto reclamizzato: sia perché ormai ogni giorno siamo bombardati da centinaia di pubblicità, sia perché anche in questo caso i nostri gusti di consumatori, sebbene influenzati in parte dalla pubblicità, sono più il frutto della nostra cultura di partenza oppure di ciò che vediamo comprare tutti i giorni dai nostri conoscenti.
In altre parole, una delle idee fondamentali della sociologia dei media è che, sebbene gli individui siano esposti a una serie di contenuti mediatici che veicolano particolari messaggi, essi tendano comunque a rielaborarli almeno in parte in base al contesto in cui vivono e, dunque, alle relazioni e alle interazioni sociali dirette.

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Il flusso a due fasi della comunicazione
Uno dei primi studiosi a mettere in luce il meccanismo per cui le persone sono più influenzabili da parte di amici e conoscenti che dei media in sé è stato il sociologo statunitense Paul Lazarsfeld | ▶ UNITÀ 7, p. 263 |, che ha descritto questo fenomeno come il flusso a due fasi della comunicazione. Egli afferma che la maggior parte delle persone non è direttamente influenzata dai mass media ma costruisce le proprie opinioni sulla base di ciò che pensano o mostrano alcune persone influenti, altrimenti dette opinion leader, appartenenti al proprio ambito sociale. Dapprima, dunque, gli opinion leader fanno propri, rielaborandoli, determinati contenuti mediatici, poi influenzano le persone con cui vengono a contatto.
ESEMPIO: pensiamo a ciò che succede nel contesto scolastico; l’affermarsi di una nuova moda non è tanto il risultato dell’influenza esercitata direttamente dalla pubblicità su tutti gli studenti, ma piuttosto del ruolo di alcuni particolari opinion leader, in genere gli studenti più in vista nella classe, che sono entrati in contatto tramite i media con certi stili della moda e li hanno fatti propri, contribuendo a diffonderli nel proprio contesto amicale.
Inoltre, molti sociologi sono concordi nel ritenere che uno degli effetti dei media sia quello di influenzare le idee e i comportamenti del pubblico soprattutto nella misura in cui i contenuti fruiti attraverso i media confermano quello che il pubblico almeno in parte è già convinto di sapere.
ESEMPIO: un articolo di giornale che parla bene di un politico che un lettore già stima contribuirà a rinsaldare la preferenza nei suoi confronti; allo stesso modo la pubblicità di un prodotto che un consumatore è già abituato a comprare concorrerà nell’invogliarlo a comprarlo nuovamente.
In sintesi, quindi, possiamo affermare che gli effetti dei media non sono mai la diretta conseguenza che un particolare messaggio ha nei confronti degli utenti, ma sono più spesso il risultato indiretto di una serie di interazioni sociali che avvengono a partire dai messaggi mediatici trasmessi.

per lo studio

1. In che cosa consiste il broadcasting?
2. Quali sono le differenti interpretazioni degli effetti dei media sulla società?
3. Come funziona il flusso a due fasi della comunicazione, basato sul ruolo degli opinion leader?


  Per discutere INSIEME 

In classe, scegliete un particolare contenuto mediatico (un programma televisivo, un film, un libro e così via) e provate a descriverlo insieme per individuare qual è l'industria culturale che si occupa di produrlo e fino a che punto esso rappresenta un prodotto standardizzato.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane